Rinnovabili, non si può semplificare senza Piano

2007
energia solare fotovoltaico
Tempo di lettura: 3 minuti

Come si potrà fare ad applicare la norma Ue (considerato anche che il governo sta per approvare un decreto-legge in tal senso) in Regioni, come ad esempio la Puglia, prive del Piano energetico ed in assenza di individuazione di aree idonee alla localizzazione di impianti di rinnovabili

Il Regolamento Ue n. 2577 del 22 dicembre scorso «che istituisce il quadro per accelerare la diffusione delle energie rinnovabili», afferma che nel medesimo testo vi sono «numerose misure [che] possono essere attuate dagli Stati membri rapidamente per razionalizzare la procedura autorizzativa applicabile ai progetti di energia rinnovabile, senza esigere modifiche onerose delle procedure e degli ordinamenti giuridici nazionali».

Sembra impossibile si possa fare dopo che in questi anni abbiamo assistito in Italia alla demolizione di molte norme di tutela paesaggistica e naturalistica per favorire il «pensiero unico» sulle rinnovabili che salvano il mondo. Lo stesso regolamento Ue, che si applica immediatamente in tutti gli Stati membri e per la durata di 18 mesi, prevede che gli Stati membri possano derogare alla procedura di valutazione di impatto ambientale (Via) a condizione che i siti di localizzazione dei progetti di impianti siano stati individuati nell’ambito di una specifica pianificazione delle aree idonee, che va sottoposta a valutazione ambientale strategica (Vas).

Ci si chiede, quindi, come si potrà fare ad applicare questa norma (considerato anche che il governo sta per approvare un decreto-legge in tal senso) in Regioni, come ad esempio la Puglia, prive del Piano energetico ed in assenza di individuazione di aree idonee alla localizzazione di impianti di rinnovabili. Come abbiamo scritto più volte, quelle Regioni, e la Puglia in particolare, sono in preda ad una pericolosa deregulation in materia che solo la pianificazione può frenare. Ma c’è di più. La Corte costituzionale, con una sentenza di poco più di un anno fa aveva anche legittimato la via legislativa regionale per la tutela di parti del territorio da impianti di energia da fonti rinnovabili anche prima dell’approvazione del Piano energetico.

L’interesse pubblico prevalente

Il Regolamento Ue, inoltre, chiarisce il concetto di «interesse pubblico prevalente e d’interesse per la sanità e la sicurezza pubblica» con riferimento, in particolare, all’applicazione della direttiva comunitaria 92/43 «Habitat» per la tutela di habitat naturali e seminaturali e di specie selvatiche animali e vegetali.

Sostanzialmente, le norme dell’Ue assegnano agli impianti di energia da fonti rinnovabili tale status e così potrebbero essere realizzati in deroga alle disposizioni di tutela della direttiva «Habitat» attraverso procedure di coinvolgimento della Commissione Ue da parte dello Stato membro. Ma gli Stati membri, e quindi anche le Regioni, possono limitare, secondo lo stesso Regolamento, «l’applicazione di tali disposizioni a determinate parti del loro territorio» purché a monte vi sia una pianificazione energetica. L’inerzia delle Regioni nel dotarsi di Piani energetici, quindi, sta determinando un rischio tangibile di perdita di biodiversità confermata, peraltro, da recenti studi che hanno verificato l’impatto di impianti, soprattutto eolici, su alcune specie.

La corsia preferenziale al «revamping»

In una sorta di corsa disperata verso il nulla o verso il poco, maledetto e subito (ché di tal fatta è il contributo che le rinnovabili possono dare alla «decarbonizzazione»), il Regolamento Ue spinge a derogare alle procedure di valutazione ambientale anche gli impianti esistenti soggetti al cosiddetto «revamping», ossia al loro potenziamento. Una questione su cui, sempre a titolo di esempio, la Regione Puglia aveva cercato di intervenire legislativamente precorrendo i tempi scontrandosi, però, con la Corte costituzionale che tre anni fa dichiarò illegittima la norma. Anche per questo aspetto l’assenza di pianificazione regionale ed il sovrapporsi nel tempo di tutele paesaggistiche, che in molti casi di fatto rendono gli impianti esistenti confliggenti con queste ultime, contribuisce a non avere un quadro chiaro delle aree idonee e non idonee all’installazione di rinnovabili con il risultato di territori e di aree marine divenute oggetto dei peggiori appetiti da parte del composito mondo di fondi di investimento, banche d’affari e multinazionali che hanno fatto del green deal il Vangelo dell’opportunismo finanziario assistito dalla spesa pubblica.

 

Fabio Modesti