Azioni di corretta e documentata denuncia di situazioni simili, che sono numerose, non possono che partire da riviste e siti che con coraggio e determinazione cercano la verità per farla circolare, con l’auspicio che la politica ne faccia buon uso
Un affettuoso augurio a Villaggio Globale ed al suo tenace e combattivo ideatore Ignazio Lippolis, per aver raggiunto il lusinghiero e non facile traguardo di un quarto di secolo di attività e 100 numeri pubblicati.
Ignazio ha sempre visto la necessità di informare in tema di tutela ambientale, in modo corretto ed oggettivo, quale momento fondante di possibili azioni di salvaguardia e tutela. Ricordo di aver letto nel suo interessante libro Ecologia, futuro del pianeta del 1994, per la prima volta il concetto di profughi climatici, quando questo termine non era ancora di impiego comune, e ben indica le motivazioni profonde delle incessanti ondate migratorie con partenza dall’interno del Continente africano, tragicamente segnato da carestie, siccità, carenza di acqua e guerre.
Non… offerte ma comportamenti nuovi
Oggi molto dell’ambientalismo non vede partecipazione personale, ma si limita a condividere e rispondere alle numerose e appassionate petizioni lanciate da alcune grandi e molto attive piattaforme non-profit.
Tutela della tigre, salvaguardia dell’orango, tutela della foresta pluviale sono alcuni dei temi lanciati recentemente da queste piattaforme, assieme a numerosi altri. Il meccanismo si basa sempre sulla richiesta di adesione e sull’invito a contribuire economicamente al raggiungimento dell’obiettivo. In questo meccanismo di delega, che implicitamente convince un pubblico numeroso dell’identità tra pagamento di un contributo ed efficace azione in favore della causa ambientalista, intravedo un meccanismo molto simile a quello della compravendita delle indulgenze, da cui nacque la Riforma protestante ad opera di M. Lutero, secondo cui il commercio delle indulgenze era una pratica blasfema e la concessione stessa della grazia un riconoscimento inutile.
L’ambientalismo non può limitarsi a finanziare operazioni a largo raggio di raccolta fondi, ma deve esser adesione convinta ad una causa e adozione di comportamenti adeguati e conseguenti a tutti i livelli della scala sociale, a partire da quello individuale; ciò determina qualche sacrificio e poca adesione, accompagnata però da esternazioni convinte che bisogna fare qualcosa.
La diffusione di informazioni corrette è certo un aspetto importante di questo impegno di tutela, poiché è l’unico modo di conoscere per deliberare, secondo il ben noto adagio di L. Einaudi.
Villaggio Globale ha sempre operato in questo senso, esplorando aspetti diversi e spesso poco noti della conoscenza di settore, attraverso la collaborazione appassionata di esperti.
Ho partecipato anche io, seppure in maniera molto discontinua, a questa operazione, intervenendo quasi sempre sul tema degli incendi boschivi, al quale ho dedicato 51 anni della mia esistenza, che mi ha convinto della necessità di analizzare il fenomeno, molto complesso, in maniera integrata e globale, il solo modo per un approccio utile ed efficiente, che tra l’altro è il significato del titolo della rivista. Rinnovo pertanto gli auguri a Ignazio, ripromettendomi di esser più presente per i prossimi numeri per quanto potrò contribuire.
I problemi sul tappeto
Le vicende della tutela ambientale, nei 25 anni di vita della rivista, si caratterizzano per la presenza di grandi enunciazioni di principio, scarse iniziative concrete per realizzarle e contemporanea presenza di azioni antagoniste ben più efficaci, tempestive e dannose. Primo tra tutti il cambiamento climatico, che sta progredendo in maniera inarrestabile, segnato da eventi estremi con una frequenza ed una intensità mai viste in passato. Penso alla frequenza delle bombe d’acqua, ai disastri delle esondazioni e delle frane, all’acuirsi del fenomeno degli incendi con allungamento per questi ultimi della stagione di rischio e la crescente frequenza di eventi estremi molto al di là della capacità di controllo, fenomeno prima quasi inesistente.
