Nel risentire casualmente la canzone di Giorgio Gaber «Io non mi sento italiano» scritta nel 2002, ben venti anni fa, mi sono reso conto di quanto i suoi versi siano ancora attuali, di quanto la dicono tutta sull’Italia di ieri, di oggi e chissà anche di domani, se neanche con la scossa dei fondi europei riusciamo a cambiarla.
Ebbene sì, ancora oggi molti di noi non si sentono italiani, perché sono anni che il Paese è gestito da politici e burocrati che pensano solo alle poltrone e a complicare la vita degli italiani. Una classe politica e dirigenziale che non sa prendere decisioni, che si becca come in un pollaio, con le elezioni come unico pensiero e obiettivo…e non si intravede che ciò abbia termine… lo si può solo sperare!
Nel testo della canzone ci sono le parole «per fortuna o purtroppo lo sono»: in esse c’è tutta l’Italia.
Per fortuna, in questo Paese, c’è la bellezza del clima, del mare e dei monti, del sole e delle scogliere. C’è la bellezza dell’arte che ti lascia a bocca aperta. Dal Romano al Rinascimento, dal Barocco al Neorealismo.
Per fortuna c’è l’orgoglio di essere, nonostante tutto, italiani nella moda, nell’artigianato, nell’arte di arrangiarsi e nella creatività degli italiani.
Ma nel «purtroppo lo sono» c’è invece la disperazione di non vedere mai l’uscita del tunnel, di pagare delle tasse elevate per poi ricevere dei servizi scadenti, di vedere scappare all’estero i migliori cervelli. Di vedere l’Alta Velocità che si ferma a Salerno. La banda larga ultraveloce che diventa un lusso per pochi invece che un servizio per tutti, anche per chi non vive nelle grandi città. La didattica a distanza ha messo a nudo il problema.
Gaber attacca politici e parlamentari, la vera zavorra di un Paese che non cresce e che paga le loro incompetenze. «Ma questo nostro Stato che voi rappresentate mi sembra un po’ sfasciato. È anche troppo chiaro agli occhi della gente che tutto è calcolato e non funziona niente… Persino in parlamento c’è un’aria incandescente, si scannano su tutto e poi non cambia niente… il grido “Italia, Italia” c’è solo alle partite». Tralascia, a mio avviso, un dato di fatto: tutto questo consegue alla indifferenza, alla mancata partecipazione degli italiani alla vita politica… siamo noi, nel bene o nel male, che li votiamo.
Per concludere: attualissima mi sembra la frase «Abbiam fatto l’Europa, facciamo anche l’Italia», che si potrebbe tradurre come una invocazione al governo, all’opposizione, alle task force e alle Regioni a sfruttare al massimo i soldi del Next Generation Eu. In modo da poter finalmente dire: Io mi sento italiano.
Francesco Sannicandro