Aree protette, la tutela non è per sempre

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giardino parco
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֎Una legge della regione Liguria ha dato adito ad una puntualizzazione importante. Infatti la Corte Costituzionale ha respinto la tesi dell’esistenza di «un presunto principio generale di “irrevocabilità” dei vincoli di tutela paesaggistica»֎

La Corte costituzionale ha sancito la legittimità costituzionale di una legge della Regione Liguria con la quale sono state ridimensionate le superfici di alcuni parchi naturali regionali. La sentenza, pubblicata l’8 giugno scorso, riguarda una questione su cui lo scontro tra Regione Liguria e Governo va avanti da diversi anni.

Prima la Regione ligure ha modificato i confini di alcuni parchi regionali senza coinvolgere gli enti locali interessati ed è stata bacchettata dalla Consulta (sulla questione la Corte costituzionale si è già espressa con altra sentenza nel 2022). Poi, le leggi regionali liguri si sono adeguate alle statuizioni della Corte ma il Governo ha comunque eccepito l’illegittimità della norma asserendo che le riduzioni di superfici delle aree protette facessero venir meno anche la tutela paesaggistica (la Liguria non ha ancora un Piano paesaggistico vigente) ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Il mancato coinvolgimento del ministero della Cultura avrebbe leso il principio di leale collaborazione tra organi dello Stato.

L’irrevocabilità della tutela e l’eterogenesi dei fini

La Corte costituzionale non ha condiviso i motivi di ricorso del Governo ed infatti nella sentenza si dice che «[…] È necessario sottolineare come questa Corte abbia respinto la tesi dell’esistenza di “un presunto principio generale di ‘irrevocabilità’ dei vincoli di tutela paesaggistica, ricondotto […] alla norma di grande riforma economico-sociale contenuta all’art. 140, comma 2., cod. beni culturali” (sentenza n. 135 del 2022). In particolare, nella pronuncia è precisato che “un siffatto principio […] non esiste nell’ordinamento, né può essere desunto, come limite alle scelte di dichiarazione ex lege di interesse paesaggistico di determinati beni, dalla disposizione invocata (art. 140, comma 2., cod. beni culturali), la quale, nella logica di un sistema di tutela integrato fra singoli provvedimenti di vincolo e piano paesaggistico, prescrive la necessaria trasfusione nel secondo della disciplina contenuta nei primi”, sicché, solo per questa ipotesi, “e in ragione di tale integrazione fra momenti diversi di una medesima vicenda di tutela, per cui il piano che sopraggiunge non può che prendere atto dei previgenti provvedimenti di vincolo, si giustifica l’irrevocabilità della disciplina contenuta in questi ultimi». La Consulta afferma ancora che «Sempre nella sentenza n. 135 del 2022 questa Corte ha, tra l’altro, chiarito, sia pure a fini diversi, che “una tale regola di irrevocabilità potrebbe addirittura produrre, in una sorta di eterogenesi dei fini, l’effetto di scoraggiare scelte regionali di potenziamento della tutela (secondo la logica ‘incrementale delle tutele’ menzionata nel ricorso come espressione del carattere primario del bene ambientale ai sensi dell’art. 9 Cost.) e di indurre il legislatore regionale a non compierle nel timore di non poter più ritornare sui suoi passi, nemmeno ove una rinnovata ponderazione degli interessi lo esigesse”». Inoltre la Consulta afferma che «questa Corte ha inoltre definito come erroneo il presupposto dell’”esistenza di un divieto, per il legislatore regionale, di rivedere le proprie scelte di tutela paesaggistica, sia quando tale revisione si risolva in una diminuzione di protezione rispetto allo standard minimo fissato dalla Stato, sia quando, essendo rispettato tale standard, la legge regionale ritorni su scelte di più elevata tutela operate in via autonoma dallo stesso legislatore regionale” (sentenza n. 135 del 2022)».

Le minime riduzioni delle superfici dei parchi regionali

Alla posizione del Governo non ha giovato anche il dato effettivo di riduzione delle superfici delle aree protette regionali delle Alpi Liguri, dell’Antola, dell’Aveto e del Beigua. L’estensione del primo viene ridotta di 58,55 ettari, quella del secondo di 15,47 ettari, quella del terzo di 21,76 ettari, mentre la superficie del parco naturale regionale del Beigua viene addirittura incrementata di 79,28 ettari (buon per i bianconi che di lì passano a migliaia durante la migrazione). In conclusione, la Consulta afferma che «l’odierno ricorrente [il Governo, N.d.R.] abbia operato una forzata commistione tra la decisione (di esclusiva competenza della Regione) di istituire e riperimetrare un parco naturale regionale e la valutazione dell’interesse paesaggistico affidata invece congiuntamente agli organi regionali e statali e da operare in sede di pianificazione paesaggistica del territorio regionale. Ne consegue la non fondatezza delle questioni promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, le quali tutte muovono dall’assunto per cui la rimozione di alcune aree da quelle in precedenza rientranti nei parchi naturali regionali pregiudicherebbe la futura pianificazione paesaggistica e determinerebbe, di riflesso, la violazione del principio di copianificazione paesaggistica». E ciò «non comporta di per sé alcun vincolo, per la Regione stessa, quanto alla possibilità di riesercitare i suoi poteri di individuazione dell’area del parco. Simmetricamente, d’altro canto — sostiene la Corte costituzionale — la perimetrazione operata dalla Regione costituisce solo un vincolo minimo per il piano paesaggistico, il quale può includere fra le aree paesaggisticamente tutelate quelle che per i loro caratteri sono ritenute meritevoli di tutela».

 

Fabio Modesti