Il caso di un fungaiolo in Aspromonte. In alcuni dPR di istituzione di parchi nazionali, ad esempio, è stata inserita la norma di salvezza di tali attività ma in altri no e le sole norme regionali sembrano, da quel che afferma la Cassazione, non bastare
Raccogliere funghi epigei ed ipogei (tartufi) nei parchi nazionali non è poi così ovvio che avvenga. Un fungaiolo, E. S., è stato intercettato dai Carabinieri Forestali con in auto funghi epigei raccolti in zona «A» del parco nazionale dell’Aspromonte in assenza di autorizzazione o nulla osta dell’ente parco. Il soggetto è stato condannato in primo grado dal tribunale penale di Reggio Calabria alla sola ammenda di 500 euro, con pena sospesa e senza menzione nel casellario giudiziale.
E. S. ha prodotto ricorso in Cassazione con una serie di motivi dei quali ci interessa porre in evidenza l’ultimo. La difesa di E. S., infatti, ha argomentato «che […] la raccolta dei funghi, non rientra fra quelle che il legislatore ha inteso vietare attraverso la disposizione di cui all’art. 13, comma 1, della legge n. 394 del 1991 [legge quadro sulle aree naturali protette N.d.R.]; attività, ha aggiunto il ricorrente, che trova una sua organica disciplina, a livello regionale, nella legge della Regione Calabria n. 30 del 2001, la quale ripete le sue linee guida dalla legge dello Stato n. 352 del 1993 e del dPR n. 376 del 1995, i quali subordinano lo svolgimento dell’attività di raccolta dei funghi al possesso di determinati requisiti, in assenza dei quali la stessa è punita con sanzioni amministrative di carattere pecuniario. Rileva, pertanto, la difesa che l’attività di raccolta di funghi, se svolta in assenza di abilitazione, è pienamente presidiata attraverso le citate sanzioni amministrative e la stessa non può essere inquadrata nella sfera di operatività, definita evanescente, di cui all’art. 13 della legge n. 394 del 1991; diversamente considerando sarebbero violati i principi, rilevanti anche a livello costituzionale, in ordine alla necessaria tassatività delle disposizioni penali precettive, con conseguente violazione del principio di legalità tutelato, con riferimento alle norma penali dall’art. 25, comma 2, Cost.». La terza sezione della Cassazione ha respinto tutti i motivi di ricorso con una sentenza pubblicata a metà dicembre scorso ed in merito al motivo che ci interessa è stata lapidaria.
Perché è necessaria l’autorizzazione dell’ente parco
Dicono infatti i giudici della Suprema Corte che «si tratta di argomentazioni che scontano un vizio di fondo, posto che il loro svolgimento non tiene conto del fatto che i termini di applicazione della legislazione, ragionale e nazionale, in materia di raccolta di funghi richiamati dalla ricorrente difesa sono costituiti dalla astratta liceità di tale condotta; in altre parole, è ben vero che nel territorio calabrese la raccolta di funghi è subordinata al possesso dei requisiti soggettivi richiamati, in attuazione della legge statale n. 352 del 1993 e del dPR (decreti del Presidente della Repubblica) n. 376 del 1995, dalla legge della Regione Calabria n. 30 del 2001, ma ciò limitatamente agli ambiti territoriali ove, oggettivamente, tale attività sia consentita, cosa che, invece, all’interno dei Parchi naturali secondo le previsioni di cui alla legge n. 394 del 1991 non è, in via di principio, ammessa».
Ed ancora, non vi è alcun dubbio di legittimità costituzionale della norma che subordina determinate attività, compresa la raccolta di funghi, ad autorizzazione dell’ente parco poiché «i termini utilizzati dal legislatore non appaiono caratterizzati da alcuna vaghezza che possa ingenerare fondate incertezze sul reale contenuto del precetto penale contenuto delle disposizioni la cui violazione è attribuita al ricorrente nel capo di imputazione a lui contestato».
Fungaioli e tartufai in allerta
In definitiva, la Cassazione ha sancito che nei parchi nazionali non si può, per principio, raccogliere funghi (epigei ma anche ipogei). La possibilità di farlo non risiede nelle eventuali norme regionali che regolano la materia ma nelle primarie disposizioni specifiche dell’area protetta (provvedimento istitutivo, piano per il parco o regolamento) con le quali l’ente di gestione disciplina l’attività, la limita oppure la inibisce. In alcuni dPR di istituzione di parchi nazionali, ad esempio, è stata inserita la norma di salvezza di tali attività ma in altri no e le sole norme regionali sembrano, da quel che afferma la Cassazione, non bastare.
Fabio Modesti