Eolico, bloccato in Campania un frazionamento di progetto

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E il Consiglio di Stato le dà ragione

Una società, dopo sette anni, ha proposto il completamento di un impianto esistente con un altro. La Regione ha ritenuto che si trattasse non già di un completamento dell’originario impianto ma di un «artato frazionamento» di un progetto unitario al fine di ottenere vantaggi in termini di incentivi e di procedure semplificate

Morcone è un Comune della Campania sannita non lontano dalle meraviglie archeologiche della molisana Sepinum, oggi Sepino, e di Altilia. I due paesi sono sorti sul tratturo Pescasseroli-Candela. Lì, in quelle terre bellissime e ricche di testimonianze storiche ed archeologiche, una società che realizza impianti eolici industriali ne ha realizzato uno, denominato «Morcone», da 57 MW e, dopo sette anni, ne ha proposto il completamento con un altro, denominato «Lisa», da 29,92 MW. La Regione Campania ha ritenuto che in realtà si trattasse non già di un completamento dell’originario impianto ma di un «artato frazionamento» di un progetto unitario al fine di ottenere vantaggi in termini di incentivi e di procedure semplificate (Dia – Dichiarazione di inizio attività, invece del Paur – Provvedimento autorizzativo unico regionale) ed ha archiviato l’istanza ritenendo che la competenza in sede di valutazione d’impatto ambientale fosse quindi, per soglia dimensionale, del ministero dell’Ambiente.

Il Tar Campania, attivato su ricorso della società di impianti eolici, non ha invece ravvisato l’artato frazionamento in ragione del lasso di tempo trascorso tra i due progetti (sette anni, appunto). La Regione Campania si è così rivolta al Consiglio di Stato che si è espresso con una sentenza depositata il 30 giugno scorso.

I giudici di Palazzo Spada hanno confermato la legittimità dell’operato della Regione Campania stabilendo che di artato frazionamento in effetti si tratta perché «se infatti, la presentazione delle istanze in momenti differenti e la loro peraltro limitata distanza non valgono ai fini del riconoscimento dei due impianti come distinti, tuttavia, come stabilito dalla giurisprudenza amministrativa di primo grado e d’appello, l’amministrazione competente può legittimamente trarre la conclusione di trovarsi al cospetto di un unico progetto, con la conseguenza di assoggettare il medesimo a verifica di compatibilità ambientale, in caso di superamento delle soglie di potenza previste dalla normativa di settore, come avviene nel caso in esame»; inoltre «il collegamento funzionale tra le istanze può ben desumersi da alcuni elementi indiziari o sintomatici della unicità della operazione imprenditoriale, quali la unicità dell’interlocutore che ha curato i rapporti con l’Amministrazione, la medesimezza della società alla quale vanno imputati gli effetti giuridici della domanda di autorizzazione (presenti nel caso in esame) e, per finire, la unicità del punto di connessione».

Secondo il Consiglio di Stato «nel caso di realizzazione di diversi impianti sostanzialmente avvinti dal vincolo della complessità è necessario, infatti, avere riguardo non solo alle dimensioni del progettato ampliamento di opera già esistente, bensì alle dimensioni dell’opera finale, risultante dalla somma di quella esistente con quella nuova, perché è l’opera finale nel suo complesso che, incidendo sull’ambiente, deve essere sottoposta a valutazione. […] Esattamente nella direzione testé indicata — conclude il Consiglio di Stato — si muove il provvedimento impugnato che ha ravvisato i tre elementi sintomatici della unitarietà del progetto nel fatto che gli impianti sono localizzati in aree vicine, sono riconducibili al medesimo “centro di interessi”, condividono lo stesso punto di connessione, dimodoché tali caratteristiche hanno fatto ritenere che il progettato impianto “Lisa” di cui all’istanza del 22 ottobre 2020 non sia un impianto funzionalmente autonomo dall’esistente impianto “Morcone”, ma ne costituisca invece la modifica (l’ampliamento) al fine di realizzare un impianto finale da 86,2 MW».

 

Fabio Modesti