֎Una maggioranza europea di destra potrebbe compromettere gli sforzi fatti finora per allineare le politiche di Bruxelles alle esigenze del Pianeta. Ci riferiamo al Green deal, il pacchetto di norme climatiche più importante di sempre, depotenziato dai populisti di destra ma ancora salvabile (e migliorabile)֎
Il voto è una scelta molto personale che dipende da un intricato insieme di fattori, non solo di stampo valoriale. In base alla sua posizione sociale, economica e culturale, ogni cittadino costruisce una scala di priorità che inevitabilmente porterà con sé in cabina elettorale.
Detta così sembra quasi una decisione automatica, matematica, frutto di un freddo compromesso raggiunto dopo aver consultato i programmi di ogni forza politica in gioco. Ovviamente la realtà è diversa, più sfaccettata e difficile da inquadrare in un processo. Sociologi e politologi perdono il sonno per capire cosa ci spinge a votare per questo o quel partito.
La verità è che non c’è una risposta univoca e, soprattutto, le motivazioni dietro le scelte in cabina elettorale cambiano in base all’epoca in cui ci troviamo.
Per esempio, i sociologi Piergiorgio Corbetta (ex Università di Bologna) e Nicoletta Cavazza (Università di Modena e Reggio Emilia) ritengono che le cosiddette condizioni socio-strutturali (fondamentali nell’orientare il comportamento di voto fino agli anni Ottanta) abbiano gradualmente perso importanza per lasciare spazio a fattori considerati più soft, come gli stili di vita, le abitudini di consumo e il modo in cui trascorriamo il tempo libero.
Ma secondo le sociologhe Loredana Sciolla e Paola Maria Torrioni, entrambe dell’Università di Torino, quella teoria non rende giustizia al ruolo dei valori, che non sono solo fattori individuali (capaci di dettare i nostri stili di vita) ma elementi fondanti delle identità collettive e delle comunità simboliche. Comunità simboliche che, spiegano le due accademiche, spesso includono persone con abitudini di consumo eterogenee.
Per analizzare le scelte di voto, quindi, bisognerebbe partire dai valori degli elettori.
Come si ha modo di intuire, il dibattito è apertissimo anche a livello accademico.
Qui, però, parliamo di ambiente, clima e città, e prima di continuare è necessario fare due precisazioni importanti, da rispolverare nel fine settimana dell’8-9 giugno.
La prima è che il riscaldamento globale, dovuto alle emissioni antropiche di gas serra, ha un impatto su ogni singolo fattore presente nella vostra scala di priorità. La crisi climatica aggrava e moltiplica tutte le minacce presenti nella società, che siano di natura economica, sociale, politica, lavorativa, geopolitica, alimentare, tecnologica. La seconda è che una maggioranza europea di destra (la prima nella storia del Parlamento Ue) potrebbe compromettere gli sforzi fatti finora per allineare le politiche di Bruxelles alle esigenze del Pianeta. Ci riferiamo chiaramente al Green deal, il pacchetto di norme climatiche più importante di sempre, depotenziato dai populisti di destra ma ancora salvabile (e migliorabile).
A differenza della campagna elettorale del 2019, quest’anno i temi «verdi» hanno avuto un ruolo troppo marginale, spesso limitato a frasi fatte, polarizzazioni, proposte vaghe o «dichiarazioni di guerra» contro un Green deal etichettato impropriamente come ideologico. I leader di partito parlano di clima e ambiente solo quando conviene. Cinque anni fa, nel pieno dell’ondata dei Fridays for future, l’ecosostenibilità era un asset che permetteva di guadagnare voti. Ora, tra una pandemia alle spalle, guerre «dietro casa», tensioni geopolitiche e dibattiti sull’allargamento dell’Ue, è cambiato tutto. Quasi a nessuno importa che la lotta al climate change sia in cima alle priorità degli under 35.
