Fabbricati un tempo in uso alle forze armate e poi alienati dal Demanio militare ad imprenditori agricoli non divengono solo per questo suoli agricoli o destinati ad attività agricola
Il Consiglio di Stato si esprime in una sentenza relativa ad un procedimento di nulla osta per la manutenzione straordinaria di ex fabbricati militari nel parco nazionale dell’Arcipelago toscano, poi ceduti ad un’impresa agricola che aveva proposto un progetto di ammodernamento ed uso turistico.
Una questione urbanistica per la quale i giudici di Palazzo Spada sostengono che «la circostanza che la società rivesta la qualifica di imprenditore agricolo, anche da epoca precedente all’istituzione del Parco, non consente che l’acquisto di un terreno che non ha destinazione agricola possa farlo ricomprendere nel patrimonio edilizio agricolo esistente per il quale sono ammessi interventi edilizi fino alla ristrutturazione edilizia e cambio di funzione».
Il contrasto con le norme del Piano per il Parco
Gli immobili oggetto della controversia urbanistica, sono due: l’ex ricovero truppe e la Batteria di Capo Poro, e ognuno di essi è suddiviso in tre corpi denominati A – B – C. Il diniego del nulla osta da parte dell’Ente Parco quanto al Corpo C della Batteria di Capo Poro ha riguardato la ricostruzione delle murature laterali, della copertura piana e la realizzazione di coibentazione, impermeabilizzazione e pavimentazione sulla copertura piana. Il diniego è stato espresso anche in merito alla ricostruzione delle pareti perimetrali ed al rifacimento della copertura all’ex ricovero truppe Corpo A.
Ambedue sono stati motivati dall’impossibilità di ricomprendere queste opere all’interno della nozione di manutenzione straordinaria mentre sarebbero, per l’Ente Parco, riferibili alla ristrutturazione edilizia vietata nella zona interessata. Lo stesso Ente Parco ha però rilasciato il nulla osta ad altri interventi sempre nello stesso compendio. E quindi il Consiglio di Stato ha censurato l’attività amministrativa del parco nazionale dell’Arcipelago toscano affermando che «in realtà è un dato oggettivo l’unitarietà di ciascuno dei due immobili, sicché unica dev’essere pure la valutazione amministrativa degli interventi per cui è stato richiesto il parere qui impugnato.
La valutazione, pertanto, dev’essere unitaria, dopo aver esaminato complessivamente gli interventi necessari sull’ex ricovero truppe e sulla Batteria Capo Poro. È illogico assentire una manutenzione straordinaria a metà, sostengono i giudici di Palazzo Spada, per cui bisogna valutare unitariamente se le parti mancanti da ripristinare siano prevalenti a quelle tuttora esistenti, anche se da riparare, o viceversa. Nel primo caso sarà possibile consentire una manutenzione straordinaria, nel secondo sarebbe necessaria una ristrutturazione edilizia (non compatibile con la normativa di zona).
La soluzione che il Collegio ritiene più rispondente allo stato fattuale degli immobili è la prima, perché i singoli interventi autorizzati sono superiori a quelli negati tenendo conto anche del fatto che non si tratta di una manutenzione straordinaria che riguarda immobili utilizzati all’epoca in cui si chiede la manutenzione.
Nel caso in esame si tratta di recuperare immobili che hanno un pregio storico, ma che non sono utilizzati da molto tempo; sicché lo stesso Ente Parco dovrebbe avere interesse a ospitare nel suo territorio un edificio ripristinato, anziché uno collabente. Peraltro la ristrutturazione edilizia in genere riguarda quegli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possano portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. L’intervento richiesto, invece, non prevede alcun aumento di volumetria, né modifica di sagoma, in ottemperanza alle norme edilizie del Parco».
Niente ristrutturazione edilizia
La società ricorrente aveva anche contestato l’impossibilità di procedere a ristrutturazione edilizia. Ma secondo i massimi giudici amministrativi le norme tecniche di attuazione (Nta) del Piano per il parco nazionale dell’Arcipelago toscano, che in materia urbanistica prevalgono su quelle degli strumenti urbanistici locali, prevedono chiaramente che nella zona interessata dal progetto «la ristrutturazione edilizia è ammessa solo per immobili utilizzati per le attività agro-silvo-pastorali e agrituristiche, ma la società ha acquistato un’area che non ha quel tipo di attività come destinazione urbanistica e gli immobili da ristrutturare non sono mai stati impiegati per quegli usi».
E quindi, come abbiamo evidenziato all’inizio dell’articolo, «la circostanza che la società rivesta la qualifica di imprenditore agricolo, anche da epoca precedente all’istituzione del Parco, non consente che l’acquisto di un terreno che non ha destinazione agricola possa farlo ricomprendere nel patrimonio edilizio agricolo esistente per il quale sono ammessi interventi edilizi fino alla ristrutturazione edilizia e cambio di funzione».
Ora la società proponente dell’intervento, quindi, si trova con un nulla osta dell’Ente parco annullato dal Consiglio di Stato ma nell’impossibilità di fare altro che non sia manutenzione ordinaria e straordinaria degli ex fabbricati militari senza poter procedere a ristrutturazione edilizia che sarebbe possibile solo se essi fossero funzionali all’attività agro-silvo-pastorale per la quale quella zona non è tipizzata dal Piano per il parco.
Una vittoria di Pirro ed una sentenza che serve ad aprire gli occhi su destinazioni improprie di manufatti come nel caso del parco regionale pugliese di Costa Ripagnola dove i trulletti (pagghjari) destinati ad attività agricola stanno per divenire «cellule turistiche».
Fabio Modesti