La pubblicità inquina l’informazione

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Uno studio che dimostra la pericolosa influenza esercitata dalle aziende inquinanti sulla stampa italiana, basti pensare che in quattro mesi, nei 528 articoli esaminati, le compagnie petrolifere sono indicate tra i responsabili della crisi climatica appena due volte

Sulle principali testate italiane la crisi climatica trova ben poco spazio, contrariamente a quanto avviene per le pubblicità delle aziende inquinanti, che dimostrano invece di avere un ottimo ascendente sulla stampa. Questo quanto emerge dallo studio che Greenpeace ha commissionato all’Osservatorio di Pavia, istituto di ricerca specializzato nell’analisi della comunicazione, che ha esaminato gli articoli pubblicati fra gennaio e aprile 2022 dai cinque quotidiani più diffusi ossia il «Corriere della Sera», «la Repubblica», «Il Sole 24 Ore», «Avvenire», «La Stampa».

I risultati quindi mostrano come i principali quotidiani italiani pubblichino in media due articoli al giorno che accennano alla crisi climatica, ma gli articoli che trattano esplicitamente il problema sono appena la metà. Al contrario, viene dato ampio spazio alle pubblicità dell’industria dei combustibili fossili e delle aziende dell’automotive, aeree e crocieristiche, tra i maggiori responsabili del riscaldamento del pianeta.

Ad esempio, su «Il Sole 24 Ore» si contano più di cinque pubblicità di queste aziende inquinanti a settimana. Negli articoli esaminati, inoltre, le aziende sono il soggetto che ha più voce (18,3%), superando esperti (14,5%) e associazioni ambientaliste (11,3%). La crisi climatica è infine raccontata principalmente come un tema economico (45,3% degli articoli), quindi come un tema politico (25,2%) e solo in misura minore come un problema ambientale (13,4%) e sociale (11,4%).

greenpeace tabUno studio che dimostra la pericolosa influenza esercitata dalle aziende inquinanti sulla stampa italiana, basti pensare che in quattro mesi, nei 528 articoli esaminati, le compagnie petrolifere sono indicate tra i responsabili della crisi climatica appena due volte.

E allora ci si chiede… come si può dare voce alle problematiche ambientali se la stampa, in primis, non ne parla? E stiamo parlando della stampa più «autorevole», quella più letta e venduta… Il problema lo si conosce bene ed è la pubblicità, quella triste marchetta economica che regge le redazioni, la stampa dei giornali ma che di fatto tappa la bocca ai giornalisti. E la si può dire in maniera diversa, più carina, meno aggressiva ma il risultato non cambierebbe. Perché le aziende che fatturano tanti dindini, grazie alle loro generose pubblicità, che spesso non sono altro che ingannevole greenwashing, inquinano anche il dibattito pubblico e il sistema dell’informazione, impedendo a lettori e lettrici di conoscere la gravità dell’emergenza ambientale che stiamo vivendo.

Ma durerà poco, perché la catastrofe climatica ora la viviamo tutti ed è sulla nostra pelle.

Greenpeace chiama questa classifica stilata «Classifica degli intrappolati» per denunciare la pericolosa dipendenza del giornalismo italiano dai finanziamenti delle aziende inquinanti. Se si vuole preservare la libertà di stampa e consentire a cittadine e cittadini di conoscere la verità sulla crisi climatica, bisogna rompere il patto di potere che incatena i mass media all’industria dei combustibili fossili, e qui mi piace ricordare come «Villaggio Globale, rivista di ecologia che si prefigge di coinvolgere il lettore e fargli toccare con mano la globalità delle problematiche ambientali, sia assolutamente priva di ogni forma di pubblicità e sia retta dalla «sola» ostinata volontà di informare nel modo migliore chi ci legge. E se si pubblica qualche Redazionale, questo è chiaramente visibile al Lettore, così come prevedono le norme deontologiche dettate dall’ordine giornalisti.

In tema, Greenpeace ha lanciato la nuova campagna «Stranger Green» contro il greenwashing e le false soluzioni che ritardano gli interventi di cui si ha urgente bisogno per salvare l’umanità dagli impatti della crisi climatica, come la terribile siccità e le prolungate ondate di calore di questi mesi. Come recita il sottotitolo della campagna, che si richiama all’immaginario della serie di culto Stranger Things, «Sotto il greenwashing c’è l’inferno climatico».

Per vietare le pubblicità e le sponsorizzazioni delle aziende legate ai combustibili fossili, Greenpeace sostiene, insieme a più di trenta organizzazioni internazionali, una Iniziativa dei cittadini europei (Ice). Se entro ottobre la petizione «Stop alla pubblicità delle aziende inquinanti» raggiungerà il traguardo di un milione di firme raccolte, la Commissione europea sarà obbligata a discutere una proposta di legge per mettere fine alla propaganda ingannevole delle aziende inquinanti che alimentano la crisi climatica.

 

Elsa Sciancalepore