Usi civici e rinnovabili, il caso Sardegna

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֎«La mancata inclusione delle aree gravate da usi civici tra quelle “idonee” non comporta la loro assoluta inidoneità all’installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, che rimane assoggettata al procedimento autorizzatorio ordinario di cui all’art. 12, comma 3., del d.lgs. n. 387 del 2003, né tantomeno comporta il divieto di mutarne la destinazione in conformità al regime degli usi civici»֎

La Regione autonoma della Sardegna cerca di difendersi dall’invasione di impianti per la produzione energetica da fonti rinnovabili (Fer) e lo fa con le proprie leggi. Dopo il disegno di legge con cui cerca di stabilire una moratoria alla realizzazione di impianti Fer e la partita (vinta) in Conferenza Stato-Regioni sulle modifiche da apportare al decreto ministeriale che stabilisce i criteri per l’individuazione delle aree idonee per installare gli impianti, la Sardegna ora ottiene un altro risultato positivo.

La Corte costituzionale, con sentenza pubblicata qualche giorno fa, ha dichiarato costituzionalmente legittime alcune norme contenute nella legge regionale di modifica alla disciplina sugli usi civici. I terreni gravati da usi civici sono beni collettivi dei quali viene riconosciuta l’utilizzazione alle popolazioni comunali per il soddisfacimento di antichi diritti (ad esempio raccolta di legna, raccolta di funghi, pascolamento del bestiame).

La Regione Sardegna, con la legge n. 9/2023, ha approvato una norma con la quale si stabilisce che «per l’installazione di impianti di produzione di energie rinnovabili è obbligatorio richiedere il parere del Comune in cui insistono le aree individuate, il quale si esprime, con delibera del Consiglio comunale a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, entro venti giorni, decorsi i quali se ne prescinde». La norma è stata impugnata dal governo che ha eccepito come «una procedura semplificata per il mutamento di destinazione dei terreni gravati da uso civico nel caso di installazione di impianti per la produzione di energie rinnovabili» violerebbe «in primo luogo, gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, per invasione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali».

I terreni gravati da usi civici, è bene ricordare, sono sottoposti a tutela ai sensi dell’articolo 142, comma 1., lettera h) del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Il governo ha anche eccepito che secondo la disciplina vigente per le Fer (in particolare il decreto legislativo n. 199/2021) fino all’individuazione delle «aree idonee» sono considerate tali «le aree che non sono ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, incluse le zone gravate da usi civici di cui all’articolo 142, comma 1, lettera h), del medesimo decreto».

Insomma, sembrerebbe che la Regione Sardegna abbia legiferato per sottrarre alla tutela, sia pure temporanea, i terreni interessati da usi civici favorendo l’installazione di impianti Fer.

La Consulta rimette a posto le carte

Ma non è così e lo dimostra la Consulta nella propria sentenza. I giudici costituzionali hanno ritenuto inammissibile il ricorso su questo argomento principale perché «non è sufficiente affermare che il legislatore regionale non avrebbe tenuto conto del vincolo paesaggistico esistente sulle zone gravate da usi civici. Il ricorrente [governo, N.d.R.], infatti, non spiega perché tale forma di tutela sarebbe pregiudicata dalla previsione di una “procedura semplificata” di mutamento di destinazione: istituto, quest’ultimo, che non determina di per sé il venir meno o anche solo l’affievolimento del vincolo paesaggistico. Né il ricorrente chiarisce se, e in quali termini, il vulnus lamentato derivi, o sia anche solo aggravato, dall’asserito carattere semplificato della procedura, di cui non è fornita alcuna illustrazione». Il coinvolgimento del Comune interessato dall’installazione di impianti Fer su terreni gravati da uso civico, che si deve esprimere con deliberazione di Consiglio comunale con maggioranza qualificata dei due terzi, diventa quindi un elemento mutuabile da altre Regioni. Potrebbe essere un modo per non far passare progetti di grande impatto paesaggistico ed ambientale sopra le teste dei cittadini.

L’ambiguità dei motivi di ricorso e delle norme statali sulle Fer

Ma c’è di più. Il governo aveva eccepito che dalle norme della legge regionale della Sardegna si poteva desumere che i terreni gravati da usi civici fossero individuati come aree «non idonee» all’installazione di impianti Fer a prescindere dall’emanazione del decreto ministeriale che stabilisce i criteri per farlo con legge regionale. I giudici delle leggi, però, evidenziano che la vigente disciplina statale sulle Fer prevede che (comma 7. dell’articolo 20 del decreto legislativo n. 199/2021), una volta emanato il decreto «le aree non incluse tra le “aree idonee” non possono essere dichiarate non idonee all’installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile, in sede di pianificazione territoriale ovvero nell’ambito di singoli procedimenti, in ragione della sola mancata inclusione nel novero delle “aree idonee”».

Ne deriva che «la mancata inclusione delle aree gravate da usi civici tra quelle “idonee” non comporta la loro assoluta inidoneità all’installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, che rimane assoggettata al procedimento autorizzatorio ordinario di cui all’art. 12, comma 3., del d.lgs. n. 387 del 2003, né tantomeno comporta il divieto di mutarne la destinazione in conformità al regime degli usi civici».

Questa si conferma la vera minaccia ai territori cui almeno la Regione Sardegna ha inteso porre un freno con il coinvolgimento effettivo dei Comuni nei procedimenti di installazione di impianti Fer. Sarebbe bene prendere esempio.

 

Fabio Modesti