֎Al Nord rischiano di scomparire, al Sud non sono mai nati. La lodevole esperienza di un piccolo museo naturalistico sul Parco nazionale del Pollino. Eppure il sud Italia, è caratterizzato da un patrimonio di biodiversità tra i più significativi in ambito europeo, sia per numero totale di specie animali e vegetali, sia per l’alto numero di specie endemiche֎
Poco meno di due anni or sono la rivista italiana «Le Scienze» pubblicava un articolo dal titolo «Le Biblioteche della Vita», in cui l’amico prof. Franco Andreone, conservatore zoologico al Museo regionale di scienze naturali di Torino, e il prof. Spartaco Gippoliti, membro della Commissione per la Salvaguardia delle Specie dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn), facevano il punto sullo stato di salute dei musei naturalistici italiani.
I due studiosi lamentavano che la maggior parte dei musei di storia naturale, e le preziose collezioni scientifiche che conservavano, già da anni «ricevevano poca attenzione da parte di amministratori e referenti politici e rischiavano persino di scomparire», questo nonostante siano state definite le Biblioteche della Vita, essenziali per lo studio e la conservazione della biodiversità: un valore che, come sapete, oggi è pericolosamente in decremento soprattutto per le numerose forme d’inquinamento d’origine antropica.
Per mia diretta esperienza di entomologo, anche come fondatore di un piccolo museo naturalistico sul Parco nazionale del Pollino, devo rilevare che qui, nell’estremo Sud, di musei naturalistici degni di questo nome non v’è neanche l’ombra, quindi il problema qui da noi semplicemente non esiste. Solo nel 2005, col Parco, la Regione Basilicata e il Comune di San Severino Lucano, abbiamo dato vita al Museo Laboratorio della Fauna Minore, dedicato alla flora, ma soprattutto alla microfauna del territorio, pregno di preziosa biodiversità, e questo evento giunse tanto inatteso da attirare l’attenzione nientemeno dell’Enea/Casaccia di Roma e dell’Arde (Ass. Romana di Entomologia), istituti che apprezzarono lo sforzo di far conoscere al pubblico di visitatori e studiosi la vita e le interazioni tra le diverse specie e tra loro e il territorio.
Già dal 2005, quindi, mi sono «permesso» di sperare che un museo naturalistico di questo tipo sarebbe stato utile, anzi direi indispensabile alla mia Città, anche attraverso un semplice «copia/incolla»: ma mal me ne incorse… oggi posso dire che è stata tra le esperienze più amare della mia vita! Vero che qui a Taranto il Museo Archeologico (MarTa) e il Castello Aragonese la fanno da padrone, e vari sindaci, assessori, consiglieri (quest’ultimi con qualche eccezione…), enti, associazioni culturali, persino ambientaliste, gruppi vari e un numero indefinito di cittadini in tutti questi anni hanno elegantemente «glissato» sull’argomento, dimostrando di disinteressarsi a tale realizzazione, nonostante l’anelito di qualche anno fa a che Taranto divenisse «Capitale della Cultura». Di quale «cultura» poi non me l’hanno spiegato, considerato che in Comune già da tempo ripetono che un museo naturalistico a Taranto «non è la priorità», ignari che tale iniziativa potrebbe contribuire a risolvere problemi ambientali (e culturali) che gravano a tutt’oggi sulla nostra comunità.
Nessuno dei miei illustri concittadini si è mai accorto, infatti, che l’intero Paese, segnatamente il sud Italia, è caratterizzato da un patrimonio di biodiversità tra i più significativi in ambito europeo, sia per numero totale di specie animali e vegetali, sia per l’alto numero di specie endemiche (esclusive, cioè, del nostro territorio).
I musei naturalistici non sono, quindi, solo un fatto culturale, ma hanno soprattutto un ruolo rilevante nella scoperta e conservazione della biodiversità, oggi tanto «in affanno» proprio per colpa dei «sapiens», come scrivono i due studiosi ricordati sopra.
Grazie ad una regolare esposizione e al rapporto con istituti di ricerca, fondazioni, associazioni e società scientifiche locali e nazionali, e soprattutto con il pubblico attraverso conferenze, presentazioni e iniziative di «citizen science», i musei di storia naturale costituiscono crocevia insostituibili per promuovere e orientare la diffusione del pensiero scientifico (come si diceva, carente nel Meridione e nella nostra Città…), in collaborazione con università e altri centri di ricerca: e possono farlo con un proprio pensiero unico, perché abbinano al rigore scientifico momenti di divulgazione e intrattenimento capaci di educare (viva Dio!) cittadini, studenti e turisti al rispetto e all’amore per il proprio ambiente/territorio, ma anche per le piante, gli animali e i microrganismi che lo popolano e lo rendono funzionante per la vita e la sopravvivenza di tutti.
Perché il nostro ambiente resti sano e stabile (scriveva l’ecologo E. Goldsmith) occorre rispettare un determinato insieme di norme, in caso contrario ne seguirà il degrado e alla fine la morte del sistema, per cui un museo di scienze naturali e ambientali può certo dare il suo contributo, può certo aiutare. Tale istituto deve essere capace di offrire un messaggio contrario a quello che la nostra attuale società moderna, individualistica e competitiva tende ad imporre significando che «l’uomo è libero di creare proprie leggi» (così come attualmente i negazionisti del cambiamento climatico d’origine antropica), promulgandole lui stesso e determinando lui stesso il corso della sua evoluzione, tutte cose che ci porteranno alfine nel buco nero di problemi ambientali irrisolvibili. Per quel che mi riguarda e ad onta dell’amarezza, finché vivo tornerò sempre a riproporre il mio museo naturalistico, certo che serva a rendere più colta, più viva e dinamica la vita della mia Città e dei miei concittadini, puntando dritto all’obbiettivo, senza alcuna resa. Non lo scriveva forse il grande Nelson Mandela che «un vincitore è colui che non si è mai arreso»?
Valentino Valentini