Il difficile cammino del settore trasporti

12093
tuktuk
Si vanno sempre più diffondendo i «Tuk tuk» elettrici, le nostre Api Piaggio per trasportare persone e merci nelle grandi città. Ad esempio, in India ci sono almeno 1,75 milioni di veicoli elettrici a tre ruote
Tempo di lettura: 8 minuti

Molti spostamenti urbani sono necessari a causa dell’attuale configurazione dei servizi, tanto che si fa strada il concetto di «città dei 15 minuti», una suggestione dello scienziato franco-colombiano Carlos Moreno secondo cui la maggior parte delle necessità quotidiane dei residenti di un quartiere potrebbe essere soddisfatta spostandosi a piedi o in bicicletta. Ormai è certo che le auto elettriche domineranno il mercato mondiale. Il ruolo del mercato cinese, la ripresa dell’Europa

La mobilità serve a garantire un servizio di trasporto per persone e merci.

Ma quanti spostamenti sono realmente necessari?

E come soddisfare le esigenze in modo ambientalmente compatibile?

L’esperienza del Covid e l’emergenza climatica, come vedremo, hanno imposto una riflessione sui trasporti, dalle città con una forte crescita di piste ciclabili provvisorie, alla preferenza dei treni rispetto agli aerei dove possibile, considerato l’impatto relativo in termini di emissioni.

Ma anche negli scambi di merci internazionali è in atto un cambiamento con la tendenza a riportare alcune produzioni in Europa e negli Usa.

Poi c’è l’esplosione della mobilità elettrica, che pone anche la necessità di avviare una seria politica industriale.

Ma partiamo dalla prima domanda, la cui risposta è molto articolata.

Il concetto di città dei 15 minuti

Molti spostamenti urbani sono necessari a causa dell’attuale configurazione dei servizi, tanto che si fa strada il concetto di «città dei 15 minuti», una suggestione dello scienziato franco-colombiano Carlos Moreno secondo cui la maggior parte delle necessità quotidiane dei residenti di un quartiere potrebbe essere soddisfatta spostandosi a piedi o in bicicletta. Un concetto che sta attirando l’attenzione di molte città e che è stato fatto proprio da Anne Hidalgo sindaco di Parigi.

Venendo in Italia, sul sito di Roma Capitale si può leggere una definizione del nuovo approccio: «La città dei 15 minuti è la città della contemporaneità, una visione di città policentrica, accessibile e sostenibile, nella quale i cittadini possano trovare ad una distanza massima di 15 minuti, a piedi e in bicicletta, la disponibilità di una vasta rete di servizi di prossimità: aree verdi, fermate del trasporto pubblico su rotaia, asili nido, centri culturali, luoghi dello sport e altri presidi fondamentali.

«La città dei 15 minuti è anche la città del decentramento, della partecipazione popolare, dell’inclusione e dell’accessibilità, nella quale si garantisce la presenza di servizi e strutture di qualità all’interno di ogni quadrante territoriale, ottimizzandone i caratteri identitari e contribuendo a ridurre le distanze tra centro e periferia».

Ma la suggestione ha riguardato altre città, e la stessa rete C40 nata nel 2005, che coinvolge 97 grandi metropoli del mondo impegnate a fronteggiare il cambiamento climatico, l’ha adottata come una delle linee guida, invitando i membri alla sua sperimentazione.

Le Domeniche a piedi

Ricordo con piacere un’iniziativa che lanciammo dal dicastero dell’Ambiente con il ministro Edo Ronchi nel 2000, le Domeniche a piedi, che incontrò un grande successo con l’adesione di 150 città. Era la prima notizia nei telegiornali della sera, con le interviste alle mamme con le carrozzine che finalmente potevano circolare liberamente nei centri delle città.

Secondo un sondaggio realizzato da Databank nei comuni con oltre 40mila abitanti, l’80 per cento degli intervistati giudicava positivamente la giornata «In città senza la mia auto». Il vantaggio maggiormente percepito è stato la riduzione dell’inquinamento atmosferico (oltre il 50%). Seguivano la libertà di passeggiare liberamente in città e la sensibilizzazione sulle tematiche di tutela ambientale (20 e 21%).

