Cop27, accordo per «perdite e danni»

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E compare per la prima volta la parola «rinnovabili». Greenpeace: «il finanziamento di perdite e danni è un passo avanti verso la giustizia climatica, ma le lobby hanno boicottato l’eliminazione dei combustibili fossili»

Documento finale alla Cop27 che non lascia soddisfatti neanche gli organizzatori ed ancora una volta parole incerte, anche se per la prima volta appare la parola «rinnovabili» riconoscendone il ruolo decisivo, ma non prendendo nessun impegno per la riduzione dei combustibili fossili.  Nel documento finale si riconosce che per mantenere il target di 1,5 gradi è necessario un taglio delle emissioni del 43% al 2030 rispetto al 2019. Viene deciso l’aggiornamento degli impegni di decarbonizzazione degli stati (Ndc) entro la Cop28 del 2023 e si ribadiscono gli impegni di Glasgow per la riduzione della produzione elettrica a carbone e delle emissioni di metano.

Greenpeace accoglie con favore l’accordo della Cop27 per l’istituzione di un Fondo per il finanziamento delle perdite e dei danni (Loss and damage), una base importante verso la giustizia climatica. Ma resta da capire se i governi riusciranno a svincolarsi dalla morsa dell’industria dei combustibili fossili, la cui presenza si è fatta sentire anche al vertice di Sharm el-Sheik.

Yeb Saño, direttore esecutivo di Greenpeace Sud-Est asiatico e capo della delegazione di Greenpeace presente alla Cop27 dichiara: «L’accordo per un Fondo di finanziamento delle perdite e dei danni segna una svolta per la giustizia climatica. I governi hanno posto la prima pietra di un nuovo fondo, atteso da tempo, per fornire un sostegno vitale ai Paesi e alle comunità vulnerabili, già devastati dall’accelerazione della crisi climatica. I negoziati sono stati inficiati dai tentativi di scambiare l’adattamento e la mitigazione con le perdite e i danni. Alla fine si è evitato il fallimento grazie allo sforzo concertato dei Paesi in via di sviluppo e alle richieste degli attivisti per il clima, che hanno chiesto agli oppositori di desistere».

«Per quanto riguarda la discussione sui dettagli del Fondo, dobbiamo fare in modo che i Paesi e le imprese maggiormente responsabili della crisi climatica diano il massimo contributo. Ciò significa finanziamenti nuovi e aggiuntivi per i Paesi in via di sviluppo e le comunità vulnerabili al clima, non solo per le perdite e i danni, ma anche per l’adattamento e la mitigazione. I Paesi sviluppati devono mantenere l’attuale impegno di 100 miliardi di dollari all’anno per sostenere i Paesi a basso reddito nell’attuazione di politiche di riduzione delle emissioni di carbonio e nell’aumento della resilienza agli impatti climatici. Devono inoltre rispettare l’impegno di raddoppiare almeno i finanziamenti per l’adattamento».

Per Greenpeace è incoraggiante che un gran numero di Paesi del nord e del sud abbia espresso alla Cop27 il proprio forte sostegno all’eliminazione graduale di tutti i combustibili fossili (carbone, petrolio e gas) che è ciò che richiede l’attuazione dell’Accordo di Parigi. Ma sono stati ignorati dalla presidenza egiziana della Cop27. Gli Stati petroliferi e un piccolo esercito di lobbisti dei combustibili fossili erano presenti in forze a Sharm el-Sheikh per assicurarsi che ciò non avvenisse. Alla fine, se non si eliminano rapidamente tutti i combustibili fossili, nessuna somma di denaro sarà in grado di coprire il costo delle perdite e dei danni che ne deriveranno.

«La decarbonizzazione rimane l’azione principale per poter rispettare l’accordo di Parigi ed evitare, come ci ha più volte ricordato la comunità scientifica, un inferno climatico. Questo in Italia non sta accadendo, nonostante le “belle parole” della premier italiana all’apertura della conferenza: le scelte politiche del nostro governo vanno nella direzione opposta a quelle della decarbonizzazione», dichiara Simona Abbate, campagna Clima di Greenpeace Italia.

«Affrontare il cambiamento climatico e promuovere la giustizia climatica non è un gioco a somma zero. Non si tratta di vincitori e vinti. O facciamo progressi su tutti i fronti o perdiamo tutti. Bisogna ricordare che la natura non negozia, la natura non scende a compromessi. La vittoria odierna del potere popolare sulle perdite e i danni deve tradursi in una rinnovata azione per smascherare chi blocca l’azione per il clima, spingere per politiche più coraggiose per porre fine alla nostra dipendenza dai combustibili fossili, incrementare le energie rinnovabili e sostenere una giusta transizione. Solo così si potranno fare maggiori passi avanti verso la giustizia climatica, grazie alla solidarietà tra la società civile, le comunità più esposte agli impatti e i Paesi in via di sviluppo più colpiti dalla crisi climatica», conclude Yeb Saño.

R. V. G.