֎Il processo di desertificazione di certe zone della Sicilia va avanti ormai da trent’anni. «Gli invasi sono inadeguati, anche perché saturi di fanghiglia; la rete idrica è vetusta: il 50 per cento delle risorse si perde. Eppure non si interviene, se non con provvedimenti tampone». Manca la cultura della manutenzione֎
Ogni estate è così in Sicilia, la stagione della grande sete. In tutta l’isola. È un deserto anche la campagna attorno a Caltanissetta: «I nostri animali stanno morendo», è l’appello di Luca Cammarata, titolare di un’azienda agricola biologica. La foto delle sue capre costrette a bere in una pozza di fango è ormai il simbolo dell’ultima emergenza siciliana. Luca Cammarata chiede l’aiuto del prefetto e dell’esercito: «Non c’è altro tempo da perdere. Prima, la rete del consorzio di bonifica riusciva a garantire una turnazione dell’acqua ogni cinque o sei giorni. Adesso, non sanno più dirci se riusciranno ad aprire i rubinetti».
Gli agricoltori di Caltanissetta si stanno organizzando con le autobotti, così come gli albergatori di Agrigento. «Ma senza aiuti concreti per la crisi idrica siamo pronti a rinunciare al titolo di capitale della cultura», annuncia il sindaco della città dei templi, Franco Miccichè. Al momento, l’unica alternativa sembrano davvero solo le autobotti private: «Però i costi sono insostenibili, fino a cento euro a viaggio — dice Francesco Picarella, proprietario dell’hotel del Viale di Agrigento — in città ci sono zone che normalmente ricevono l’acqua solo due volte alla settimana. Come faranno i negozianti o i titolari dei bed and breakfast del centro storico che non possono installare cisterne?».
Proprio nel centro storico di Agrigento sono arrivate le prime proteste di turisti che erano ospiti di B&B, rimasti senza acqua per una settimana: sono andati via, interrompendo bruscamente i soggiorni. «Non è questo il modo di fare turismo», denuncia Francesco Picarella, presidente di Federalberghi Agrigento.
«Ma questa non è storia di oggi, il processo di desertificazione di certe zone della Sicilia va avanti ormai da trent’anni», prova a smorzare le polemiche l’ingegnere Gerlando Ginex, il dirigente dell’assessorato regionale dell’Energia e dei Servizi di pubblica utilità che tiene sotto controllo le 26 dighe siciliane. «In provincia di Caltanissetta e di Enna gli invasi si sono svuotati anche del 90 per cento», dice. «E non è storia di oggi», ribadisce.
Ma se questa è una storia vecchia, che si ripropone puntualmente ogni anno, perché si interviene sempre in ritardo? E, soprattutto, perché non si previene la stagione della crisi idrica? Se lo chiede Nello Battiato, presidente della Cna Sicilia, la Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa: «Gli invasi sono inadeguati, anche perché saturi di fanghiglia; la rete idrica è vetusta: il 50 per cento delle risorse si perde. Eppure non si interviene, se non con provvedimenti tampone».
Il governo Meloni è intervenuto con la dichiarazione dello stato d’emergenza per la siccità in Sicilia solo a maggio, quando c’erano già le prime avvisaglie della crisi. Risultato: sono stati stanziati 20 milioni di euro. Poca cosa. La richiesta avanzata dalla giunta regionale presieduta da Renato Schifani era di 130 milioni subito e 590 nel lungo periodo. Il governatore forzista ha provato a rilanciare con l’istituzione di una «cabina di regia», per coordinare tutti gli interventi «mai fatti in passato».
Ma il vento della protesta per la grande sete cresce giorno dopo giorno. «Continua ad esserci una politica fallimentare della gestione dell’acqua — denuncia Coldiretti —. E quest’anno, i danni sono ancora maggiori. La siccità ha azzerato la produzione di grano in Sicilia, il rischio è la chiusura di tante aziende». Nel cuore della Sicilia, gli agricoltori sono in agitazione da mesi per la crisi del settore, poi è arrivata pure la siccità: a Valledolmo, in provincia di Palermo, in 200 hanno consegnato le tessere elettorali prima del voto.
Renato Schifani rilancia la sua «cabina di regia». Ma quei venti milioni annunciati dall’ex presidente della Regione siciliana diventato ministro della Protezione civile, Nello Musumeci, serviranno appena per sistemare le cose che dovrebbero funzionare e invece non funzionano. Ad esempio, alcuni pozzi. E, poi, le autobotti: ne verranno acquistate solo 8 nuove, ce ne sono 78 da riparare. Metafora di una Sicilia che continua ad assomigliare alle trazzere attorno alla Diga Rosamarina, un panorama incantevole ma desolato. L’unica villa, bellissima, la sta ristrutturando un imprenditore americano. Che, evidentemente, ha visto oltre il deserto.
Spiace dirlo ma ai siciliani va bene cosi, sono anni che vivono in questa situazione.
Ho conosciuto tanti siciliani e sono persone laboriose e oneste. Pero la classe politica è all’opposto.
Il racconto sul mondo del lavoro fatto dagli stessi siciliani, sui servizi pubblici e sull’amministrazione fa accapponare la pelle. Capisco che per un siciliano residente sia difficile uscire da questa situazione ma se non si fa qualcosa il rischio è la divisione del paese in quanto il peso di questa regione e di molte altre del meridione diventerà insopportabile per le regioni produttive.
C’è voluto un evento drammatico come il crollo di un ponte con 40 morti per fare capire agli italiani che le opere costruite nel passato non sono eterne e che hanno bisogno di manutenzione. Stessa cosa per gli acquedotti. Ma mentre un ponte crollato è un pugno nell’occhio fatto di macerie, vittime e automobilisti arrabbiati, la siccità è più subdola perché speri che sia una situazione eccezionale, il prossimo inverno andrà meglio, ci sono le autobotti e l’acqua in bottiglia per tirare avanti… E poi un cero acceso alla Madonna costa molto meno.
Il problema idrico è da sempre un problema le varie amministrazioni nei fatti non hanno fatto un bel niente.
Sono anni che studi di previsioni climatiche dicono che la Sicilia insieme al Nord Africa nel 2040 per siccità vanno verso la desertificazione. E questi politici di Destra si sono inventato il Ponte. E i siciliani continuano a dar loro la maggioranza dei voti. Di cosa stiamo parlando?
Francesco Sannicandro