L’iniziativa è proseguita anche negli anni successivi. Naturalmente, oltre al largo consenso non mancarono critiche.

Leggiamo ad esempio il giudizio nel 2007 dell’Istituto Bruno Leoni, un think tank conservatore. «La chiusura delle città al traffico è del tutto irrilevante rispetto all’inquinamento atmosferico. È un gesto demagogico privo di ricadute reali».

La bici conquista spazi sempre maggiori

Uno dei segnali della vivibilità delle città e dell’impegno verso la mobilità sostenibile è certamente dato dalla presenza di un’ampia rete di piste ciclabili e di parcheggi adeguati.

Un paese che è all’avanguardia in questo senso è certamente l’Olanda, dove più di un terzo dei cittadini indica la bicicletta come il modo più sistematico di spostarsi in una giornata normale invece dell’auto (45%) e dei mezzi pubblici (11%). La bicicletta copre una quota del 27% di tutti i viaggi urbani e rurali a livello nazionale. Nei comuni, questo valore è ancora più alto, come ad Amsterdam, con il 38%.

Si potrebbe immaginare che gli olandesi abbiano già coperto l’intero paese con piste ciclabili, ma invece c’è ancora molto da fare. Ecco perché il governo ha recentemente annunciato un investimento di 780 milioni di euro in nuove infrastrutture per le bici. In combinazione con gli impegni comunali e provinciali esistenti, porta l’investimento totale a 1,1 miliardi di euro entro il 2030.

L’investimento riguarda anche i futuri insediamenti e consolida la reputazione di un paese in cui la bicicletta è intenzionalmente incorporata nella pianificazione infrastrutturale, a differenza di molti paesi in cui è un ripensamento, con conseguenti retrofit come è avvenuto nel caso delle piste ciclabili temporanee realizzate durante il Covid.

Considerando l’enorme esperienza accumulata, i Paesi Bassi contano di formare 10.000 esperti di mobilità attiva provenienti da paesi di tutto il mondo nel corso del decennio. Il governo coprirà i costi di avvio del programma di formazione, con l’obiettivo finale di formare 40 gruppi di 25 partecipanti in 10 regioni del mondo.

Un altro esempio interessante viene dalla Francia, dove si stanno investendo 250 milioni di euro per rendere Parigi completamente ciclabile. Il sindaco di Parigi vuole realizzare 130 chilometri di nuove piste ciclabili entro il 2026. Attraverso il «Plan Velo: Act 2», inoltre sono state pensate lezioni nelle scuole per insegnare ai bambini come andare in bici. Il piano prevede anche la realizzazione di officine di riparazione in ogni distretto della Capitale.

Il decollo della rete ciclabile di Parigi ha consentito alla città di scalare le posizioni del Global bicycle cities index 2022, arrivando al 32° posto, trentatré posizioni sopra Milano, nella classifica delle città più «bike friendly» del mondo.

Irrompe la mobilità elettrica

Mentre sono ormai pochi a non credere che le auto elettriche domineranno il mercato mondiale. L’attenzione si deve concentrare sul ruolo che avrà l’Europa in questa transizione. La decisione della Ue di proibire dal 2035 la vendita di auto a combustione interna ha infatti rafforzato gli impegni delle case automobilistiche del continente nel passaggio all’elettrico, nell’ambito delle misure per contrastare il cambiamento climatico. Una transizione favorita dall’evoluzione tecnologica e dal crollo del prezzo delle batterie. Secondo uno studio di BloombergNEF, nel settore delle medie cilindrate già nel 2026 si potrebbe raggiungere la parità dei costi con le auto a batteria.

Va sottolineato l’effetto valanga delle decisioni europee, già registrato nei decenni scorsi nel settore delle rinnovabili. Significativa in questo senso la decisione anche della California di vietare la vendita di nuove auto a benzina entro il 2035.

