(Adnkronos) – Ai tempi di Instagram e TikTok, il medico non svolge la professione esclusivamente in ambulatorio, ma con le regole attuali è molto limitato nel portare il suo contributo e la sua competenza alla salute. Nei social qualsiasi influencer può diffondere informazioni e consigli, ad esempio, su prodotti per la pelle, in modo più ampio e libero di un medico specialista. E' il paradosso della Rete a cui i dermatologi vogliono porre fine proponendo delle linee guida più adeguate ai tempi e, proprio contro le fake news, poter dare il loro contributo competente. Un primo importante confronto tra specialisti-influencer per delineare i contenuti di questo documento – tecnicamente definito consensus – c'è stato al Simposio su 'Codice deontologico e social media', nel corso del Congresso nazionale dell'Associazione italiana dermatologi ambulatoriali (Aida), che si è tenuto in questi giorni a Riccione. (VIDEO) "Sempre più dati ci dicono che la stragrande maggioranza della popolazione cerca informazioni mediche attraverso i motori di ricerca e attraverso i social network – spiega Federica Osti, dermatologa e nei social da più di 10 anni come @latuadermatologa – E'' importante che le informazioni mediche vengano date da chi ha competenza e autorevolezza, ossia il medico", che però, "al momento, deve sottostare a tutta una serie di regole, riportate nel Codice deontologico, che valgono sia in ambulatorio che in qualsiasi modalità di comunicazione. Queste linee guida sono assolutamente importanti e vanno mantenute, ma il nostro essere medici moderni ci impone anche di migliorare, allargare il nostro tipo di comunicazione e, quindi", spostare "un pochino più in là" alcuni paletti, "sempre mantenendo la correttezza deontologica e il rispetto della privacy" degli utenti. "Abbiamo iniziato così un percorso per creare delle linee guida, insieme ad Aida, per regolamentare questo nuovo modello di comunicazione che fa assolutamente parte della quotidianità di tutti i dermatologi, sia all'interno che al di fuori dall'ambulatorio". Secondo gli specialisti-influencer presenti al simposio – soprattutto donne under 40 – se le cose non cambiano, le persone finiranno per dare sempre più peso all'estetista e al tricologo, invece che agli specialisti in dermatologia. "Sui social non siamo più solo medici, ma anche divulgatori, influencer o medinfluencer – osserva Laura Colli, specialista nota nei social come @Dermatologirl – In base alle linee guida redatte" dopo il caso Balocco-Ferragni "da Agcom", l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, "siamo degli influencer a tutti gli effetti e non solo in base al numero di follower, ma anche solo se abbiamo un'agenzia che ci segue il profilo". Proprio l'essere influencer "medico e dermatologa, puntualizza Valentina Trevisan, sui social @dermaidee – significa fare anche del personal brand, utilizzare le piattaforme per fare informazione, prevenzione, dare consigli generali" e migliorare il "rapporto con i pazienti e gli outcome clinici". Gli specialisti su Instragram, TikTok o YouTube devono affrontare questioni non secondarie come "il product placement – aggiunge Trevisan – Sui social tutto può essere prodotto di vendita: da quello che si indossa a tutto quello che c'è in video". A tale proposito, "il Codice deontologico medici (art. 56) è chiaro – interviene Colli – La pubblicità promozionale e comparativa è vietata e, in base a questa norma, dovremmo far passare praticamente ogni attività all'Ordine dei medici" che però non sempre risponde e, soprattutto, non può essere contattato per ogni post. In realtà oggi, in materia, "c'è il documento della Fnomceo, la Federazione degli Ordini dei medici – ricorda Osti – Ma la differenza fondamentale è che un paziente, quando è in ambulatorio, ha un contatto diretto e viene visitato, il prodotto consigliato, quindi non ha la stessa rilevanza di quello che avviene sui social". Questi però restano un'opportunità di salute perché "accorciano le distanze – chiarisce Maria Teresa Luverà, di @magistudimedici – I nostri pazienti virtuali o, molte volte, reali, sono più portati a chiederci più cose, a entrare più nel vivo dei loro dubbi e questo sicuramente è un fatto positivo", ma con le regole attuali si fatica a fare loro un buon servizio. "E' un sistema paradossale", esemplifica, collegato da remoto, Fortunato Cassalia, dermatologo @medical.mente e autore di un articolo sull'importanza dei social sulla prevenzione in dermatologia pubblicato su 'Acta Dermato-Venereologica'. Secondo lo specialista, paragonare un medico che si occupa di divulgazione a un influencer è riduttivo, soprattutto se si considera il servizio di informazione e di divulgazione che viene offerto gratuitamente alla collettività. "Si dovrebbe considerare il valore aggiunto di portare informazione proprio attraverso i social e soprattutto ai più giovani – ribadisce Cassalia – Sembra che ci si debba difendere da qualcosa che invece è utile per la salute della collettività". In Rete, infatti, la cosa bizzarra è che "ci sono skin care specialist e trichology expert che – rimarca Colli – proprio perché non sono dermatologi, possono parlare liberamente di prodotto, mentre noi, come professionisti, non possiamo nemmeno consigliarli in direct. Formuliamo i prodotti e quando il nostro interlocutore ci chiede cosa usare possiamo solo elencare i componenti", non facendo però il bene dell'utente, che si trova ancora più confuso. All'estero però un dermatologo può dare consigli e parlare di prodotti senza paura di incorrere in provvedimenti disciplinari. Così, mentre altrove si può almeno arginare il fenomeno delle fake news, in Italia le persone che cercano informazioni su YouTube, Instagram o TikTok sono in balia di influencer meno competenti e preparati per rispondere a quesiti sulla salute, per il semplice fatto che lo specialista, per ruolo, non ne può parlare al di fuori dell'ambulatorio. "Anche su cose che per noi sono banali – ribadisce Colli – come il consiglio sui filtri solari, è del tutto evidente che citando solo i principi attivi non si fa un buon servizio al paziente, ma dobbiamo sempre fermarci al 'si rivolga al medico, al farmacista', mentre molte volte, in un contesto normativo più attuale, si potrebbe già dare il consiglio direttamente". Concretamente, puntualizza il dermatologo Luciano Galotta, "non possiamo mai dire qual è il nome commerciale di un prodotto che utilizziamo. L'utente tipo dei social va quindi a cercare altre figure che danno questi consigli e così ci troviamo a essere messi allo stesso piano, se non al di sotto, di persone che, sotto retribuzione, parlano di prodotti con meno cognizione di causa". Ai dermatologi-influencer il camice sta un po' stretto perché, alla fine, sono costretti a indossarlo anche nel profilo personale, ma gli specialisti del 2024 ci tengono a sottolineare che non sono solo medici. "Il problema è che linee guida di comportamento" obsolete "o una mancata informazione su come comunicare all'esterno – riassume Giovanni Menchini, presidente Aida – comportano poi delle informazioni non corrette e una vicinanza al paziente non giusta". Con conseguenze negative "non solo per il paziente, ma anche per la propria figura professionale". Per questo gli specialisti sono al lavoro per mettere a punto un contesto regolatorio adeguato perché i social siano un'opportunità di salute in più. "Quante volte – conclude Colli – i nostri follower ci ringraziano di cuore per aver potuto fare una prevenzione precoce", ma si potrebbe fare di più. A questo stanno lavorando i dermatologi. —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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