Appunti per la riconversione
Il precipitare della crisi contemporanea provoca il vuoto nella disposizione a servire la cosa pubblica come bene comune e a dimensionare il potere secondo la categoria del servizio. Individuare il senso, attuare il servizio, coordinare i cambiamenti, condividere i valori, arginare l’usurpazione sono operazioni che realizzano la pace. La mobilità rientra tra i valori mediali: essa non è il fine ma lo strumento che aiuta a calibrare, facilitare e apprezzare il vero, il bene e il nobile
Muoversi come e perché? Muovere come e perché? Due interrogativi che in forma riflessiva e in quella diretta propongono due formule tra di loro complementari rispetto alla mobilità.
La loro origine sta nella definizione che Aristotele dettò della vita: motum ex se habere = movimento spontaneo che significa autonomia dell’essere originata dalla stessa energia immanente.(1) Tommaso d’Aquino, più tardi, articolò il suo ragionamento, sempre sulla scorta del filosofo di Stagira, scrivendo che «la voce vita è adeguata per indicare una sostanza alla quale compete, secondo la sua natura, muoversi spontaneamente o comunque determinarsi all’azione».(2)
Nella definizione della vita sono elementi fondanti le due operazioni che hanno grande attinenza con il nostro ragionamento: sentire e intendere, operazioni biologiche e intellettive del percepire, conoscere, apprezzare, scegliere, volere e operare. Insomma dal percepire e conoscere all’etica delle azioni contrassegnata dal «determinarsi» che in sintesi raggruppa tutte le attività mentali elencate.
I due interrogativi espressi sono connessi strettamente con la questione della mobilità perché questa li rilancia ad ampio spettro sulle realtà contemporanee sociali e politiche e, in derivato, sulla pedagogia con cui rispondere all’appello del vissuto di tutti e alla formazione dei giovani in particolare.
Campi di osservazione
Per la soluzione dei problemi che attanagliano la società contemporanea si richiede ricerca e analisi delle loro cause. Solo dopo può essere progettata l’educazione adeguata che permetta i cambiamenti nella vita privata e nell’impegno politico.
Quattro filoni sono il campo di indagine per l’individuazione dei disagi contro cui alimentare l’azione formativa:
- La mobilità è un coefficiente determinante per ogni settore specifico della prassi sociale, dalle etnie in trasformazione e in movimento fino alla strutturazione del lavoro. La flessibilità, come «istituto» moderno dell’occupazione, ha condizionato la mobilità, ne è stata giustificata l’esaltazione come scoperta risolutiva dei problemi del lavoro moderno solo a rivelarsi, subito dopo, inganno macroscopico che ha codificato legalmente non il licenziamento ma la non-riconferma nei posti di lavoro. Così la flessibilità si è cristallizzata in un equivoco, per l’ambiguità della sua applicazione sul lavoro «elargito» con o senza contratti, nel rispetto della globalizzazione che è andata tutta a beneficio dei mercanti e a discapito degli utenti del mercato. Si è originata ambiguità tra ricchezza e domanda, giustificando il gap con la necessità della «legge di mercato».
- Il secondo fenomeno esploso è la delocalizzazione delle imprese che traggono profitto dal loro trasferimento in nazioni più favorevoli sia per la più blanda fiscalizzazione sia per i minori costi della manodopera. L’economia italiana ha registrato negli ultimi anni la delegittimazione della protesta dei nostri lavoratori e delle loro famiglie che hanno subito lo scacco del licenziamento a favore delle assunzioni fuori dal nostro territorio: le economie straniere hanno tratto profitto e vantaggioso incremento del loro Pil.
- Terzo problema che richiede necessariamente la reinterpretazione moderna della mobilità è l’assenza di politiche industriali nei programmi di tutti i governi italiani che si sono succeduti. La ricerca è stata la grande assente e la politica europea non ha favorito la difesa equanime dei diritti dei lavoratori tra tutti i paesi dell’Unione. In pratica l’indebolimento industriale italiano ha fatto da valore aggiunto a beneficio degli altri paesi con l’increscioso protocollo della disattivazione del «made in Italy».
- L’assenza della politica europea uniforme e solidale adeguata non appare un effetto indesiderato e imprevisto, è invece la condizione insita nella debolezza politica dell’Unione; c’è la sottile e incresciosa tendenza di alcuni governi a rendere le altre nazioni sistematicamente deboli preda di una sofisticata colonizzazione: l’intento di immettersi nel nostro mercato interno con opa discutibile che ha il progetto dell’accaparramento della proprietà di territori e di beni. Come non leggere in questa chiave la pretesa sui nostri gioielli museali o sui lidi più appetibili e in parallelo la subalternità camuffata dei nostri governanti rispetto ai progetti ventilati delle aste? Come non averne prova nell’iterato rifiuto di molte nazioni dell’Unione dell’accoglienza e dell’integrazione dei richiedenti asilo e dei naufraghi o degli approdati clandestini, optando per la libera discrezionalità dei governi, contro il diritto delle genti e con la pregiudiziale imposizione dell’accoglienza nel paese di approdo e di soccorso?
Pedagogia e futuro
I quattro coefficienti, tra loro connessi e concorrenti, lanciano interrogativi sulla formazione delle nuove generazioni e ci convincono che il futuro con le sue insicurezze fa appello alla nostra capacità di reinventare progetti educativi che siano compatibili con la sicurezza esistenziale dei cittadini e con la difesa della nostra democratica indipendenza.
Le persone sanno integrarsi e sono capaci di relazionarsi in pace sociale solo se hanno acquisito un modus essendi radicato che sia aperto alle nuove sfide.