Il fatto è però che partiamo in ritardo, anche per la miopia di alcuni gruppi automobilistici.

Il risultato è che si rischia una forte importazione di veicoli elettrici cinesi. Ricordiamo la storia del fotovoltaico che vide la nascita del mercato in Europa e poi rapidamente lo spostamento della produzione in Asia (con un attuale tentativo di recuperare un ruolo produttivo).

Nel caso dell’auto è successo il contrario. Visto che le case automobilistiche cinesi non sono riuscite a scalfire il dominio dei produttori occidentali, Pechino intelligentemente ha puntato a ricavarsi un ruolo nella trazione elettrica (due ruote, bus, auto). Nel 2021 Pechino ha esportato mezzo milione di veicoli elettrici. Quest’anno si venderanno 6 milioni auto elettriche in Cina e aumenta l’attenzione verso i mercati esteri. In effetti, nella prima metà del 2022 le vendite sono salite al 18% del mercato delle auto nuove.

Complessivamente le vendite mondiali saranno quest’anno pari a 10,6 milioni con un aumento del 60% sul 2021. Un dato interessante viene dalla riduzione del consumo di petrolio, che quest’anno viene stimato in 1,7 milioni di barili di greggio al giorno. Un contributo ancora limitato, considerato che si consumano poco più di 100 milioni di barili al giorno su scala globale, ma destinato a crescere significativamente.

Tornando all’Europa, è chiaro che si è svegliata tardi. Da questo punto di vista, il Dieselgate del 2015 ha rappresentato una salutare scossa per Volkswagen che ha accelerato la transizione verso l’elettrico destinandovi 60 miliardi €.

In questo contesto, l’Italia si trova in una situazione particolarmente delicata. Paghiamo lo scotto di una Fiat che non credeva all’elettrico (ricordiamo le stroncature di Marchionne) e di un forte comparto della componentistica che in parte lavora per la Germania. Che l’aria sia cambiata è però dimostrato dalle dichiarazioni di Stellantis, che prevede solo modelli a zero emissioni negli stabilimenti del nostro Paese. «Ci stiamo preparando per essere pronti a vendere 100% nel 2030 veicoli elettrici».

D’altra parte risulta poco comprensibile l’affermazione dell’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, al recente Salone dell’Auto di Parigi che invoca un po’ di «pragmatismo» per raddrizzare il «dogma del 2035 e dell’elettrico», altrimenti con queste politiche «l’Europa uccide il futuro della mobilità».

Altrettanto incomprensibili le posizioni assunte dai ministri Cingolani e Giorgetti del governo Draghi contro l’obiettivo del passaggio all’elettrico nel 2035.

Più responsabile la Cgil che ha affermato: «il dibattito e il confronto non può e non deve concentrarsi sulla possibilità di modificare la Direttiva europea ma piuttosto su come la Ue supporterà un percorso di grande trasformazione». Una scelta di nuova politica industriale che peraltro è stata adottata da Germania, Spagna, Francia e Regno Unito, molto poco dall’Italia. Pensiamo solo all’enorme spazio che ci sarebbe nella produzione di bus elettrici.

Un aspetto sicuramente delicato riguarda l’impatto occupazionale. Secondo Federmeccanica, lo stop delle auto a diesel e benzina entro il 2035 potrebbe causare la perdita di 73.000 posti di lavoro. Ma ci sono valutazioni molto differenti.

Ricordiamo che secondo l’Amministratore di Renault in Francia potrebbero saltare 75.000 posti di lavoro, ma nel lungo periodo se ne potrebbero creare mezzo milione, con una forte crescita delle aziende specializzate in software, infrastrutture di ricarica, batterie.

Trasporto internazionale di merci e globalizzazione

Passiamo ad un altro settore strategico, quello del trasporto internazionale delle merci.

