Il diritto alla salute, già a rischio per il definanziamento del Ssn da parte del governo Meloni, con l’autonomia differenziata sarà ancora più minacciato.
Un apposito report della Fondazione Gimbe, che persegue lo scopo di promuovere e realizzare attività di formazione e ricerca in ambito sanitario, recentemente pubblicato, offre una visione molto negativa sullo stato del nostro Ssn che peggiorerà ulteriormente con l’approvazione del Ddl Calderoli e delle intese regionali, condotte dal presidente del Consiglio, che rimetteranno alle regioni le competenze oggi dello Stato, tra cui la sanità, in parte già trasferita.
L’autonomia potrà essere richiesta su tutte le 23 materie attualmente nella competenza totale o parziale dello Stato: se tale possibilità diventasse realtà, la Repubblica non esisterebbe più e lo Stato diventerebbe insignificante.
Negli ultimi mesi ci si è intrattenuti sulla questione dei Lep, cioè i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale. Queste competenze, sostanziali per il benessere e il mantenimento della salute delle comunità, erano state già inserite nel nuovo Titolo V del 2001, ma in oltre 20 anni, non sono mai state individuate. Anche per i Livelli essenziali di assistenza (Lea), che esistono fin dal 2001 non sono stati mai introdotti specifici finanziamenti.
Le Regioni godono già ora di un’ampia autonomia in materia di sanità, in base al Titolo V. Le misure più devastanti per il Paese arriveranno però con l’Ad: alcune anticipazioni si conoscono essendo state sottoscritte delle pre-intese da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna nel 2018.
In primo luogo chiedono la rimozione di ogni tetto di spesa in materia di personale. La cecità dei governi in materia di personale (siamo a 20 anni ormai di tetto) è tra le cause della crisi in cui versa il Ssn e dello scontento delle regioni. La restrizione dei finanziamenti, tra l’altro, ha aumentato la spesa perché le amministrazioni hanno esternalizzato i servizi, spendendo di più, o, peggio, sono ricorse a personale esterno, soprattutto medici, pagati a gettone, oltre a favorirne la fuga nel privato a causa dei bassi salari e dello stress lavorativo.
L’altra richiesta che sancirebbe la fine, anche formale, di un Ssn accessibile e uguale per tutti è la richiesta di autonomia nella determinazione del sistema tariffario, di rimborso, di remunerazione, nella istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi e nell’accelerazione del welfare integrativo aziendale. L’autonomia in questi campi darebbe il via libera a sistemi assicurativo-mutualistici regionali e al privato. Vi sono regioni, come il Lazio e la Lombardia, in cui già ora il privato supera il 50%.
L’assistenza domiciliare integrata (Adi), fondamentale per evitare ricoveri impropri e che consente alle persone di essere curate e assistite nel proprio ambiente di vita, è praticamente assente al Centro-Sud, per cui centinaia di migliaia i pazienti non possono essere seguiti. In tutto il Paese riguarda almeno il 50% della popolazione e la richiesta è ovviamente in aumento.
Con l’Autonomia differenziata la situazione non potrà che peggiorare perché lo spezzettamento delle funzioni e competenze ambientali tra le regioni impedirà lo studio e la messa in opera di una strategia per la prevenzione primaria: un aspetto che incide sulla salute pubblica, ma che con lo spezzettamento delle competenze ambientali sarà completamente disattesa.
Francesco Sannicandro