Paesaggio in primo piano, nessuna scorciatoia

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Il Consiglio regionale dell’Abruzzo aveva approvato norme che volevano saltare passaggi procedimentali previsti per legge per «sburocratizzare» l’attività. Ma il governo ha impugnato la norma sostenendo che «l’esclusione di assoggettabilità a Via non può escludere l’acquisizione di qualsivoglia autorizzazione o parere, inclusi quelli obbligatori in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio

L’eterno ritorno della «burocrazia». Più si tenta di toglierla di mezzo e più riappare sotto varie forme. La spiegazione è elementare: la «burocrazia» altro non è che la struttura amministrativa che applica le norme che il legislatore (nazionale o regionale) approva. E la struttura amministrativa altro non è che l’insieme di persone, con varie competenze e funzioni, selezionate (si spera attraverso concorso pubblico) per svolgere quel lavoro. Accade, così, che alcuni legislatori regionali, nel caso di specie il Consiglio regionale dell’Abruzzo, approvino norme che tentano di saltare passaggi procedimentali previsti per legge per «sburocratizzare» (termine eufemisticamente cacofonico) l’attività.

L’assemblea legislativa abruzzese, infatti, a maggio del 2021 ha approvato una legge con la quale ha disciplinato nuovamente l’autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti prevedendo che per gli impianti «autorizzati con esclusione di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale (Via), la comunicazione di variazione non sostanziale non comporta alcuna nuova autorizzazione regionale e non può essere subordinata ad ulteriori pareri».

Il governo ha impugnato la norma sostenendo che «l’esclusione di assoggettabilità a Via non può escludere l’acquisizione di qualsivoglia autorizzazione o parere, inclusi quelli obbligatori in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio.

«Infatti, la tutela del paesaggio e la relativa competenza legislativa e regolamentare in materia spetta allo Stato, ai sensi degli artt. 9 e 117, commi secondo, lettera s), e sesto, Cost., e gli interventi esonerati dall’autorizzazione paesaggistica sono solo quelli indicati dal legislatore statale […] con impossibilità per la Regione di ampliarne la portata, abbassando il livello di tutela prescritto dallo Stato».

La Consulta ha accolto il ricorso del governo con la sentenza n. 106/2022 pubblicata il 28 aprile scorso ed ha censurato la norma regionale dicendo che essa «risulta in contrasto con la competenza legislativa statale esclusiva in materia ambientale, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.». Inoltre, dicono i giudici costituzionali, «non è rilevante la circostanza che gli impianti autorizzati di smaltimento rifiuti in questione siano solo quelli con esclusione di assoggettabilità a Via, stante la diversa funzione assegnata dall’ordinamento alla valutazione di impatto ambientale rispetto all’autorizzazione paesaggistica».

Infine, la Consulta torna ad affermare che «[…] la disciplina di protezione del paesaggio rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., avendo il bene ambientale una struttura complessa che comprende non solo la tutela di interessi fisico-naturalistici, ma anche i beni culturali e del paesaggio idonei a contraddistinguere un certo ambito territoriale […]. Esigenze di uguaglianza sono poste a fondamento della competenza legislativa esclusiva dello Stato, poiché la natura unitaria e il valore primario e assoluto del bene paesaggio ne impongono una disciplina uniforme su tutto il territorio nazionale che sarebbe vanificata dall’intervento di una normativa regionale che sancisse in via indiscriminata – come avviene nel caso di specie – l’irrilevanza paesaggistica di determinate opere, così sostituendosi all’apprezzamento che compete alla legislazione statale». Ancora una volta, quindi, le Regioni che si sentono Stati autonomi pur non essendo tali, pensano di poter «tagliare» la burocrazia senza comprendere come fare e, soprattutto, che cosa fare.

 

Fabio Modesti