Più poveri, meno lavoro e più ignoranti. Ecco i dati

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Italia
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Si allontanano gli obiettivi dell’Agenda 2030

Transizione ecologica e Agenda 2030: a che punto è l’Italia? Il Sud perde terreno e la situazione è grave. Il Rapporto ASviS ed Ecosistema Urbano

Recentemente  sono usciti  due Rapporti sull’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, sottoscritta nel settembre 2015 dai governi dei 193 paesi membri dell’Onu: uno (Rapporto ASviS 2023), predisposto dall’ASvIS (che riunisce più di 220 istituzioni e reti della società civile italiana ed è unica in Europa), monitora la situazione globale (mondo, Europa, Italia) rispetto al raggiungimento degli Obiettivi previsti; l’altro (Ecosistema Urbano 2023), stilato da Legambiente, Ambiente Italia, «Il Sole 24 ore» fornisce una visione puntuale (facilitata da grafici interattivi) sulle performance ambientali delle 105 province/città metropolitane italiane, in base a 19 indicatori ambientali.
Le conclusioni sono simili. Allo stato attuale, il rispetto dell’Agenda Onu, con i suoi 17 Obiettivi o Goal di Sviluppo Sostenibile (SDGs) da conseguire entro il 2030, appare assai lontano, le ambiziose indicazioni europee sono in gran parte disattese, vi è un atteggiamento quasi ostile del nostro Governo verso le indicazioni dell’Europa su Green Deal, patto Verde per la neutralità climatica e piano europeo Fit for 55 (Ff 55) per ridurre del 55% le emissioni di gas serra e ancora una volta si rileva una grossa differenza tra le regioni del sud Italia e quelle centro settentrionali più virtuose.
A leggere i dati del Rapporto Ecosistema Urbano si resta piuttosto sconsolati. Rispetto al 2010 l’Italia ha conseguito risultati molto insoddisfacenti con peggioramenti riguardo la povertà, sistemi idrici, sociali, sanitari, qualità degli ecosistemi terrestri e marini, governance e partnership. Sono rimasti stabili cibo, disuguaglianze, città sostenibili, mentre sono leggermente migliorati solo istruzione, parità di genere, energie rinnovabili, lavoro dignitoso, innovazione infrastrutture, lotta al cambiamento climatico, salute, economia circolare. Pertanto il principio chiave di «non lasciare nessuno indietro» è stato ampiamente disatteso.

La situazione

Consideriamo nello specifico alcuni Obiettivi (dati Rapporto ASvIS 2023):
● Povertà: 2 milioni famiglie con 1,4 milioni di minori sono in povertà assoluta e le diseguaglianze economiche sono in netto aumento (con retribuzione media lorda per dipendente di 27.000 € /anno, 15.000 netta, – 12% rispetto Ue, -23% rispetto Germania, con inflazione al 13%);
● Lavoro: il 20% di giovani è disoccupato, con 1,7 milioni di Neet che non lavorano e non studiano; ci sono 3 milioni di lavoratori irregolari e senza tutele; il salario medio è molto più basso rispetto agli altri paesi Ue; è diffuso il fenomeno di lavoratori poveri che con il proprio stipendio non possono condurre una vita dignitosa; è cassato il salario minimo a 9 €/h;
● Istruzione: l’abbandono scolastico raggiunge l’11,5% (che risale al 36,5% per i ragazzi stranieri ), la spesa pubblica al riguardo è del 4,% del Pil (a fronte di una media UE del 4,9%) con gravi carenze nell’offerta di scuole dell’infanzia (che vanno a detrimento della maternità e del lavoro femminile), nella manovra finanziaria in corso di approvazione si riscontrano ulteriori tagli, con previsione di 120 milioni in meno nei prossimi tre anni.

Si evidenzia che il 90% circa di italiani ritiene che i cambiamenti climatici siano un grave problema e ne sono preoccupati, e che il 74% pensa che il Governo non stia facendo abbastanza: è difficile immaginare che l’Italia nel suo complesso possa raggiungere gli Obiettivi dell’Agenda 2030 se non si riuscirà ad imprimere un diverso passo allo sviluppo del Sud.
Che fare dunque? Certamente è prioritario spendere bene i fondi europei: quelli del Pnrr innanzitutto, unitamente ai fondi di Coesione.

Che fare?

