È allarme rosso per il corallo pugliese

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corallo rosso
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«Negli ultimi 50 anni si è assistito ad un importante coinvolgimento di subacquei professionisti e, più recentemente, all’utilizzo di veicoli subacquei filoguidati (Rov)». I biologi marini dell’Università di Bari consigliano quindi alla Regione Puglia alcune azioni immediate

C’era una volta il corallo rosso (Corallium rubrum) che tempestava le scogliere sommerse del mare di Puglia. La sua bellezza e lavorabilità, però, ne hanno segnato la sorte negativa. «Fino agli anni 70 la specie è stata soggetta a pesca distruttiva per mezzo dell’ingegno raccogliendo circa 450 ton/anno. Negli ultimi 50 anni si è assistito ad un importante coinvolgimento di subacquei professionisti e, più recentemente, all’utilizzo di veicoli subacquei filoguidati (Rov).

«Dati ufficiali, plausibilmente sottostimati, riportano per gli anni 80 circa 70 ton/anno di corallo rosso pescato in tutto il Mediterraneo; dagli anni 90 fino ai giorni nostri si è assistito ad un drastico declino della quantità di corallo pescato, sintomo che, nonostante la modernizzazione dei mezzi di prelievo, che facilita l’accesso ai banchi più profondi, la pesca indiscriminata dei decenni precedenti aveva drasticamente impoverito gli stock disponibili». Sono parole e dati ripresi dalla relazione sullo stato di avanzamento del progetto per l’elaborazione del piano di gestione per la conservazione del corallo rosso pugliese, finanziato dalla Regione Puglia con fondi UE FESR e messo a punto dal Dipartimento di Bioscienze, biotecnologie e ambiente dell’Università di Bari.

Il rapporto è stato presentato questa mattina a Bari presso l’Aula Magna dello stesso Dipartimento. Il gruppo di lavoro scientifico, coordinato da Giuseppe Corriero e con referente scientifico Maria Mercurio, ha verificato e validato le scarne informazioni disponibili sulla presenza del corallo rosso e le ha aggiornate ed incrementate. «La raccolta intensiva — dicono i ricercatori baresi — ha causato non solo l’esaurimento di molti stock commerciali ma anche un radicale cambiamento nella struttura delle popolazioni più superficiali, con la perdita delle colonie di taglia commerciale. Recentemente, inoltre, il corallo rosso è stato inserito tra le specie «in pericolo» nella Lista rossa Iucn, valutazione che indica l’urgenza di definire opportuni piani di gestione mirati alla conservazione di questa specie. Di recente emanazione, è infatti, il decreto del 21 dicembre 2018 del ministero delle Politiche Agricole, Alimentari, Forestali e del Turismo che ne regolamenta lo sfruttamento a livello nazionale». Per avere più efficacia dal punto di vista conservazionistico — osservano ancora i ricercatori — è necessario mettere a punto indicazioni gestionali a livello regionale.

La situazione pugliese

«Lungo la costa pugliese — si afferma nel rapporto — gli scarni dati disponibili indicavano una presenza discontinua del corallo rosso nel settore ionico lungo i tratti compresi tra Taranto e Punta Ristola e tra Otranto e Santa Maria di Leuca, a partire da circa 55 m di profondità, con densità e taglia media molto differenziate da un’area all’altra. I risultati delle predette ricerche avevano evidenziato la sporadica presenza di colonie di taglia commerciale, e messo in evidenza segni di una diffusa ed indiscriminata attività di prelievo. Le informazioni disponibili erano tuttavia ancora preliminari per consentire di stimare la consistenza e distribuzione orizzontale e verticale del popolamento su scala geografica regionale, né tantomeno per valutare lo stato di conservazione e il rischio cui la specie è soggetta».

Per verificare la presenza e lo stato di salute delle colonie di corallo rosso (che ha un valore commerciale di circa 1.000 euro/kg ma che in Puglia non ha una filiera legale di trasformazione), il gruppo di lavoro ha scandagliato le aree in prossimità dei Siti marini Natura 2000 «Costa Otranto-Santa Maria Di Leuca» (Lecce), «Posidonieto Capo San Gregorio-Punta Ristola» e «Litorale di Ugento» (Lecce), «Posidonieto Isola di San Pietro- Torre Canneto» (Taranto).

I risultati preoccupanti

Nei fondali in prossimità di Taranto «più dell’80% della popolazione studiata si trova sotto la taglia minima di prelievo pari a 10 mm di diametro basale». Nel 2018 la situazione era più favorevole con le popolazioni prossime alla maturità «avendo per la maggior parte individui di dimensioni medie (5-10 mm), prossime a passare nelle classi di taglia più alte, ma nel complesso ancora giovane, non avendo riscontrato la presenza di individui con diametro maggiore di 14 mm. Purtroppo il monitoraggio effettuato nel 2022 ha rivelato un importante spostamento delle classi di taglia individuate nel 2018 verso quelle più piccole, segno che c’è stata una importante azione di prelievo a carico delle classi di taglia maggiori». Nella zona di Santa Maria di Leuca la situazione è un po’ migliore ma anche qui il prelievo ha ridotto di molto dimensioni e popolazioni. «Si può osservare — dicono i ricercatori — come la maggior parte delle colonie presenti un diametro compreso tra i 3 e 8 mm. Solo poche colonie superano i 10 mm, di cui 2 presentano diametro basale di circa 14 mm, 2 di circa 16 mm e una colonia con diametro basale pari a 19,2 mm. Più dell’80% della popolazione studiata si trova sotto la taglia minima di prelievo pari a 10 mm di diametro basale. […] La predominanza di colonie di piccole e medie dimensioni sembra suggerire che i banchi analizzati siano in uno stato di lenta ripresa, in risposta ad uno sfruttamento molto elevato nei precedenti anni».

Nel mare di Otranto e di Ugento

Situazione preoccupante ma in lenta ripresa anche nei fondali idruntini dove «la maggior parte colonie presenta un diametro compreso tra i 5 e 8 mm. Solo 7 colonie superano i 10 mm, di cui 3 di 11 mm, una di 17 mm, una di 29 mm, una di 34 mm e una di 41 mm. Più del 75% della popolazione studiata si trova sotto la taglia minima di prelievo pari a 10 mm di diametro basale». Nei fondali di Ugento «il 70% della popolazione studiata si trova sotto la taglia minima di prelievo pari a 10 mm di diametro basale».

I suggerimenti gestionali

I biologi marini dell’Università di Bari consigliano quindi alla Regione Puglia alcune azioni immediate: «blocco del prelievo in tutto il territorio regionale per un congruo intervallo temporale (almeno un decennio); ridefinizione dei confini ed implementazione dei Sic marini a protezione della risorsa; incremento delle attività di controllo della pesca illegale; elaborazione di un opportuno piano di monitoraggio temporale condotto su scala regionale o subregionale, per la valutazione dell’efficacia delle misure di protezione adottate nel tempo». Saranno ascoltati?

 

Fabio Modesti