Molti di questi fenomeni, in ultima analisi, legati al riscaldamento globale e a ritmi anomali di evaporazione delle acque marine e alle conseguenti precipitazioni parossistiche, potrebbero essere evitati, certo non nell’immediato ma in prospettiva, mediante la riduzione dell’effetto serra attraverso il contenimento delle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera. Oggi (24 ottobre) il valore è 416,01 ppm, era di 413,79 ppm il 19 ottobre, valore diffuso da Mauna Loa Observatory, Hawaii.: sedici punti sopra la soglia di 400 superata per la prima volta il 9 maggio 2013, una tappa critica di una salita molto rapida e inarrestabile verso un futuro climatico pieno di interrogativi drammatici di carenza di risorse, tra cui l’acqua.
Le proposte di riduzione, i vari piani prodotti nell’ambito di grandi conferenze mondiali sono rimasti lettera morta poiché alla richiesta di ridurre le emissioni, molti paesi emergenti hanno opposto resistenza, e anche nei paesi dove le iniziative sono abbastanza condivise, nello spirito ma non nelle iniziative, le azioni concrete sono in totale dissonanza ed opposizione. Faccio l’esempio dell’impianto di nuovi boschi attraverso interventi di forestazione e ri-forestazione su scala mondiale. Concettualmente questa iniziativa ha fondati elementi di una relativa efficacia, poiché si basa sulla capacità delle piante (non solo dei boschi…) di catturare l’anidride carbonica nei loro processi di accrescimento.
Non onorati gli impegni
Alle roboanti proposte avanzate di più parti (1.000 miliardi di alberi da piantare livello globale secondo le proposte del G20 di Roma, valore condiviso e propugnato dall’illustre botanico e accademico Stefano Mancuso, 900 milioni di ettari rimboschiti secondo lo scienziato Jean-Francois Bastin dello ETH di Zurigo, 3 miliardi di alberi nel territorio dell’EU entro il 2030 nel quadro della Strategia per la Biodiversità, un milione di alberi all’anno in Italia per un quinquennio secondo un noto leader politico), ha corrisposto, nel nostro paese, una diffusa, incontrollata e feroce azione di abbattimento di alberi presenti, spesso in ambiente urbano, talvolta sotto forma di alberature storiche, ed una ondata di incendi che hanno pesantemente colpito molti boschi vetusti soprattutto nelle regioni meridionali. Si distrugge quindi molto ma si tutela poco l’esistente.
Per l’ondata di incendi che hanno pesantemente colpito molti boschi soprattutto nelle regioni meridionali (Vesuvio nel 2018, foreste calabresi nel 2021), vi sono sospetti che si possa trattare di azioni indirettamente innescate (in modo non ancora dimostrato ma supposto e spesso denunciato dalla stampa), dalla carenza di materia prima da parte delle centrali di produzioni di energia da combustione di biomassa.
Esempio spesso citato è quello della Centrale del Mercure in Calabria, sul versante calabrese del parco del Pollino nel comune di Laino Borgo, vicino al confine con la Basilicata. L’impianto ha una capacità di 41 MW lordi di produzione di energia da biomassa, ma ha un fabbisogno di biomassa di 350.000 tonnellate ogni anno, il che significa circa 1.000 tonnellate in arrivo al giorno, accumulate nel piazzale retrostante l’impianto per essere poi cippate e bruciate. Il legno proviene da varie aziende fornitrici, che per la maggior parte dovrebbero raccogliere legname in Calabria e Campania, in realtà si spingono ad altre regioni inclusa la Toscana. Una realtà, quella del Mercure, che genera congestione stradale, legata al movimento dei circa 100 camion in un territorio con viabilità difficile per orografia, e inquinamento legato alla combustione della legna e alla dispersione aerea di polveri dagli stock di legname.
Resta irrisolto e poco chiaro da dove e come possa arrivare quella enorme massa di legname, tenuto conto che in Calabria risultano attivi altri impianti a biomasse solide (Crotone e Strongoli), per un consumo totale pari a 1.350.000 tonnellate annue. Dubbio che oggi si collega alla generale tendenza ad una più rapida e agevole utilizzazione dei boschi, considerando le biomasse come una promettente fonte rinnovabile di energia. Questo è vero ma i tempi di accrescimento per produrre annualmente il fabbisogno ufficiale entrano in totale collisione con previsioni di progetto evidentemente e totalmente errate e non realizzabili. I boschi sono una riserva importante di fonte rinnovabile, ma l’intervallo tra un taglio è l’altro è dell’ordine di anni (non meno di 12 per cedui a rapido accrescimento, da 15 a 18 per i cedui normali, da 30 a 40 anni per fustaie di specie a rapido accrescimento, da 90 a 100 anni per le altre fustaie). Questi valori non sono compatibili con fabbisogni annui sostenuti.