L’impostazione formativa perché possa raggiungere questo obiettivo deve far leva su un principio pregiudiziale: le capacità e le competenze devono far seguito alla conoscenza. Alcuni politici hanno di recente affermato e teorizzato che non sia necessario questo assunto convinti che il pragmatismo assoluto debba qualificare la formazione dei giovani nella scuola del «fare» e del «merito».
Secondo come si intende l’antropologia, la prassi ha rapporto con il conoscere o come elemento previo o come un derivato: ne seguono comportamenti diversificati per portata etica e sociale.
Indichiamo due campi del processo formativo che fanno luce contro le pretese indicate: quello della disposizione e l’altro della capacità.
a) La disposizione è assolutamente connessa con la conoscenza. Il pensiero riflettente realizza il suo processo a partire dall’informazione. È questo il ruolo della scuola e di tutte le agenzie formative che sono connesse con la funzione propria dello Stato democratico: promuovere l’evoluzione delle persone eliminando tutti gli ostacoli che impediscono l’esercizio dei diritti soggettivi. Le istituzioni non sono preposte solo all’informazione: esse devono prendersi cura della persona proiettandola nella socializzazione e verso le conoscenze connesse con l’ampio spettro dei saperi disciplinari. Da tutto questo ha origine la disposizione che non si limita alle funzioni ma si radica nel «sentire globale» di cui la mente è parte precipua, elaboratrice di senso e di teleologia, ossia della preminenza delle finalità parziali ma soprattutto di quella ultima, dell’esistere.
b) La capacità è il derivato del processo intrapreso dalla conoscenza. Se non lo fosse avremmo azioni meccaniche, dettate più dall’associazionismo che dalla pretesa dell’elezione che invece fa seguito alla disposizione di corredare l’agire con visioni ragionevoli eticamente responsabili. L’etica non è una complicazione dell’agire ma la misura della sua estensione, metro del percorso esistenziale verso il vero, il bene e il nobile che caratterizzano la dignità dell’essere-persone di questo tempo e del futuro.
La coordinazione tra i due campi del processo formativo ora delineati permette la dinamica armonica tra il conoscere e l’agire che si può così decifrare:
- disposizione all’analisi
- disposizione alla criticità
- disposizione alla novità
- disposizione all’autonomia
- capacità di relazione
- capacità di adattamento
- capacità di selezione
- disponibilità al cambiamento
- disponibilità all’integrazione
- disponibilità alla mobilità.
Il conformismo è la negazione di questo decalogo; si determina quando la persona si adegua alla prevaricazione dell’uso e della quantità. La velocità, componente alleata di questi ultimi, impedisce la scelta dell’attesa che invece salvaguarda il rapporto tra azione e fine, obiettivo raggiungibile attraverso la conquista del senso.
Il precipitare della crisi contemporanea provoca il vuoto nella disposizione a servire la cosa pubblica come bene comune e a dimensionare il potere secondo la categoria del servizio. Individuare il senso, attuare il servizio, coordinare i cambiamenti, condividere i valori, arginare l’usurpazione sono operazioni che realizzano la pace. La mobilità rientra tra i valori mediali: essa non è il fine ma lo strumento che aiuta a calibrare, facilitare e apprezzare il vero, il bene e il nobile.
Spendersi per questo progetto significa restituire alla politica e alla prassi l’equilibrio etico affinché i governi siano a servizio del beneficio della cosa pubblica. Educare e educarsi a ciò è l’appello che i bisogni contemporanei ci lanciano: il sentire e l’intendere.
Avere progetti di guerra e di dominio, nonostante il crudele succedersi delle morti sia dei militari sia dei civili, accusa l’assenza di valori etici nei governanti, evidenzia a quale tipo di formazione si siano sottoposti, denota l’impossibilità che si convertano al bene comune. Ciò giustifica la resistenza alle loro imprese, suscita l’eroismo del contrasto, esalta la proclamazione delle libertà.
In questo abbondante inizio di secolo è venuta meno la memoria, senza la quale le ricorrenze storiche della liberazione suonano come retorica ma, senza il cui richiamo, c’è la miopia che accarezza l’atomo come risorsa per nuove sopraffazioni, pretende di gestire la natura e dominarla. Le scorie risultanti rendono ridicole le benedizioni invocate e propagandate per esorcizzare gli eccidi! Il segno di croce di Putin risente molto delle corone imperiali imposte dai papi ai dominatori dell’impero, dichiarato allora «sacro»: niente di nuovo, dissacrante sempre!
Quando il folle impiego delle armi cesserà le macerie saranno il monumento dell’insipienza che non ha tratto monito dai disastri che il Novecento ci ha inflitto. Non basterà leccarsi le ferite. Consegnare al tribunale dell’Aja i responsabili sarà il rito di una moderna Norimberga che non restituirà ai lutti la pace ancora una vota rimandata. La coordinazione tra l’impiego delle armi e le povertà inflitte all’intero pianeta con la sottrazione dei beni energetici e il vertiginoso rincaro sui beni di consumo scrive una pagina nuova dell’internazionalizzazione della guerra moderna. Pagina nuova che mancava nell’album dell’insipienza.
È triste considerare ciò, è eroico nutrire speranze.
(1) Tommaso d’Aquino, riferendosi alla definizione di Aristotele (IX Ethc.), completa il senso affermando che tale motus per l’uomo «significa principalmente sentire e intendere». Cfr. Summa Theologiae, I, 18, 1.
(2) Op. cit., I, 18, 2.
Francesco Sofia, Pedagogista, Socio onorario dell’Associazione nazionale dei pedagogisti italiani