֎Ciò comporta per amministratori e funzionari pubblici anche il rischio di subire inchieste penali, procedimenti contabili, cause civili ed amministrative. Ma la cosa giusta da fare va fatta. Gli animali selvatici che vivono nel nostro Paese devono essere gestiti per essere realmente protetti. Una gestione che non dovrebbe essere affidata allo sparatore di turno, al cacciatore che si improvvisa salvatore della Patria, ma alla forza pubblica, agli agenti dei corpi incaricati della tutela del territorio e delle risorse naturali֎
Prima furono le tre fiere che si pararono davanti a Dante impedendogli la salita al colle della redenzione (Canto I Inferno), poi i bestiari medievali con ulteriori allegorie splendidamente illustrate negli incunaboli. E dopo ancora, Moby Dick nel romanzo di Melville pubblicato qualche anno prima de «L’origine delle specie» di Charles Darwin. Infine, nella realtà fino ad almeno 50 anni fa, la caccia consentita ad orsi e lupi qui in Italia. Poi l’onda delle associazioni protezionistiche e le ragioni scientifiche per la conservazione delle popolazioni di specie di predatori ormai in declino, in estinzione oppure ritenute estinte. Insieme a questo, la battaglia per la tutela di almeno il 10% del territorio italiano attraverso l’istituzione di aree protette nazionali e regionali e la politica europea per la protezione di habitat e specie. Ed i risultati sono arrivati, molti obiettivi sono stati raggiunti per la conservazione della natura ed ora, addirittura, la Commissione europea ha posto l’obiettivo di proteggere almeno il 30% del territorio continentale (il Regno Unito post Brexit, sotto la guida di Boris Johnson, si è dato identico obiettivo).
Iniziano i problemi
Dopo questi decenni in cui i conflitti tra mondo selvatico ed umani sono stati affrontati in qualche modo, più che altro sopiti ma certo non risolti, oggi assistiamo ad un capovolgimento di fronte. In un Paese sostanzialmente piccolo come l’Italia, nel quale la storia ha scritto la sconfitta delle specie animali selvatiche più iconiche, cioè i predatori, fino alla loro (quasi) scomparsa, ecco riemergere con sempre più vigore le vecchie ruggini. Il caso della morte del giovane runner trentino Andrea Papi causata dall’orsa JJ4 (di cui ci siamo occupati qui), i continui incontri urbani con branchi di cinghiali e con le nutrie soprattutto a Roma, il battage comunicativo delle associazioni degli agricoltori e degli allevatori che gridano vendetta contro lupi «famelici» sono soltanto la punta dell’iceberg dell’insofferenza verso la presenza sempre più diffusa di animali selvatici. In ultimo ci si è messo Papa Francesco che, a dispetto del nome che ha scelto per contraddistinguere il proprio pontificato, si è «molto arrabbiato» quando una signora gli ha chiesto di benedire il proprio cagnolino definito «il mio bambino».
Il punto di rottura
Insomma, tutti segnali che evidenziano come il rapporto tra umani ed animali selvatici, e forse non solo questi, come abbiamo appena detto, si stia giorno dopo giorno incattivendo. Il punto di rottura sembra sempre più vicino, il momento in cui la «giustizia fai da te» può prendere il sopravvento. Di fronte a questo i poteri pubblici sembrano impreparati posti come sono tra le istanze di vendetta e quelle animaliste. Queste ultime, cieche e sorde alla ragione, alimentano sentimenti lontani anni luce dalla realtà. Così, le amministrazioni pubbliche latitano, si sottraggono alle responsabilità, oppure si lanciano in provvedimenti poco ponderati e poco motivati. La funzione del potere pubblico dovrebbe essere quella di gestire le fasi di conflitto con esseri viventi (gli animali selvatici in questo caso) che non possono esercitare diritti civili e che devono essere protetti, se la legge lo prevede. Con i selvatici, però, la tutela del singolo esemplare non può mettere a repentaglio la sopravvivenza di una popolazione a causa della percezione negativa che di essa hanno i cittadini che invece i diritti civili li esercitano eccome.
È certo difficile essere virtuosi stando nel mezzo, adoperarsi per il buon governo dei fenomeni, non cedere alle pressioni, alla «pancia» della gente, in un senso o nell’altro. Ciò comporta per amministratori e funzionari pubblici anche il rischio di subire inchieste penali, procedimenti contabili, cause civili ed amministrative. Ma la cosa giusta da fare va fatta. Gli animali selvatici che vivono nel nostro Paese devono essere gestiti per essere realmente protetti. Una gestione che non dovrebbe essere affidata allo sparatore di turno, al cacciatore che si improvvisa salvatore della Patria, ma alla forza pubblica, agli agenti dei corpi incaricati della tutela del territorio e delle risorse naturali. Spesso questi ultimi si sottraggono a tali responsabilità ma così non dovrebbe essere e forse Francesco dovrebbe essere più fedele al nome che si è imposto.
Fabio Modesti