Il rischio è che si tagli in maniera indiscriminata nei boschi esistenti, senza alcun rispetto per le regole di corretto prelievo dettate dai piani di assestamento spesso assenti, se presenti scaduti o non osservati, consentendo di rispettare per alcuni anni ed in parte un fabbisogno certamente sovrastimato, innescando fenomeni di desertificazione e dissesto idrogeologico generalizzato, quando il taglio avrà quasi annullato la presenza stessa dei boschi.
Come proteggere le foreste
Di fatto, anziché proteggere le foreste esistenti, per migliorarne la produzione e collaborare fattivamente alla generale azione di contenimento dell’effetto serra, le stiamo liquidando nel generale disinteresse e a ritmi ben distanti dalle esigenze di sostenibilità, sostantivo tanto diffuso quanto poco compreso.
Nulla invece stiamo facendo per piccole azioni concrete che potrebbero aiutare, da subito, a ridurre l’eccesso di CO2, prima che vadano in porto i grandiosi piani a livello globale, le cui difficoltà di realizzazione sono infinite. Basti solo pensare al difficile equilibrio tra terreni da destinare alla produzione agricola e quelli da sottrarre per una destinazione certo strategica,ma antagonista rispetto alle produzioni di derrate alimentari.
Tra le piccole azioni a misura di persona singola o famiglia potremmo citare, in maniera non esaustiva:
- più uso del digitale e minor consumo di carta. Questa semplice misura, attuabile senza troppi sacrifici anche dai singoli, secondo stime di Wwf e Greenpeace porterebbe a ridurre il consumo di carta annuo, valutato in 200 kg per famiglia, pari al consumo di 2 alberi;
- ridurre il consumo di carne, tenendo presente che i grandi allevamenti del Sudamerica da cui proviene molto del prodotto consumato sulle tavole di mezzo mondo, necessitano di enormi spazi e di mangimi derivati dalla coltivazione della soia, che si realizzano con una metodica azione di distruzione della foresta amazzonica, che sta procedendo a ritmi inarrestabili. Secondo l’agenzia brasiliana di ricerca spaziale governativa Inpe nel solo mese di gennaio 2022 sono stati persi 430 chilometri quadrati di foresta, pari a 43.000 ettari. Secondo Greenpeace la deforestazione è aumentata del 52% con l’attuale regime politico del Brasile;
- ridurre l’uso di carta e cartone negli imballaggi. A questo aggiungerei come osservazione personale, ridurre il consumo di carta dei quotidiani e della stampa in genere. Spesso ho provato a misurare il peso di un singolo numero festivo di un grande quotidiano, che non cito, trovando troppo spesso valori che superano ampiamente 650 g. Una parte trascurabile del peso è fatto da pubblicità a pagina intera se non doppia, ma il peso è dovuto soprattutto ad allegati, molti dei quali su carta patinata, che troppo spesso non vengono nemmeno aperti o letti. Ridurre il consumo di carta si può attuare con molta elasticità e senza traumi, anche riducendo il formato dei giornali a quello definito tabloid. Malgrado il riciclo della carta, abbastanza efficiente nel nostro paese, la sua produzione avviene anche con utilizzazione di impianti specializzati che, benché gestiti in modo sostenibile e certificato, cessano di contribuire alla cattura della CO2;
- incrementare l’uso dei pannelli solari per il riscaldamento domestico ed il fabbisogno individuale e condominiale.
Azioni di corretta e documentata denuncia di situazioni simili, che sono numerose, non possono che partire da riviste e siti che con coraggio e determinazione cercano la verità per farla circolare, con l’auspicio che la politica ne faccia buon uso. Mentre sulla possibilità della ricerca della verità sono ottimista, mi astengo dal secondo punto poiché le azioni e le decisioni spesso nascono con logiche proprie e perverse.
Vittorio Leone