Cambiare l’economia che ha invertito le priorità

2056
Convegno Roma
La sede della Società geografica italiana a Roma
Tempo di lettura: 3 minuti

Dalla Strategia di bioeconomia alla bioeconomia integrata

Strategico convegno a Roma, importanti contenuti dalla Conferenza scientifica multidisciplinare fra ricerca e azione in svolgimento presso la Società geografica italiana. Stefano Zamberlan: «la necessità di cambiare l’economia per sfuggire a una situazione paradossale in cui non è il sistema economico che dà da vivere all’uomo, ma l’uomo che vive perché il sistema economico possa produrre e sostenere la finanza

«Invece di accettare una società che sta diventando sempre meno democratica, in cui le scelte sfuggono ormai completamente agli individui e domina il principio di crescita economica ad ogni costo, si può pensare ad uno sviluppo che si attui sui principi di Precauzione e Responsabilità… ponendo il mantenimento della salute al di sopra dell’interesse economico»… parla anche di questo, la strada da seguire con la citazione di Lorenzo Tomatis, l’intervento di Patrizia Gentilini, medico oncologo, Fondazione «Allineare sanità e salute», ultimo intervento in programma nella prima sessione «La strategia di bioeconomia vs la bioeconomia» della Conferenza scientifica multidisciplinare fra ricerca e azione «Dalla Strategia di bioeconomia alla bioeconomia integrata, in armonia con la vita e le leggi della natura» in svolgimento da ieri presso la Società geografica italiana a Roma, e si concluderà oggi.

Convegno Roma interno
Un momento del convegno in svolgimento a Roma

Il convegno ha certamente un carattere multidisciplinare, con interventi di storici, geografi, economisti, urbanisti, biologi, ecc., ma di certo quello che mette in evidenzia è che tutte queste varie branche della scienza stiano gridando a gran voce come sia necessario cambiare il paradigma che governa le nostre società con la «necessità di cambiare l’economia per sfuggire a una situazione paradossale in cui non è il sistema economico che dà da vivere all’uomo, ma l’uomo che vive perché il sistema economico possa produrre e sostenere la finanza» (Stefano Zamberlan, Direttore editoriale e Coordinatore scientifico della Rivista Economia e Ambiente.

La bioeconomia, secondo la teoria di Nicholas Georgescu-Roegen, si fonda sul presupposto che i processi economici, investendo il mondo fisico, sono soggetti alle sue leggi, prima fra tutte l’entropia, ovvero la irreversibile dissipazione di energia e materia generata dai processi di trasformazione. I processi di produzione sono visti come un insieme di fondi (terra, capitale e lavoro) e flussi (risorse naturali, prodotti e scarti), in cui non vi è sostituibilità tra fondi e flussi. Un’economia sostenibile e circolare non richiede soltanto flussi rinnovabili ma anche una relazione fondi-flussi che rispetti e mantenga l’identità dei fondi, cosa che non risulta garantita dalla Strategia di bioeconomia che invece riflette un’accezione opposta e relativamente recente della parola «bioeconomia», promossa dall’industria biotech, chimica, farmaceutica, agroindustriale e dai progressi della biologia, della genetica e della tecnologia molecolari, nonché dalla domanda di biomasse per usi industriali e non alimentari.

Altro elemento importante da sottolineare è la necessità di cambiare gli indici che evidenziano il benessere delle comunità, e quindi non solo identificabili con numeri quali ad esempio il Prodotto interno lordo (Pil) ma con gli indici di benessere e gioia di vivere della gente.

Nel suo intervento «Strategia di bioeconomia: biomassa, digitalizzazione e territori», Margherita Ciervo, geografa dell’Università di Foggia, evidenzia come la Strategia di bioeconomia della Commissione europea faccia riferimento al documento «Innovating for Sustainable Growth: A Bioeconomy for Europe» (CE, 2012) che, in aperta contraddizione con la bioeconomia compatibile con la vita e le leggi della natura teorizzata da Georgescu-Roegen, si sostanzia in una strategia industriale basata sulla sostituzione di fonti fossili con quelle organiche per la produzione di beni, oltre che energia, secondo un approccio tecnocentrico e sulla base del paradigma riduzionista e utilitarista che, analogamente all’economia «fossile», alla quale si contrapporrebbe, considera il territorio come un «contenitore» di risorse da sfruttare, senza alcuna riflessione su obiettivi, scale, modelli e filiere di produzione, abitudini sociali e di consumo.

Nel 2017, la Strategia è stata revisionata, mettendo in luce la necessità di un riesame dello scopo e delle azioni nel senso di una bioeconomia circolare e sostenibile e, nel 2018, aggiornata con l’adeguamento degli obiettivi alle priorità strategiche e degli ambiti, nonché con la proposizione di 14 azioni concrete con il 2025 come orizzonte temporale. Tale aggiornamento è oggetto di analisi per verificare, da un lato, eventuali cambiamenti sul piano paradigmatico e operativo rispetto alla Strategia del 2012, dall’altro per valutarne i possibili effetti territoriali focalizzandosi sui due pilastri cardine su cui si fonda: la produzione di biomassa su vasta scala e l’uso di alta tecnologia.

E l’intervento della Ciervo si concentra sul primo aspetto. La biomassa su larga scala fatta a scopi industriali ed energetici, necessita di assicurare la quantità necessaria, di gestire le risorse, campi e boschi in primis, promuovendo un’agricoltura meccanizzata che, di fatto, su scala territoriale significa una trasformazione delle campagne in campi hub industriali, su scala ambientale comporta una perdita di biodiversità, il degrado del suolo e delle falde acquifere, dal punto di vista geoeconomico impone la crescita della dipendenza delle aree rurali dalle industrie e dai mercati globali. Ovviamente tutto questo in disapplicazione con l’approccio ecosistemico su base scientifica…

 

Elsa Sciancalepore