L’egoismo è l’altra faccia della solidarietà. Stiamo assistendo ad un aumento di egoismo che dovrebbe unirci di più per difenderci e non dividerci pretestuosamente perché sarebbe la fine, come la perdita di sostenibilità e rispetto del pianeta stanno amaramente dimostrando
Il naufragio di Cutro è l’ultimo, di tanti che sono accaduti, dai tempi dei tempi. Viaggi di disperati in cerca di vita che stanno aumentando in maniera globale. Una umanità che ha accelerato la perdita di umanità, di pietà, di giustizia, di pace, in un pianeta che si sta consegnando all’egoismo.
Non si deve cadere nella trappola delle valutazioni di colpe e responsabilità ma si deve valutare sempre più il ricatto dell’egoismo.
Nazioni che usano la povertà e la disperazione come arma per monetizzare ciò che non è monetizzabile; nazioni che si chiudono all’interno di mura e confini che sono l’evidenziazione di confini morali ben più gravi e profondi; nazioni imbellettate con un profilo esterno di perbenismo e giustizia che nascondono lo stesso becero e crudele egoismo.
Questo siamo diventati ed è da questo che dobbiamo guardarci, difenderci e «armarci».
Non cediamo la nostra umanità a categorie politiche obsolete e insignificanti di fronte alla grandezza delle distruzioni per guerre, terremoti, epidemie. Anzi, il rifugiarsi in quelle categorie deve essere per noi una spia, un allarme, un segnale per scappare lontano, per aggregarci con chi ha una visione lungimirante, fuori dagli egoismi nazionali ed economici, e optare per una visione positiva e solidale.
L’egoismo è l’altra faccia della solidarietà. Stiamo assistendo ad un aumento di egoismo che dovrebbe unirci di più per difenderci e non dividerci pretestuosamente perché sarebbe la fine, come la perdita di sostenibilità e rispetto del pianeta stanno amaramente dimostrando. E ben riflettendo è facile leggere i connotati di un vergognoso egoismo difronte alla perdita di biodiversità che stiamo affrontando.
Francesco Sofia, ha inviato una riflessione su questo evento che pubblichiamo volentieri perché fotografa questa realtà che gli uomini stanno attraversando e speriamo non subisca ancora.
ELEGIA
Ero il ponte
coprivo i respiri affannati dei fuggiaschi
mi cullano le onde pettinate dal vento
ero di murata
a me si appoggiavano donne senza velo
mani che sapevano di sale
piedi con sabbia di Nesme
mi cullano le onde pettinate dal vento
ero a poppa
ero a prua
resto io, sono della carena
ci cullano le onde pettinate dal vento
… Siamo nel fondo di questo mare
amavo la via della libertà
restituiscimi al sole
lo avevo toccato come acqua santa della speranza
restituiscimi alla luce che mi manca
lo avevo sognato con i figli
riportami da loro perché li ho persi
l’ho abbracciato a gomiti nudi
per giungere alla riva
mi ha inabissato con il sapore della nafta
riportami a toccare la sabbia dorata
a rivedere sui corpi dei compagni la libertà perduta
ci cullano le onde pettinate dal vento
i cavalloni che si perdono a riva
non ci parleranno di pace
non riempirà le nostre giumelle l’acqua dolce del Neto
sognando le rapide del Meandro e dell’Helmand
… voci dell’abisso e relitti galleggianti
Le voci meste delle donne di Cutro
cantano le madri e i figli d’Oriente
relitti e fiori cadenzano il ritmo del coro
… a riva la scherma d’ordinanza
tra parole in libertà di chi non sa il sapore del sale
e il pescatore piange la sua mano tesa
è scivolato il piccolo piede che non lascerà più orme
i relitti gonfi di sale sognano ancora
il pianto dei deportati
solo lo sciacquio di spuma bianca e fiori
abbraccia i destini degli invisibili.
R. V. G.