֎Presentato un progetto da una società barese, specializzata in impianti da fonti energetiche rinnovabili (Fer), per alcune cave tra Ruvo di Puglia e Bitonto, che prevede diverse fasi realizzative che, peraltro, modificano sostanzialmente i piani di dismissione e di recupero presentati in passato֎
C’è un’area piuttosto vasta al centro della Puglia, il cosiddetto «osso» della regione, che è marchiato a fuoco dalla presenza di cave che ne hanno sventrato anche l’anima. Sono perlopiù in territorio di Ruvo di Puglia e di Bitonto e sono il lascito del malgoverno del settore estrattivo lapideo in Puglia dagli anni 70 del secolo scorso fino a non molto tempo fa. Sono le cave per l’estrazione della «pietra di Trani» e del «perlato svevo», marmi pregiati che hanno fatto la fortuna di molti cavatori tranesi. Ma ora i filoni marmiferi da sfruttare sono quasi azzerati, le norme ambientali sono più stringenti, i costi di lavorazione sono esplosi, le cave sono inutilizzate. Che cosa fare di quei buchi, di quelle ferite molto difficili da rimarginare? Nel tempo si sono susseguite varie ipotesi di riutilizzo, addirittura la realizzazione di un parco tematico dedicato a San Nicola. Oggi, una nuova proposta: un impianto fotovoltaico distribuito in più cave.
L’attacco su più fronti
Il progetto presentato da una società barese, specializzata in impianti da fonti energetiche rinnovabili (Fer), per alcune cave tra Ruvo di Puglia e Bitonto, ora in valutazione di impatto ambientale (Via) presso il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (Mase), prevede diverse fasi realizzative che, peraltro, modificano sostanzialmente i piani di dismissione e di recupero presentati in passato. Dal recupero naturalistico delle cave, attraverso la rinaturalizzazione delle pareti verticali e la realizzazione di stagni temporanei alimentati dal reticolo idrografico oggi interrotto, alla creazione di pietraie aride rinaturalizzate, il progetto di insediamento fotovoltaico con potenza di picco di 37 MW nelle cave di un unico proprietario sembra interessante soprattutto perché si articola in aree già fortemente degradate senza occupare suolo libero. Il problema, però, è che accanto a questo intervento se ne propongono altri sempre in quel territorio della Murgia barese ai confini con il Parco nazionale dell’Alta Murgia e con l’omonimo Sito Natura 2000.
Tra agrivoltaico ed eolico
La stessa società barese che ha elaborato il progetto di fotovoltaico nelle cave ha presentato per la Via, sempre al ministero dell’Ambiente e sempre su commissione della stessa società proprietaria delle cave, un progetto di un impianto agrivoltaico a Lama Pagliara ancora in territorio di Ruvo di Puglia.
Si tratta di un impianto con potenza di picco di 12,7 MW che occuperà decine di ettari di suolo agricolo. Sempre a Lama Pagliara un’altra società, questa volta milanese, vorrebbe realizzare un impianto eolico costituito da 8 aerogeneratori da 7,2 MW ciascuno, per una potenza complessiva di 57,6 MW, oltre ad un sistema di accumulo di potenza pari a 50 MW e relative opere di connessione alla rete Terna. Ciascun aerogeneratore raggiungerà l’altezza di 200 metri comprese le pale e avrà bisogno di una fondazione in cemento armato del diametro di 24 metri con un’altezza variabile da 0,90 metri a 2,65 metri. La piastra sarà interrata per circa 3,45 metri. A Lama Pagliara il Comune di Ruvo di Puglia, con il decisivo contributo finanziario del Parco Nazionale dell’Alta Murgia, ha recuperato un antico fabbricato rurale di proprietà per farlo diventare luogo di ricettività turistica, per l’escursionismo, per la «formazione esperienziale» e laboratoriale e per la residenzialità artistica.
Sarà un’esperienza unica, infatti, avere una cortina di ferro davanti ad un centro per turismo di natura e l’orizzonte precluso dalle torri eoliche e dagli specchi fotovoltaici sopraelevati. Il tutto a due passi da un Parco Nazionale e da uno dei più importanti Siti Natura 2000 a livello europeo. L’assalto delle rinnovabili dovunque e comunque all’osso della Puglia è cominciato e c’è da credere che aumenterà di intensità mentre il Piano energetico regionale e la definizione delle aree non idonee agli impianti Fer continuano ad essere oggetti volutamente tenuti nei cassetti.
Fabio Modesti