Una sceneggiata annuale che poco scalfisce la reale situazione. La perdita di foreste di montagna è aumentata in modo significativo, vari tipi di colture mobili emergono come la causa più frequente della perdita di foreste montane nei tropici, ma anche l’agricoltura di base e le attività forestali sono fattori chiave, le aree protette in generale sono state efficaci nel frenare la perdita di foreste di montagna e combattere l’agricoltura di base che è il fattore dominante della deforestazione
Passata un’altra pressoché inutile «Giornata internazionale delle foreste» (il 21 marzo scorso), gabbate le foreste. Il dispendio di CO2 e di energia per organizzare convegni e manifestazioni si scontra con la dura realtà dei fatti. E cioè che le foreste nel mondo, soprattutto quelle di montagna, vedono ridurre sempre più le loro superfici. È quanto emerge da uno studio pubblicato, appunto, pochi giorni prima della celebrazione della Giornata internazionale. I dati raccolti ed esaminati da un gruppo di ricercatori cinesi, tailandesi, statunitensi ed inglesi, parlano chiaro e forte: in meno di vent’anni (dal 2001 al 2018) nel globo sono scomparsi 78 milioni di ettari di foreste montane con un’accelerazione in periodi recenti che è stata 2,7 volte superiore a quelle dell’inizio del secolo.
«I fattori chiave della perdita delle foreste di montagna — sostengono i ricercatori — includono la silvicoltura commerciale, l’agricoltura e gli incendi. Le aree con la maggiore perdita di foreste si sovrappongono a importanti hotspot di biodiversità tropicale. I nostri risultati indicano che le aree protette all’interno degli hotspot di biodiversità montana hanno registrato tassi di perdita inferiori rispetto ai loro dintorni. Aumentare l’area di protezione nelle montagne dovrebbe essere fondamentale per preservare le foreste montane e la biodiversità in futuro».
Le cause
Le foreste di montagna ospitano l’85% degli uccelli, dei mammiferi e degli anfibi del pianeta e, «dall’inizio del 21° secolo — si legge nello studio — le foreste montane sono state sempre più sfruttate per il legname e i prodotti del legno, nonché per sostenere i sistemi agricoli emergenti, come le colture intensive e le piantagioni arboree, ad esempio nel sud-est asiatico. Queste attività hanno rimodellato le foreste montane, riducendo potenzialmente le dimensioni e il numero delle aree di rifugio, aumentando il rischio di estinzione delle specie che vivono nelle foreste e indebolendo la capacità delle foreste di immagazzinare carbonio e regolare il clima. Altrove, come nelle Ande, sono riportate prove di un aumento netto complessivo della vegetazione legnosa, le cui dinamiche variano con l’altitudine. Lì, le perdite di foreste di montagna si sono verificate a quote più basse (1.000–1.499 m) dal 2011 al 2014, mentre l’aumento di superfici di foreste si sono verificati ad altitudini più elevate sopra i 1.500 m».
L’Europa non brilla, anzi…
Nel computo della perdita di foreste di montagna, l’Europa non brilla di certo. La superficie di foreste montane nel Vecchio Continente nel 2000 ammontava a 71,9 milioni di ettari ma nel periodo considerato (2001-2018) ha perso 3,4 milioni di ettari. Tornando all’analisi a livello planetario, «la perdita globale di foreste di montagna — valutano i ricercatori — ha raggiunto un picco importante nel 2016 (circa il 65% in più rispetto all’anno precedente). Questo aumento è stato determinato principalmente dalla perdita di foreste nelle montagne asiatiche. Rispetto al picco del 2016, la perdita annuale delle foreste di montagna è diminuita nel 2017 e nel 2018, ma la perdita annuale in questi 2 anni (media di 6,5 milioni ettari anno−1) è rimasta elevata rispetto ai primi anni del 21° secolo».
Il falso elemento positivo dell’aumento delle superfici forestali
La superficie boscata in Italia e nei Paesi europei è complessivamente in aumento ma quest’incremento non è ovviamente omogeneo. In Italia è maggiore, ad esempio, nei territori appenninici o alpini abbandonati dalle colture agricole o dagli insediamenti umani, è minore nella zona mediterranea per ragioni di prevalenza di suoli scarsamente fertili e di maggiore frequentazione umana. Ma nei territori europei più favorevoli alla presenza di copertura forestale montana la perdita di foreste di montagna è stata, pur se moderata, con ritmi crescenti. In Paesi come Portogallo, Irlanda e Regno Unito si sono registrate perdite percentuali sostanziali rispetto alla copertura forestale nel 2000. Anche in questo caso, la silvicoltura commerciale ha contribuito a oltre il 90% delle perdite di foreste montane. La Russia e il Canada hanno subìto una grande perdita di foreste montane: rispettivamente 11,95 milioni di ettari (6,9%) e 5,57 milioni di ettari (7,4%). «L’incendio boschivo (69%) — sostengono i ricercatori — è stato il disturbo dominante per le foreste montane boreali; tuttavia, la mancanza di un andamento significativo della perdita di foreste boreali di montagna può suggerire che l’aumento segnalato degli incendi boschivi boreali colpisce solo le foreste montane in determinati anni e non costituisce una minaccia a lungo termine».
I tre risultati della ricerca
La ricerca fornisce, scrivono gli autori, tre risultati importanti: «(1) la perdita di foreste di montagna è aumentata in modo significativo durante la maggior parte dei primi 2 decenni del 21° secolo, interessando aree di noto alto valore di conservazione per la biodiversità terrestre; (2) vari tipi di colture mobili emergono come la causa più frequente della perdita di foreste montane nei tropici, ma anche l’agricoltura di base e le attività forestali sono fattori chiave; e (3) le aree protette in generale sono state efficaci nel frenare la perdita di foreste di montagna all’interno dei loro confini negli hotspot della biodiversità, in particolare dove l’agricoltura di base è il fattore dominante della deforestazione».
Fabio Modesti