Nei cicli di notizie che tengono il primo piano nei dibattiti, ora è il momento dell’intelligenza artificiale (IA).
È già iniziata la corsa a modificare i dispositivi con una versione più moderna e si stanno sperimentando le applicazioni dotate di IA.
Il dibattito è partito velocemente e le domande, le «paure», gli interrogativi sono tanti. Noi non vogliamo entrare nel dibattito acriticamente ma lo vogliamo fare alla maniera di «Villaggio Globale», approfondendo e chiedendoci di che stiamo parlando. Non vogliamo evitare la riflessione sull’intelligenza, perché di questo si tratta. L’IA non è un dono divino o il frutto di una evoluzione, ma semplicemente il frutto della nostra intelligenza. Ed è per questo che ci preoccupiamo. Perché il frutto della digitalizzazione e dell’informatizzazione che sta investendo la società, presenta punti di ottusità che ancora non sono stati corretti.
Da dati noti da tempo si sa che sta diminuendo il QI dell’uomo e, d’altra parte, guardando i comportamenti ottusi di fronte al riscaldamento globale, le energie alternative, la salvaguardia della biodiversità, l’inefficienza e la lentezza con cui si interviene nell’assetto dei territori, e le guerre diffuse fatte mentre i popoli si sono esauriti contro queste pazzie… è difficile mettere in dubbio questo dato della regressione della intelligenza.
Ogni invenzione o prodotto della intelligenza umana sono frutto della sua capacità elaborativa, e non c’è dubbio che i progressi siano evidenti. Ma accanto a questo progredire c’è un ritorno indietro pauroso che cozza con i progressi raggiunti. Per cui le paure su quali conseguenze possano apportare certe iniziative umane, dettate spesso dalla sete di potere e quasi sempre dall’ingordigia economica, sono più che legittime.
E vediamo allora, quali sono le intelligenze che si stanno applicando a questa rivoluzione?
Illuminanti sono le riflessioni che recentemente ha fatto Christophe Clavè, laureato a Sciences-Po (Parigi), docente all’Institut des Hautes Economiques et Commerciales di Bordeaux.
«Il Quoziente Intellettivo medio della popolazione mondiale sta diminuendo nell’ultimo ventennio. Una delle cause è l’impoverimento del linguaggio», afferma lo studioso.
«Diversi studi dimostrano infatti la correlazione tra la diminuzione della conoscenza lessicale (e l’impoverimento della lingua) e la capacità di elaborare e formulare un pensiero complesso. La graduale scomparsa dei tempi (congiuntivo, imperfetto, forme composte del futuro, participio passato) dà luogo a un pensiero quasi sempre al presente, limitato al momento: incapace di proiezioni nel tempo. Meno parole e meno verbi coniugati, meno capacità di ricordare e memorizzare il passato, implicano meno capacità di esprimere poi le emozioni e meno possibilità di elaborare un pensiero.
«Gli studi hanno dimostrato come parte della violenza nella sfera pubblica e privata derivi direttamente dall’incapacità di descrivere le proprie emozioni attraverso le parole. Quando ti mancano le parole per spiegarti e per avere ragione può succedere di ricorrere alla violenza fisica».
«Più povero è il linguaggio — continua — più il pensiero scompare. La storia è ricca di esempi di come tutti i regimi totalitari abbiano sempre ostacolato il pensiero attraverso una riduzione del numero e del senso delle parole.
«Se non esistono pensieri, non esistono pensieri critici. E non c’è pensiero senza parole. Coloro che affermano la necessità di semplificare l’ortografia, sfrondare la lingua dei suoi “difetti”, abolire i generi, i tempi, le sfumature, tutto ciò che crea complessità, sono i veri artefici dell’impoverimento della mente umana».
C’è veramente d’aver paura.
D’altra parte, riflettendo sui comportamenti umani, dall’aumento della violenza allo spadroneggiare nel web di menti non proprio dotate, e dalla conseguente azione dei governi per difendere la popolazione da quest’aumento disordinato di non-intelligenze, è sempre più chiaro come si vadano realizzando le previsione più nere delle future società.
E ciò sarà un destino ineluttabile degli umani perché hanno posto al centro dell’esistente la propria immagine, la centralità dell’assemblamento del nostro corpo come la configurazione perfetta degli esseri superiori. In realtà ignoriamo la vita e le «intelligenze» che ci circondano. Guardando gli altri viventi, di cui non conosciamo che una minima percentuale, potremmo imparare, senza andare alla ricerca di alieni fuori dalla Terra, che i veri alieni siamo noi e che quella materia grigia che possediamo è largamente inutilizzata.
E allora, questa intelligenza artificiale certo che ci fa paura perché è il prodotto di una intelligenza rachitica, fuorviante e distruttiva.
Ignazio Lippolis