> Su Durban l’ombra degli indignati del clima
Procedono i lavori dei delegati mondiali al summit di Durban nel tentativo di trovare un accordo per il post-Kyoto. Dal giorno dell’apertura i delegati si sono suddivisi in decine di gruppi di lavoro tematici su un ampio numero di problemi che sono in agenda. Questi gruppi di lavoro definiti «contact groups» (per le consultazioni informali di coordinamento fra temi diversi) e «informal groups» (per le analisi e gli approfondimenti delle singole tematiche) hanno svolto una gran mole di lavoro ma i cui risultati sono ritenuti abbastanza scarsi.
Alcuni di questi gruppi hanno giù prodotto testi informali da discutere nella sessione plenaria di lunedì 5 dicembre, altri, invece, sono ancora in alto mare, ma saranno in grado entro domani di produrre testi informali conclusivi. In questa situazione (lavoro concluso e lavoro in fase conclusiva) sono i seguenti gruppi informali: «comitato tecnologico esecutivo», «fondo di adattamento», «meccanismi Cdm» di cooperazione fra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo, «piani nazionali di adattamento». Permangono, invece, situazioni conflittuali per cui sarà difficile produrre un testo concordato nel gruppo sulle verifiche e controlli.
La bozza di testo, relativa al prolungamento del protocollo di Kyoto opportunamente emendato (di cui si occupa il gruppo di lavoro Agw-Kp) è pronto, ma bisogna decidere se e come questa bozza possa andare avanti e con quali impegni per i paesi firmatari del protocollo di Kyoto. Il problema non può, ovviamente essere risolto dal gruppo di lavoro. La decisione dipende dagli accordi politici sul destino del protocollo di Kyoto e dalle relative decisioni da prendere nell’assemblea plenaria.
Nel gruppo di lavoro Agw-Lca che è incaricato di redigere la bozza di testo del trattato globale di lungo periodo i vari gruppi informali sulle varie tematiche hanno redatto i loro testi. Rimangono, ancora problemi sulle questioni finanziarie (in particolare la gestione delle risorse finanziarie ed il reperimento di risorse finanziarie sul lungo periodo). A buon punto è il meccanismo Redd+ (lotta contro la deforestazione, il degrado del suolo e protezione della biodiversità), anche se permangono alcuni problemi tecnici, ma anche politici. Ora, il problema più grosso è quello di amalgamare tutti questi diversi testi, Questo lavoro di omogeneizzazione sarà svolto dal Presidente del gruppo Agw-Lca, Daniel Reifsnyder, e sarà portato all’assemblea del gruppo prevista per oggi per la discussione finale prima della presentazione all’assemblea plenaria di lunedì 5 dicembre.
Questioni aperte
In alto mare rimangono le questioni sul «Green Climate Fund» sia per quanto riguarda la personalità giuridica internazionale, le regole di accesso e la gestione del fondo, sia soprattutto sulla possibilità che il «Green Climate Fund» possa diventare operativo entro un periodo di tempo ragionevolmente breve, dal momento che non si sa bene come poterlo finanziare con 100 miliardi di dollari l’anno ma di cui si ipotizzano diverse modalità di finanziamento che vanno dal finanziamento tutto pubblico cioè a carico dei governi, al finanziamento prevalentemente privato, a carico cioè di imprese e soggetti privati che intendono investire in progetti di sviluppo pulito nei Paesi in via di sviluppo. Finora sono stati devoluti, ma per la prima fase 2010-2012 che necessita in totale di 90 miliardi di dollari: 12,5 miliardi di dollari dal Giappone, 5,1 miliardi di dollari dagli Usa, 4,5 miliardi di euro dalla Ue e 3,5 miliardi di dollari da investitori privati.
Ancora in alto mare è la ricerca di una soluzione sulla forma legale che dovrebbe avere questo trattato globale di lungo termine. Le opzioni sono molto diverse fra loro: si va da un trattato che senza avere obblighi legalmente vincolanti, rafforzi gli impegni e le strategie della Convenzione Unfccc, ad un trattato che fissi un percorso con obblighi coerenti con l’obiettivo di mantenere il surriscaldamento del pianeta al di sotto di 2°C, ad un trattato che può essere attuato con successivi accordi bilaterali o multilaterali o su basi flessibili in relazione ad una serie di opzioni.