Spulciando i programmi dei partiti italiani, la storia appare sempre la stessa. A destra c’è un vuoto sconfortante sotto ogni aspetto: Fratelli d’Italia vuole allentare ulteriormente la direttiva «case verdi» e la legge sul ripristino della natura (tenuta in ostaggio anche dal governo italiano); la Lega mira a cambiare tutto il Green deal «da cima a fondo»; Forza Italia punta il dito contro lo stop alle auto inquinanti dal 2035. Tra i centristi, al netto di una crescente attenzione verso i temi energetici (nucleare compreso), la lotta alla crisi climatica non è un tema cardine; Azione, secondo cui il Green deal si basa su un «forte impianto ideologico», ha proposto di rinviare «almeno al 2035» gli obiettivi al 2030 sulla riduzione delle emissioni, invocando i principi della neutralità tecnologica. I partiti di sinistra e centrosinistra, invece, sono per natura quelli più sensibili a questi argomenti, con differenze in termini di pragmatismo e senso d’urgenza tra l’unico partito ecologista italiano (Europa Verde, nell’Alleanza Verdi e Sinistra, più simile al M5s nelle proposte) e il multiforme Partito democratico.
Per tirare le somme, Italian climate network (Icn) ha pubblicato venerdì scorso un indice di impegno climatico, redatto grazie al contributo di venti esperte ed esperti del mondo scientifico. Secondo i risultati, Alleanza Verdi e Sinistra (punteggio medio di nove punti), Movimento 5 stelle (8,6 punti) e Partito democratico (8,3) sono le forze politiche che hanno preso più seriamente i temi climatici in questa campagna elettorale. Azione (4,9) e Stati Uniti d’Europa (4,1) sono in mezzo alla classifica, mentre Fratelli d’Italia (3,5), Forza Italia (3,1) e Lega (2,3) occupano gli ultimi posti.
Al di là di punteggi e sondaggi, le europee di quest’anno rimangono ricche di spunti anche per chi ha i temi green ai vertici (non per forza al primo posto) della propria scala di valori. C’è il passaggio da Europa Verde al Partito democratico dell’ex M5s Eleonora Evi (circoscrizione Nord-Ovest), al primo posto nella classifica della Ong francese Bloom sugli eurodeputati italiani più ecologisti dell’ultima legislatura (punteggio di 19,8 su 20). Sempre nel Pd, Bloom ha attribuito un buon punteggio a Daniela Rondinelli (17,5/20) e Brando Benifei (15,6/20), oggi in campo rispettivamente nelle circoscrizioni Centro e Nord-Ovest. Tra i dem spicca anche la candidatura di Pierfrancesco Maran, al suo terzo mandato consecutivo come assessore comunale a Milano (Mobilità-Ambiente; Urbanistica-Verde; Casa), contraddistinto da idee virtuose sullo sviluppo del trasporto pubblico e della logistica sostenibile (da seguire oggi alle 17 la diretta Instagram con Marco Mazzei, consigliere comunale di Milano, sul «sogno di un codice della strada europeo»). Giorgio Gori (Pd, Nord-Ovest) e Matteo Ricci (Pd-Centro), sindaci uscenti di Bergamo e Pesaro, hanno guidato le rispettive città con un approccio orientato alle politiche verdi e alla mobilità pulita. Tra gli amministratori più green c’è anche Paolo Micheli, sindaco di Segrate (Mi), candidato a Nord-Ovest in quota Stati Uniti d’Europa.
Cambiando forza politica (e gruppo al Parlamento europeo), queste elezioni verranno ricordate anche per le candidature di alcuni membri storici dei Fridays for future (Fff) italiani, che vogliono colmare le lacune degli ecologisti vecchia scuola. Anche a livello comunicativo. Non è un caso che, stando a un’analisi di Politico Europe, i Verdi europei siano tra gli europarlamentari meno attivi su TikTok, piattaforma ormai imprescindibile per avvicinare giovani e giovanissimi alla politica. Tra i nuovi volti della scuola Fff citiamo il trentunenne lombardo Giovanni Mori (indipendente per Avs a Nord-Ovest), ingegnere energetico che sta puntando molto sulla sburocratizzazione delle rinnovabili.
Tra i Verdi, che propongono un Fondo europeo per gli investimenti ambientali e sociali da «almeno duemila miliardi di euro», si sta facendo notare anche la consigliera regionale veneta Cristina Guarda (Nord-Est), la più giovane capolista d’Italia alle europee, attentissima alla sinergia tra politiche climatiche ed esigenze dei piccoli agricoltori. Senza dimenticare Benedetta Scuderi (Nord-Ovest), co-portavoce degli Young european greens (Fyeg). Potremmo andare avanti ancora, ma ci fermiamo qui. Buon voto.
Francesco Sannicandro