La mobilità specchio della nostra inefficienza

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Le soluzioni suggerite da Franco Tassi

Amare considerazioni: Un grande Paese, con una storia straordinaria, che sta affondando nella mediocrità, nella banalità e nell’auto-disfacimento, senza neppure rendersene conto. Non si cura di assetto del territorio, pianificazione urbanistica, programmazione economica, ma di calcio, moda, pettegolume, gossip

Alcune recenti inchieste internazionali convergono nel porre l’Italia agli ultimi posti, tra i Paesi più progrediti, nella classifica della mobilità sostenibile, o agevolata, e le nostre città non vantano certo posizioni eccellenti per qualità della vita, facilità di spostamento, parcheggio, svolgimento delle normali attività sociali, lavorative, ricreative, commerciali, economiche, culturali e sanitarie.

Quali sono le ragioni di questa situazione, che danneggia, sia sul piano della competitività sia dell’immagine, un Paese unico al mondo, privilegiato a livello culturale, storico, monumentale, artistico, paesaggistico e naturale?

A questo proposito proponiamo una recente intervista che alla ricerca di risposte soddisfacenti, la giornalista Mirka Baumgarten ha voluto fare a Franco Tassi, ambientalista che avendo trascorso lunghi periodi all’estero, conosce ben altre realtà, e che da oltre mezzo secolo denuncia il degrado territoriale e urbano, battendosi perché l’Italia imbocchi una strada decisamente diversa.

Per quali ragioni una ragnatela di impedimenti sembra soffocare la vita normale, complicando la mobilità e rendendo ogni spostamento lungo e difficile?

Si potrebbe rispondere che questo Paese, per la sua stessa conformazione, pone sfide non semplici. Cinto al vertice dalle Alpi, modellato lungo la penisola dall’Appennino, in sostanza molto montuoso e accidentato, per di più circondato da centinaia di isole grandi e piccole… Ma ad essere onesti, bisogna riconoscere che non è questa la vera ragione della crisi della mobilità. In fondo, l’antica Roma, con la mirabile rete delle strade consolari che si irradiavano dalla capitale, aveva dimostrato come fosse possibile collegare località distanti. Alla complessità territoriale, però, gli italiani hanno aggiunto un metodo micidiale: disprezzo per ogni regola, abolizione di qualsiasi limite, sfrenata conquista di ogni spazio da sfruttare, edificare, cementificare.

Come si spiega questa dilagante anarchia?

La cause sono molte, evidenti e con precise radici storiche. Un popolo dominato sempre dagli stranieri si sforza di aggirare i divieti, scavalcare le barriere, annacquare le regole. Con spiccato individualismo, scarsa maturità politica, refrattario all’interesse collettivo e al bene comune. Contrario a ogni pianificazione, incapace di prendere esempio da modelli più evoluti. A livello internazionale, uno dei cardini di qualsiasi intervento è sempre stato il cosiddetto «Aménagement du Territoire». Ma a qualcuno risulta che la politica nostrana si sia mai ispirata a un equilibrato e saggio «Assetto del Territorio»?

E questa anomalia ha forti ripercussioni sulla mobilità?

Certamente, perché l’attuale approccio è ben diverso da quello dei secoli scorsi. La politica si basa oggi su interessi materiali e bassi calcoli econometrici, capaci di valutare soltanto ciò che appare misurabile, quantificabile e monetizzabile. Le scelte del passato nascevano invece da una visione ampia e lungimirante, come quella che aveva ispirato le strade consolari, le quali, benché in più punti martoriate, svolgono ancora un ruolo fondamentale. E suscitano meraviglia! Pensiamo ad esempio all’Appia Antica, che si può ancora ammirare grazie all’impegno di personaggi straordinari come Antonio Cederna, al cui nome è dedicata la galleria da lui fortemente voluta per sotto-passare la Regina Viarum. Un prodigioso monumento storico, che altrimenti sarebbe stato sconquassato, e poi ricoperto senza scrupoli di cemento.

Dunque l’attuale crisi territoriale e sociale sarebbe dovuta a mentalità più retrograda?

Senza dubbio, basti pensare che dall’epoca del Miracolo Economico italiano in poi, gli idoli da noi adorati e divinizzati sono stati soprattutto tre: cemento, autoveicoli e petrolio. E quindi edilizia, strade, autostrade, automobili e camion erano gli unici obiettivi perseguiti, diventando il presupposto della esplosione di autoveicoli privati, e del trasporto delle fiumane dei Tir che tutti conosciamo bene. Una tossico-dipendenza da cui il Paese non sembra capace di liberarsi. Ha infatti il coraggio di puntare ancora sul mitico Ponte dello Stretto di Messina (zona ad altissima sismicità!), come fosse il magico toccasana per un’Italia flagellata da dissesto ecologico, idrogeologico e climatico, afflitta da corruzione, criminalità organizzata, disordine sociale, disoccupazione e povertà.

Ma in quale altro modo si sarebbe allora potuto soddisfare la crescente domanda di viaggi, spostamenti e mobilità?

