La globalizzazione produce identiche brutture nella banalità del fine, che non è più quello di aiutare a vivere felicemente ma quello di comunicare magniloquente e si sa che gridare fa male anche se a volte serve, ma se gridano tutti alla fine si avrà un baccano infernale e non ci si intenderà più
L’Istituto Uomo e ambiente organizza il convegno «Dove va la nuova architettura. Lo stile è l’espressione formale di una cultura, oggi esiste uno stile?». Intervengono gli architetti: Piero Lissoni, Gabriele Antonio Mariani, Edoardo Milesi, Maurizio Spada, coordina Sebastiano Coriglione.
L’incontro si svolgerà giovedì 30 marzo dalle ore 9:30 alle 13; presso Società Umanitaria, via San Barnaba, 48, Milano.
Pubblichiamo una breve presentazione dell’evento.
Oggi si dice che non esiste uno stile. Ma che cosa è uno stile? Ecco la risposta tradizionale: lo stile è l’espressione formale di una cultura. Gli ordini classici sono stili, anzi il termine stesso si rifà alla colonna, ognuno di essi si riferisce alla cultura di popolazioni greche che li hanno prodotti. L’ordine dorico è relativo ai Dori, popolazione severa e frugale poco dedita alle sottigliezze e ai sentimenti, non così gli ordini ionico e corinzio.
Oggi non esiste più uno stile perché la cultura occidentale liberista ha dato via libera ad ogni espressione provocatoria manipolata dai media che hanno una funzione totalmente diversa rispetto alla fruizione contemplativa della bellezza. Così non esiste più una forma riconosciuta che esprime il carattere della cultura dominante.
Tutti possono produrre quello che vogliono purché abbia le caratteristiche che servono per stupire e far parlare i mass- media. Il cosiddetto stile internazionale è fondamentalmente assenza di stile.
È chiaro che la provocazione reiterata finisce per diventare omologazione nella categoria del brutto, inteso come superficiale e senza cura. La globalizzazione produce identiche brutture nella banalità del fine, che non è più quello di aiutare a vivere felicemente ma quello di comunicare magniloquente e si sa che gridare fa male anche se a volte serve, ma se gridano tutti alla fine si avrà un baccano infernale e non ci si intenderà più. Come ci si può salvare?
A parer mio recuperando il significato della bellezza che presuppone un rapporto diverso con la natura dentro e fuori di noi e la riedificazione della promessa di felicità che è insita nella ricerca di armonia fra uomo e ambiente. Un ritorno al regionalismo? Non propriamente, nel senso che in architettura si sono sempre succeduti periodi di espansione e di contrazione. Oggi abbiamo bisogno più di riflessione e di rispetto per la natura e il contesto perché vi è anche una revisione dell’idea di progresso che sta alla base della cultura modernista.
Va superata anche la dicotomia fra classico e anticlassico: c’è bisogno di più modestia. I temi cambiano: alcuni rimangono ma vengono trattati in modo nuovo, altri si aggiungono al repertorio dell’architettura, le forme si liberano dalla dipendenza di stili passati, come è giusto, ma spesso sono frutto di manie di grandezza senza nessun rispetto per la cultura ed il contesto.
La bellezza di un nuovo intervento infatti ha due componenti: la cura e l’impegno di chi progetta a non violentare il tessuto esistente, sia pure rapportandosi per contrasto, e la disponibilità della popolazione locale ad accettare il nuovo. Quest’ultimo fatto è legato alla dimensione e ai tempi.
Un intervento che stravolge in pochi anni il paesaggio consolidato è vissuto come una violenza e una scarsa considerazione che lo fa apparire brutto. Nel tempo questo giudizio può anche cambiare perché i segni della vita lo ricoprono di nobiltà e l’abitudine lo rende familiare. Ma se questo non succede rimane un monumento senza senso e senza vita. Resta un non luogo dove si realizzano i tre eccessi della modernità: eccesso di spazio, eccesso di tempo ed eccesso di individualismo.
Maurizio Spada