Il diritto alla riservatezza delle persone che forniscono informazioni ai cronisti è previsto dalla deontologia del giornalista, ma lo prevede la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), come estensione dell’articolo 10 della convenzione europea. Quest’articolo assicura la libertà di espressione, compresa quella di stampa. Con una sentenza del 2020, la Cedu ha rafforzato questa libertà, includendo la protezione del giornalista in ogni fase della sua attività e tuteli l’esercizio della sua funzione di guardiano del potere.
Tra questi strumenti c’è anche la tutela della segretezza delle fonti, che svelano fatti al giornalista con la garanzia dell’anonimato.
Nessuno può obbligare un giornalista a rivelare la fonte della sua notizia, anche nel caso possa essere utile all’autorità giudiziaria per individuare l’autore di un reato. Senza la protezione della segretezza delle fonti, sarebbero loro per prime a non comunicare più notizie di interesse generale: la conseguenza è che l’opinione pubblica sarebbe privata del diritto a ricevere informazioni utili all’esercizio delle proprie scelte politiche.
Il caso da cui nasce l’inchiesta di Perugia mette a dura prova la libertà di stampa. C’è un ministro che non denuncia per diffamazione dei cronisti, ma chiede a dei magistrati di indagare sulle loro fonti perché le informazioni che hanno rivelato (vere, verificate e non smentibili) potrebbero essere state fornite accedendo a dei dati riservati.
Va detto che anche la federazione dei giornalisti europei ha «richiamato» il governo italiano «a rispettare la rule of law e gli standard legali europei per la protezione delle fonti giornalistiche».
Francesco Sannicandro