La soluzione era semplice, come l’uovo di Colombo. Anzitutto puntando alla mobilità su binario, perché il treno sposta gente e merci nel modo più rapido, sicuro ed economico, assai meno inquinante e invadente. Nei secoli scorsi l’Italia aveva una delle reti ferroviarie migliori dell’epoca, ma poi per miopia congenita l’abbandonò. Giungendo a smantellare anche le piccole linee panoramiche di straordinario valore turistico, che in qualche caso dovette poi addirittura ripristinare. Negli ultimi tempi, è vero, ha creato anche treni ad alta velocità … Ma soprattutto dove interessavano politici influenti, trascurando sempre le linee minori e secondarie, con enormi disagi per i pendolari. Un esempio lampante è offerto dalla Roma-Ostia, che poteva diventare una comodissima metropolitana di superficie, eliminando congestione, ritardi, inquinamento. E invece è una storia senza eguali di continui fallimenti … Ma non ci si rende conto della folla traboccante che impiega ogni giorno oltre un’ora (a volte due!) per raggiungere il centro o il luogo di lavoro, e altrettanto nel viaggio di ritorno?

Giusta proposta per la mobilità individuale, che oggi rappresenta una delle principali cause della crisi urbana. Ma come risolvere il problema dell’ingente traffico dei mezzi pesanti, i Tir, gran parte dei quali percorrono la penisola per collegamenti con il Mediterraneo, l’Africa e il Medio Oriente?

Anche qui la soluzione era a portata di mano, ma la politica l’ha scioccamente scartata. Migliaia di Container potevano agevolmente essere imbarcati, e raggiungere le loro mete via mare, rilanciando i Porti di Genova e di Trieste, e in questo modo riducendo traffico, consumo energetico, inquinamento e incidenti nella penisola.

Quindi esistevano soluzioni appropriate, ma non si sono volute adottare?

Sembra la nemesi di un popolo che non sa guardare lontano, dove ciascuno è capace di esprimere solo una cultura, una volontà e una politica che non vedono gli interessi collettivi, il bene comune, ma solo i vantaggi immediati per sé e per il proprio clan. A comandare sono quasi sempre i più forti, cialtroni e invadenti, causando questi disastri nazionali. Ma si deve riconoscere che purtroppo godono della silenziosa complicità di gran parte degli italiani … Se cosi non fosse, certe bande al potere non durerebbero più di tre giorni.

Come si potrebbe quindi definire la situazione dell’Italia al giorno d’oggi?

Un grande Paese, con una storia straordinaria, che sta affondando nella mediocrità, nella banalità e nell’auto-disfacimento, senza neppure rendersene conto. Non si cura di assetto del territorio, pianificazione urbanistica, programmazione economica, ma di calcio, moda, pettegolume, gossip … Nel frattempo, imperano speculazione edilizia, stradomanìa e cementificazione, con la puntuale immancabile benedizione di condoni e sanatorie. Il risultato è ben visibile nel dissesto ecologico, idrogeologico e climatico che nessuno pensa realmente a contenere, contrastare, prevenire. Quando arriva la catastrofe, crolli, frane, smottamenti, dilavamenti, colate di acqua e fango, alluvioni… si scatena un vero diluvio, fatto solo di parole. Si accenna qualche volta all’abusivismo, si interrogano gli esperti di turno che suggeriscono dighe, sbarramenti e cementificazioni dei corsi d’acqua, o nel migliore dei casi si interpella qualche bravo geologo di passaggio, pronto ad illuminarci sul fatto che l’Italia è un Paese giovane, affetto da colate detritiche rapide, e via dicendo … Ma nessuno che mai alzi la testa, e guardi alle ripide pendici soprastanti dove il bosco era stato tagliato, la vegetazione diradata, il suolo denudato … Perché non c’è più cieco, di chi non vuol vedere, e di una sola cosa si può esser certi: che tutto continuerà come prima.

Un quadro davvero sconfortante, al quale proprio non ci sarebbe rimedio?

Qualche segnale affiorante qua e là indica che in effetti esistono rimedi efficaci, interventi auspicabili, e nuove vie altrove sperimentate, come la cosiddetta Urbanizzazione Sostenibile, il Bosco in Città e la Città 15 minuti, in cui aumenta la mobilità condivisa, si moltiplicano piste ciclabili e minibus elettrici capillari. Sono molte le metropoli che, avendo ormai constatato il fallimento del modello iper-motorizzato del passato, stanno muovendosi verso soluzioni innovative: Los Angeles, Parigi, Ginevra, Vienna, Barcellona, Milano, Amsterdam, Helsinki, Copenhagen, Cordova, Buenos Aires, Valencia … Per ironia della sorte, alcuni dei migliori risultati sono dovuti alla creatività visionaria italica. Eric Garcetti, inventore del nuovo modello urbano di Los Angeles, è di origine italiana. E Giuseppe Greggi, che ha eliminato le auto a Valencia, era arrivato dall’Italia. Forse una singolare coincidenza? Ma la vera domanda è un’altra: se avessero voluto applicare qui da noi le loro avveniristiche innovazioni, glielo avrebbero consentito?

 

Franco Tassi