In Italia la corruzione, dai tempi di Mani Pulite in poi, non se n’è mai andata. Genova oggi. Bari, Torino, Palermo ieri. E prima ancora Roma, Milano. Nel Paese che si prepara all’autonomia differenziata, se c’è qualcosa che non cambia a nessuna latitudine, ecco quel qualcosa è proprio la corruzione.Quello che è cambiato, però, è l’approccio dei governi che si sono succeduti. Il governo Meloni, in particolare, sta mettendo a punto tutta una serie di norme e provvedimenti che più che provare a contrastare un fenomeno endemico sembrano voler spuntare le armi a chi quel fenomeno cerca di combatterlo.
L’abolizione dell’abuso di ufficio, la nuova formulazione dei reati sul traffico di influenze. E ancora: la limitazione di strumenti di indagine come i trojan per i reati contro la pubblica amministrazione e le norme «di semplificazione» sugli appalti pubblici, sempre auspicate e in parte già realizzate dal ministro Salvini, sono tutti tasselli di un grande mosaico che rende ogni giorno più facile la vita di corrotti e corruttori, nonostante le proteste di magistrati e addetti ai lavori.
Nelle prossime ore verrà pubblicato il nuovo dossier dell’Anac, l’Autorità anticorruzione, che seppur svuotata di capacità di incidere, rappresenta uno dei baluardi del nostro Paese: da tempo il presidente Giuseppe Busia denuncia (come è accaduto nel caso di Genova) il fatto che le nuove regole sugli appalti pubblici aprano strade ai predoni. E questo è ancora più vero oggi, con i grandi cantieri del Pnrr, per non parlare del Ponte sullo Stretto.
A preoccupare è il pacchetto di norme in parte già approvato e in parte prossimo al via libera che il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha preparato. L’abolizione dell’abuso di ufficio è stata raccontata come l’eliminazione di un inutile orpello per gli amministratori. Ma in realtà rappresentava un argine importante: per dire, quei sindaci e assessori che erano stati condannati per aver annullato delle cartelle esattoriali a loro elettori, alla vigilia di una campagna elettorale, oggi non lo sarebbero più. Per non parlare dell’abolizione del traffico di influenze, misura nell’agenda del governo: dal caso Palamara a quello Alemanno, sarebbero tutti salvi senza quel reato. Così come l’inchiesta di Genova, e decine di altre, non sarebbe esistita se fosse stato in vigore l’emendamento Costa adottato dalla maggioranza di centrodestra: niente trojan, cioè microspie dentro i telefoni, per i reati contro la pubblica amministrazione. Perché la maniera migliore per non trovarla, la corruzione, alla fine è non cercarla.
Francesco Sannicandro