L’IA non è un nuovo demone

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COP AI immagine realizata con un programma di AI
Immagine realizzata con un programma di Intelligenza Artificiale
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֎Se ne parla abbondantemente perché iniziano a circolare programmi di IA e i dibattiti sull’occupazione, sull’eticità e sui pericoli, stanno alimentando le preoccupazioni e gli interessi. Sono quindi legittimi gli interrogativi e da qui il nostro contributo di concentrare questi problemi in un numero del nostro Trimestrale per dare una possibilità di approfondimento ai nostri Lettori֎

Con un numero sull’Intelligenza Artificiale si conclude la programmazione di quest’anno del nostro Trimestrale, «Villaggio Globale», dedicata alle intelligenze.

Se ne parla abbondantemente perché iniziano a circolare programmi di IA e il dibattito sull’occupazione, sull’eticità e sui pericoli, stanno alimentando le preoccupazioni e gli interessi.

Sono quindi legittimi gli interrogativi e da qui il nostro modesto contributo di concentrare questi problemi in un numero per dare una possibilità di approfondimento ai nostri Lettori.

Capire è importante. E così si può scoprire che il tema dell’IA non è nato oggi. Si deve risalire (come ci dice l’articolo di Sara Colantonio, Prima Ricercatrice, Istituto di Scienza e Tecnologie dell’Informazione «A. Faedo» del Cnr), alle conferenze Macy (1943-1955), e al 1943 quando «McCulloch e Pitt presentarono il primo modello matematico di neurone artificiale, elemento fondante di tutta la teoria delle reti neurali artificiali». Poi, «nel 1950 Alan Turing pubblicò il suo lavoro seminale “Computing Machinery and Intelligence”, definendo il test di Turing e una prima visione completa dell’IA che segnò nel 1956 la nascita ufficiale dell’IA».

Come sempre accade con la ricerca che apre nuovi orizzonti si aprono anche tanti canali di utilizzazione commerciale e quindi si accendono gli appetiti del business che finisce spesso a condizionare le linee di sviluppo.

Per questo non bisogna ignorare il mondo della ricerca né demonizzarlo ma bisogna conoscerlo.

Pubblichiamo l’Editoriale del nostro Direttore e invitiamo tutti ad approfondire un tema che modificherà profondamente la nostra vita nei prossimi anni.

Editoriale

Basta, smettiamola di rasentare il ridicolo ogni volta che si presenta una innovazione, o qualcosa che esce dalla consuetudine dei canoni che siamo abituati a riconoscere.

Il progresso e la ricerca fanno parte dell’essenza profonda dell’uomo, da sempre. Senza questo impulso, staremmo ancora nelle caverne o sugli alberi.

La ricerca ha accelerato notevolmente il passo, frenarla si è dimostrato storicamente inutile e, secondo me, dannoso, perché frammenta le scelte e gli orientamenti quando, invece, al contrario, avremmo bisogno di seguire il passo, accelerare le analisi, per poter meglio governare il suo avanzare.

Il nemico in agguato, che si è fatto sempre più aggressivo, si chiama profitto, e lui segue da vicino tutti i progressi…

Per questo la politica e l’etica non possono avere la puzza sotto il naso ma devono essere aggiornati.

Si è fatto questo errore con i cambiamenti climatici, ed ora, sono sotto gli occhi di tutti i danni al territorio, l’avanzare di emergenze ingovernabili e i vantaggi politici e i profitti economici a chi vanno. Ed ancora non sono tutte dispiegate le conseguenze che pure la scienza da tempo, da molto tempo, aveva già elencato.

Ora si rischia di fare lo stesso errore con l’Intelligenza Artificiale.

Allarmi, paure, dissertazioni etiche, prefigurazioni fantascientifiche e tanto altro. Tutto giusto e tutto sbagliato.

L’IA è già sul mercato, sta già agendo e sta pure chiedendo più energia. Alcuni Stati stanno già correndo segnando un nuovo tipo di discrimine nella scala dell’evoluzione fra i vari Paesi. Ma quello che a tutti sfugge è che in tutti i tipi di progressi fatti, nelle tecnologie, nell’edilizia, nei farmaci… il punto di partenza è sempre stata la natura. E mentre si progrediva la natura deperiva e veniva sostituita, ignorata e lasciata spesso morire. Ecco il danno dell’intelligenza umana che sta creando le condizioni per una entrata trionfale dell’IA.

Prendiamo in esame l’energia.

L’Intelligenza Artificiale e il deep learning (o «apprendimento profondo», una tecnica che utilizza algoritmi progettati per funzionare in modo simile al cervello umano), richiedono nella fase di addestramento intensivo delle risorse una considerevole potenza di calcolo e dati, spesso consumando energia equivalente a quella di una piccola città.

«L’hardware neuromorfico, ossia ispirato al cervello umano, presenta un’architettura informatica rivoluzionaria in grado di migliorare sostanzialmente le prestazioni e l’efficienza energetica nell’addestramento dell’IA rispetto alle generazioni precedenti. Le architetture fotoniche (ovvero i circuiti basati sulla luce invece che sull’elettronica) offrono, in aggiunta, una promettente via per accelerare ulteriormente i processi di addestramento garantendo operazioni velocissime», spiega Marco Leonetti ricercatore del Cnr-Nanotec e ideatore dello studio.

Gli autori del lavoro hanno introdotto, dice una nota del Cnr, un paradigma che trae ispirazione dal concetto di archiviazione di memoria emergente del cervello umano. Tale paradigma funziona in modo analogo al nostro sistema sensoriale che incontra molteplici rappresentazioni di oggetti appartenenti alla stessa classe (per esempio, molteplici «bicchieri» di forme, colori, e materiali diversi) e, con un processo di mediazione, amalgama i diversi esempi realizzando l’archetipo associato alla classe (l’elemento di memoria «bicchiere»). Questo processo di generalizzazione, chiamato «archetipo emergente» ci permette di riconoscere qualsiasi «bicchiere», indipendentemente dalla specifica foggia con cui si presenti.

Ecco, replicato il meccanismo di funzionamento del cervello umano, mentre oggi un alunno medio non riesce più a ritenere una poesia e mentre si litiga sulle rinnovabili o sul nucleare, mentre crescono le parti per milioni di polveri sottili nell’aria che distruggono la nostra vita, l’IA va per la sua strada. In Giappone non si fa più l’amore, i giovani non si baciano, vivono soli e per gli anziani ci sono piccoli robot che pensano a tutto.

Tempo ci vuole, peccato che non tutti di noi ci saranno.

 

Ignazio Lippolis