(Adnkronos) – Il Venezuela è il primo Paese al mondo ad aver perso tutti i suoi ghiacciai. Anche l’ultimo che era rimasto nel territorio, il ghiacciaio Humboldt, è caduto vittima del cambiamento climatico: per gli scienziati adesso è classificato come “campo di ghiaccio” (“ice field”) o “nevaio”, a seguito di un significativo restringimento.
Il ghiacciaio Humboldt, o La Corona, era l’unico ghiacciaio rimasto nel Paese dal 2011, secondo il The Guardian. Gli scienziati avevano stimato che il ghiacciaio sarebbe durato per almeno un altro decennio, ma a causa dei disordini politici nel Paese non erano stati in grado di monitorare il sito per alcuni anni. La Corona è passata dai 337 ettari di ghiaccio del 1910 ai 4 ettari nel 2022, fino a scendere sotto un’area di 2 ettari quest’anno. Generalmente, per rientrare nei ghiacciati, la massa di acqua ghiacciata deve estendersi per almeno 10 ettari. In un disperato tentativo di salvare il ghiacciaio, lo scorso dicembre il governo Maduro aveva manifestato l’intenzione di utilizzare una copertura geotermica, costituita da 35 pezzi separati, ciascuno della grandezza di 2,75 per 80 metri, per salvaguardare ciò che restava del ghiacciaio Humboldt. Tentativo alquanto goffo ma soprattutto, dicono gli esperti, del tutto inutile. Soltanto 40 anni fa il Venezuela poteva vantare tre ghiacciai.
In un secolo, dal 1910 al 2024, il Venezuela ha perso sei ghiacciati che si estendevano per circa 1.000 chilometri quadrati nella catena montuosa della Sierra Nevada de Mérida. Tutti diventati troppo piccoli per essere classificati come ghiacciai, con inevitabile innalzamento del livello del mare e le conseguenze sulle correnti oceaniche, che svolgono un ruolo fondamentale nel regolare il clima del pianeta. Secondo gli studi condotti da Ifl Science, tra il 1953 e il 2019 la copertura dei ghiacciai in Venezuela è diminuita del 98%, con un tasso di perdita che è cresciuto vistosamente dal 1998 in poi, fino a raggiungere il 17% all’anno.
“I nostri ghiacciai tropicali stanno scomparendo rapidamente a partire dagli anni ’70”, ha commentato Alejandra Melfo, astrofisica dell’Universidad de los Andes di Mérida. Per Caroline Clason, glaciologa e professore associato all’Università di Durham, “il fatto che il Venezuela abbia perso tutti i suoi ghiacciai simboleggia davvero i cambiamenti che ci si può aspettare in tutta la criosfera globale se la crisi climatica va avanti”. Secondo un rapporto Wwf, solo nel 2022 i ghiacciai hanno perso 3000 milioni di metri cubi di ghiaccio, più del 6% del volume residuo. È uno dei ritiri più consistenti degli ultimi cento anni, come successo anche nel 2003 e nel 2011.
Secondo il climatologo Maximiliano Herrera, intervistato da The Guardian, Indonesia, Messico e Slovenia saranno i prossimi Paesi a restare senza ghiacciai. Intanto, con l’aprile appena trascorso, si sono raggiunti gli undici mesi consecutivi più caldi dei corrispettivi dell’anno prima. In pratica aprile 2024 è stato più caldo di aprile 2023, e così anche i dieci mesi precedenti. Sul finire dell’anno scorso, si è raggiunto per la prima volta nella storia il +2°C rispetto al periodo preindustriale.
“Nella zona andina del Venezuela, ci sono stati alcuni mesi con anomalie mensili di +3°C/+4°C sopra la media 1991-2020, il che è eccezionale a quelle latitudini tropicali”, spiega ancora Herrera. Ad aggravare la situazione nella zona dell’Oceano pacifico equatoriale è il fenomeno El Niño, caratterizzato da un insolito riscaldamento delle acque superficiali nell’area orientale dell’equatore e può accelerare la scomparsa dei ghiacciai tropicali. Anche se si verifica nell’Oceano Pacifico equatoriale, questo fenomeno genera cambiamenti nei modelli meteorologici di tutto il mondo. El Niño non è un evento ciclico regolare e può verificarsi a intervalli irregolari, generalmente ogni due-sette anni, con alcuni cicli che durano solo pochi mesi e altri che possono persistere per un paio di anni. Ma da cosa è provocato? Questo riscaldamento delle acque è causato da una variazione dei venti alisei, che normalmente soffiano da est verso ovest lungo l’equatore. Durante El Niño, questi venti diventano più deboli o invertono la direzione, causando un accumulo di acqua calda nella parte orientale del Pacifico. A sua volta, questo cambiamento nella distribuzione della temperatura dell’acqua influisce sulla circolazione atmosferica e può alterare i modelli di precipitazione e le temperature in molte parti del mondo. Per questo, gli effetti di El Niño possono essere vari, inclusi periodi di siccità in alcune regioni e piogge intense e inondazioni in altre.
Tra le conseguenze più frequenti di El Niño ci sono inverni più umidi e piovosi nel sud degli Stati Uniti e condizioni più secche e calde nel nord. In altre parti del mondo, come l’Australia e i paesi dell’Asia sud-orientale, El Niño può causare siccità estreme e impatti negativi sull’agricoltura e sulle riserve idriche. Chiaramente, anche El Niño ha giocato un ruolo importante nello scioglimento dei ghiacciai in Venezuela. Le conseguenze di questo fenomeno impattano inoltre sulla salute degli ecosistemi marini, in particolare sulle pescherie costiere, a causa del cambiamento delle temperature oceaniche e delle correnti con ripercussioni devastanti sulla biodiversità marina. —sostenibilitawebinfo@adnkronos.com (Web Info)