Il Rapporto Territori 2023 dell’Alleanza è ricco di proposte significative che riguardano non solo il Sud ma che sono certamente importanti per le aree più deboli del Paese. Tra queste, ricordiamo innanzitutto il nodo costituito dalle aree urbane e dalle loro periferie. Nel 2021 è stato ricostituito il Cipu, Comitato interministeriale per le politiche urbane, ma finora non è mai stato attivato. Le politiche urbane sono una componente fondamentale dello sviluppo sostenibile e la recente approvazione della Strategia nazionale di sviluppo sostenibile rende ancora più urgente l’operatività di questo Comitato.
Altrettanto urgente è affrontare il dissesto idrogeologico, che minaccia tanta parte del Mezzogiorno e che è aggravato dalla crisi climatica, e i cui costi in 13 anni sono triplicati, come rivelano gli ultimi dati del Rapporto Ance-Cresme.
Ricordiamo che già da molti mesi il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica ha sottoposto a valutazione la bozza del Pnacc, il Piano Nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, che dovrebbe fornire la cornice di intervento per la difesa del suolo. Ma il testo finale, dal quale dovrebbero scaturire una serie di provvedimenti attuativi, non è stato ancora emanato dal Governo. Anche le aree interne meritano particolare attenzione, con l’aumento del Fondo per la montagna, già deciso dal Governo ma non ancora attuato.
Sulla base del Rapporto Territori 2023 sono emersi, tuttavia, due aspetti importanti. Il primo è la necessità di una stretta collaborazione multilivello, indipendentemente dalla caratura politica delle diverse amministrazioni. A Napoli, ad esempio, si sono ottenuti successi nell’individuazione dei casi di abbandono scolastico grazie alla collaborazione tra il Comune e le diverse autorità preposte all’Istruzione. Allo stesso tempo non è di minore importanza il problema delle manutenzioni: certi investimenti sono inutili se poi, come spesso accade, nelle spese correnti non ci sono fondi sufficienti per garantirne il funzionamento.
Non si tratta di problemi nuovi e chi segue le vicende del Mezzogiorno sa che se ne parla da decenni. Ma oggi ci sono condizioni di particolare urgenza: lo spopolamento del Sud, le minacce crescenti della crisi climatica, la necessità di utilizzare al meglio i fondi del Pnrr che vanno finalizzati entro due anni. Ci sono le premesse per vincere questa sfida? Difficile dirlo, ma una comune presa di coscienza dei problemi, favorita anche dall’impegno dell’ASviS, può essere una buona premessa.

Fondamentale la transizione ecologica

Molti sono consapevoli che la Transizione Ecologica è economicamente vantaggiosa sia perché gli eventi estremi sempre più frequenti portano alla popolazione danni economici decisamente maggiori delle spese previste per la prevenzione, sia perché molti ritengono che, a fronte della perdita di posti di lavoro, le nuove occupazioni previste in campo tecnologico-ambientale siano decisamente maggiori, addirittura in un rapporto positivo di 1 a 8.
Ne sono consapevoli anche molte aziende. Infatti gli studi sulla Green Economy parlano di vantaggi per l’indotto, con +53 miliardi all’anno di entrate per lo Stato, calo delle spese per chi ha investito nelle energie sostenibili e sviluppi occupazionali in tutti i campi come per esempio nuove tecnologie, lavori usuranti svolti dall’intelligenza artificiale, manutenzione dei territori ecc. (si veda in merito: F. Rutelli, Il secolo verde, Ed. Solferino, 2023).
Certo realizzare la Transizione Ecologica richiede investimenti nelle nuove tecnologie e nella formazione, anche degli Enti di governo periferico. Gli investimenti potrebbero derivare agevolmente dall’uso dei fondi che finanziano il Pnrr, ma per essere attuati in maniera produttiva, efficace e celere servirebbero una visione di futuro sostenibile che per ora manca e una classe politica al passo con i tempi, capace di andare oltre le miopi beghe elettorali a corto raggio, per costruire un solido e prospero futuro. Per ora la classe politica non dà segno di saper cogliere le opportunità possibili, frena su qualunque innovazione per rincorrere le mire egoistiche di pochi e «si comporta come se il nostro fosse un paese a economia arretrata, cosa che non è».
Ci sono dinamiche positive frutto dell’impegno individuale di associazioni, aziende, cittadini, volenterosi e sensibili, ma si sviluppano a macchia di leopardo, senza una seria programmazione e senza il sostegno dello Stato; manca un’adeguata visione politica che indirizzi, formi, coordini e pianifichi con lungimiranza a livello nazionale, visione necessaria per non restare indietro e attuare la trasformazione del sistema socioeconomico italiano lungo le direttive dell’Agenda 2030 in un contesto di Sviluppo Sostenibile che rispetti anche i diritti delle Generazioni future come prevede la nostra Costituzione.

Va evidenziato, in conclusione, che dall’Osservatorio emerge che i criteri principali per definire un’azienda sostenibile sono l’utilizzo responsabile delle risorse, la neutralità carbonica e un report di sostenibilità chiaro. Sulla sostenibilità delle aziende gli italiani si mostrano divisi: per il 49% si tratta solo di strategie e operazioni di marketing, mentre il 46% pensa che ci sia un impegno concreto per garantire un futuro al pianeta. I giovani della Gen Z sono i più scettici, con il 54% che dubita dell’impegno reale delle aziende sulla sostenibilità. Riguardo alla sostenibilità sociale delle imprese, se un terzo degli italiani ha familiarità con le politiche di diversità e inclusione, l’84% di tutti gli intervistati ritiene che sia fondamentale nelle aziende. Tuttavia, solo il 12% degli intervistati considera attualmente queste politiche come un criterio per preferire un brand rispetto a un altro nelle scelte di acquisto.
Cresce però il numero di persone che valuta la trasparenza e l’onestà delle imprese, e acquista da aziende sostenibili che offrono prodotti eco-friendly: nonostante i prezzi elevati, il 26% degli italiani è disposto a pagare di più per beni sostenibili.

 

Francesco Sannicandro, già Dirigente Regione Puglia e Consulente Autorità di Bacino della Puglia