Paesaggio, il vincolo e il prosecco

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Un’azienda del Conegliano veneto alle prese con le norme di salvaguardia del paesaggio e le difficoltà di coltivazione. L’applicazione impropria del vincolo a tutela del paesaggio è uno dei motivi per cui molti provvedimenti vengono «azzoppati» in sede di contenzioso amministrativo

Un produttore di prosecco nella zona di Conegliano veneto, con un’azienda di superficie complessiva di 11 ettari due dei quali coltivati a vigneto di prosecco-glera e la restante superficie destinata a bosco e prato, ha ottenuto un’autorizzazione per sistemare nuovi filari di vigneto per due ettari. Poiché l’area è sottoposta a vincolo paesaggistico, la Soprintendenza ha imposto all’azienda di realizzare l’ulteriore vigneto nella forma cosiddetta «giropoggio», cioè seguendo le curve di livello. Dopo tre anni dall’autorizzazione, però, l’imprenditore si rende conto che i filari non potevano seguire le curve di livello e quindi li ha sistemati perpendicolarmente (a «ritocchino») rispetto alle curve di livello chiedendo successivamente l’autorizzazione di compatibilità paesaggistica ai sensi dell’articolo 167 del Codice dei beni culturali.

La Soprintendenza ha espresso un nuovo parere favorevole confermando, però, che il vigneto dovesse seguire le curve di livello e che, quindi, il vigneto dovesse essere spiantato e ripiantato.

Il Comune ha quindi adottato un’ordinanza per il rispetto di questa prescrizione ingiungendo la rimozione di quanto fatto. La società agricola ha proposto appello al Consiglio di Stato dopo che il Tar Veneto aveva stabilito la legittimità degli atti delle pubbliche amministrazioni. Nell’appello ai giudici di Palazzo Spada contro il parere della Soprintendenza e contro l’ordinanza comunale la società ha rappresentato l’eccesso di potere da parte della prima.

L’intervento, secondo la società ricorrente, non doveva essere assoggettato ad autorizzazione paesaggistica in quanto relativo all’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale che non comporta alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili e quand’anche lo fosse stato, il provvedimento era scarsamente motivato.

Il Consiglio di Stato, VI Sezione, con la sentenza pubblicata il 16 agosto scorso, ha in primo luogo bacchettato il Tar Veneto il quale nella sentenza di primo grado aveva rilevato che l’intervento proposto alterava l’assetto idrogeologico. Una valutazione che però la Soprintendenza non aveva mai espresso nel proprio parere. In esso, infatti, vi era riferimento «unicamente alle cautele da porre in essere per evitare di introdurre alterazioni dei caratteri morfologici dell’area interessata ovvero modifiche nel disegno del paesaggio percettivamente contrastanti con l’insieme». Il Tar Veneto, secondo il Consiglio di Stato, «ha illegittimamente integrato in maniera consistente la motivazione dell’atto impugnato». «È stata fatta — continua il Consiglio di Stato nella sentenza — una applicazione impropria del vincolo paesaggistico perché si è stigmatizzata “una incongrua contrapposizione ortogonale dei filari”, mentre, come rilevato dall’appellante, non è stata individuata alcuna ragione ostativa riferita propriamente alla tutela del bosco circostante, oggetto del vincolo. Il primo giudice, inoltre, ha introdotto considerazioni relative all’assetto idrogeologico che nella sostanza pertengono ad altro tipo di vincolo (quello forestale) che non era evocato nell’atto della Soprintendenza». «Il provvedimento della Soprintendenza — concludono i giudici di Palazzo Spada — non ha fatto buon governo dei principi dettati dall’articolo dall’art. 149, comma 1, lett. b), d. lgs. n. 42 del 2004 e, più in generale, dei poteri inerenti la tutela dell’interesse paesaggistico. Dall’atto, infatti, non è dato comprendere in che modo tale interesse inteso nella sua specificità venisse compromesso da un intervento che, peraltro, riguardava una porzione molto limitata di suolo. Di qui la sua illegittimità (e la conseguente illegittimità dell’ordinanza comunale di demolizione)».

L’applicazione impropria del vincolo a tutela del paesaggio è uno dei motivi per cui molti provvedimenti vengono «azzoppati» in sede di contenzioso amministrativo. Per altro verso, le Soprintendenze in molte circostanze non hanno alcuna cura nel valutare l’impatto degli interventi, oltre che sul paesaggio, sui contesti ambientali più complessi fermandosi al solo aspetto estetico di scelte edilizie e ad occasioni di scambio per tutele puntuali perlopiù archeologiche (il caso del resort nei pagghjari a Costa Ripagnola in Puglia docet).

 

Fabio Modesti