Sulla forma legale, la natura degli impegni ed obblighi e le modalità di attuazione esiste una forte conflittualità: da una parte vi sono paesi come gli stati delle piccole isole che vogliono, da subito, il proseguimento del protocollo di Kyoto con obblighi legalmente vincolanti per i Paesi industrializzati e, parallelamente, un trattato globale di lungo periodo che abbia caratteristiche analoghe ed altrettanto vincolanti. Dall’altra parte vi sono paesi come l’Unione europea il Giappone, l’Australia (anche se con diverse sfumature) che vogliono un unico trattato omnicomprensivo (di breve e lungo periodo) legalmente vincolante per tutti e che entri in vigore dal 2015. E Paesi che vorrebbero abbandonare la logica e l’impostazione della «road map di Bali» per avviare su nuove basi (ed una nuova reinterpretazione dei principi della Unfccc) un nuovo trattato unico e vincolante per tutti che entri in vigore dal 2020. In tutta questa discussione la Cina si è tirata fuori dicendo che la forma legale dipende dalla sostanza e che a livello di gruppi informale si discute sulla possibilità delle diverse opzioni legali, ma le scelte sostanziali, a cui sono associate le conseguenti decisioni sulla forma legale, sono di competenza dell’assemblea plenaria.
Nei corridoi
Circolano le seguenti voci:
– l’India sarebbe disposta ad assumersi impegni di riduzione delle emissioni in un trattato legalmente vincolante, ma in cambio di un posto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite. Gli Stati delle Piccole Isole (43 paesi riuniti nel gruppo Aosis) sarebbero disposti, con i loro 43 voti, ad appoggiare l’India per l’ingresso nel Consiglio di Sicurezza, purché l’India agisca subito per arrivare ad un trattato legalmente vincolante e manifesti ufficialmente la sua volontà di assumere impegni in tale trattato.
– la Cina intenderebbe accettare limiti legalmente vincolanti alle proprie emissioni, ma solo dopo il 2020. Prima del 2020 è, invece, disposta a ridurre la propria intensità carbonica purché Usa e Paesi industrializzati assumano limiti vincolanti alle loro emissioni.
Sembra opinione condivisa da molti delegati che i negoziati di Durban stanno andando avanti come se esistessero ancora i vecchi blocchi che hanno portato al protocollo di Kyoto e cioè: da una parte il nord del pianeta industrializzato ed inquinante e dall’altro il sud del pianeta povero e non inquinante. Poiché non è più così, il negoziato, di questo passo, è destinato al fallimento se non si cambiano gli schemi di approccio ai problemi.
Nelle chiacchiere di corridoio sono state messe in evidenza diverse contraddizioni:
– l’Unione europea che più di altri paesi crede nello sviluppo sostenibile e nella necessità di proteggere il clima, nonostante abbia assunto una posizione netta a favore del protocollo di Kyoto e di trattati vincolanti purché lo facciano anche gli altri, non appare però determinata, come in passato, ad assumere un ruolo guida per mediare tra le diverse posizione e di far convergere il negoziato su una base consensuale.
– Il Brasile che è convinto dell’importanza del ruolo delle foreste nella lotta ai cambiamenti climatici e che si batte contro la deforestazione ed il degrado del suolo, a casa sua, invece, tollera la deforestazione e sta approvando una legge di cambiamento dell’uso del suolo per la produzione di biocarburanti, che favorirà ulteriormente la deforestazione.
– Molti paesi, compresi gli Usa, giustificano il mancato il finanziamento del Green Climate Fund per lo sviluppo pulito nei Paesi in via di sviluppo, perché causato della attuale crisi mondiale, dimenticando che (secondo gli ambientalisti) le 93 maggiori banche mondiali (tra cui alcune italiane) finanziano, per un totale superiore ai 300 miliardi di dollari nuovi progetti di uso del carbone e dimenticando che (secondo l’Oecd) a livello mondiale i combustibili fossili godono di sussidi, di oltre 400 miliardi di dollari per anno, che potrebbero essere ridotti o eliminati.
Infine si vocifera che sono in fase di organizzazione alcune manifestazioni di protesta per il fine settimana e l’inizio della prossima, in coincidenza con l’arrivo dei ministri e dei capi di governo per la sessione ministeriale che comincerà alle 15 del 6 dicembre prossimo. (V. F.)