Si estende infatti la riflessione sul fatto che la globalizzazione sia andata troppo oltre, portando a perdite occupazionali, disuguaglianza economiche ed eccessiva dipendenza da paesi poco affidabili. Ricordate la mancanza di mascherine all’inizio del Covid? In effetti, sia la pandemia sia l’emergenza climatica sollecitano una riflessione anche sulle criticità della globalizzazione.

In effetti si inizia a riflettere sul fatto che il ritorno a casa delle produzioni, pur non essendo la scelta più economica, potrebbe rappresentare l’opzione più efficace se valutata rispetto alla resilienza e alla sostenibilità della catena di approvvigionamento. Secondo il Kearney 2021 Reshoring Index, i motivi principali per cui le aziende statunitensi considerano il «ritorno a casa» includono il costo del lavoro, i tempi di consegna, i costi logistici e la riduzione dell’impronta di carbonio.

Ed è significativo il fatto che oltre il 60% delle aziende manifatturiere europee e statunitensi preveda di trasferire parte della propria produzione asiatica nei prossimi tre anni e una società su cinque prevede di rimpatriare anche la maggior parte della capacità produttiva di Cina e Asia.

Naturalmente c’è chi difende a spada tratta la globalizzazione. L’indiano, Raghuram Rajan, già capo economista del Fondo monetario internazionale, partecipando lo scorso ottobre ad un evento della Banca mondiale ha espresso in modo netto la posizione dei «globalisti». «Non solo politicamente ma anche economicamente, la continua crescita dei flussi commerciali transfrontalieri, capitale, tecnologia, informazione e persone, consentite dalla globalizzazione, saranno necessari affrontare il cambiamento climatico. La de-globalizzazione ci disarmerà nella battaglia per salvare il nostro pianeta. L’azione per il clima e la continua globalizzazione vanno di pari passo». Una posizione difficilmente condivisibile.

Anche il trasporto merci vira verso l’elettrico

Ma la transizione verso l’elettrico non riguarda solo le auto. Ricordiamo che in Cina già circolano 500.000 autobus elettrici. Ed è grande il fervore nel settore del trasporto merci in particolare sulle piccole e medie distanze.

Una recente ricerca del McKinsey Center for Future Mobility suggerisce che entro il 2025, il 4% di tutte le vendite di mezzi di trasporto merci di media e grande taglia in Europa saranno veicoli a zero emissioni. Tale quota potrebbe crescere al 37% entro il 2030, rappresentando circa 150.000 veicoli elettrici, in parte a batteria e in parte, nella seconda parte del decennio, a celle a combustibile alimentate ad idrogeno.

Una scelta dettata dalla necessità di ridurre l’inquinamento dell’aria e le emissioni di CO2, oltre che dalla presenza di una forte industria di autobus e, soprattutto, di batterie.

Anche le flotte urbane in Europa dovrebbero fare il salto e alcune città, come il Comune di Milano, hanno deciso che alla fine di questo decennio gli autobus in circolazione saranno tutti elettrici.

E nel terzo mondo si stanno diffondendo i «Tuk tuk» elettrici, le nostre Api Piaggio per trasportare persone e merci nelle grandi città.

Ad esempio, in India ci sono almeno 1,75 milioni di veicoli elettrici a tre ruote, anche se la cifra effettiva è probabilmente più alta poiché molti mezzi non sono registrati o tracciati. Questa esplosione si spiega col fatto che i veicoli elettrici a tre ruote sono molto più economici da acquistare rispetto a quelli a benzina o diesel ed ovviamente consentono di ridurre l’inquinamento.

Conclusione

Il settore del trasporto è quello che riesce con maggior difficoltà a ridurre il proprio contributo di emissioni climalteranti. Anche per questa ragione nei prossimi 20-30 anni vedremo trasformazioni radicali nel comparto della mobilità. In questo pezzo sono contenuti alcuni spunti delle modifiche tecnologiche, strutturali e di comportamento, utili per capire gli scenari che si apriranno.

 

Gianni Silvestrini, Direttore scientifico Kyoto Club e Qualenergia