Lasciar fare alla natura: i boschi di pino risorgeranno

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Le operazioni successive al grande incendio, per le quali si parla già di cospicui rimboschimenti, stanno facendo intravedere un possibile nesso causale tra fuoco e operazioni di tale tipo che però non hanno alcuna giustificazione né giuridica né tecnica: a parte la normativa che impedisce di effettuare rimboschimenti con fondi pubblici nei cinque anni successivi, le pinete di Pino d’Aleppo posseggono una straordinaria resilienza, cioè capacità di ritornare alle condizioni di equilibrio dopo l’azione di un fattore di disturbo. La resilienza è legata in particolare alla serotinia, cioè alla capacità delle pigne di aprirsi per effetto del fuoco e far cadere milioni di semi che garantiranno la rinnovazione.
Si tratta soltanto di non interferire con i processi naturali, tanto per fare un esempio non eliminando le piante morte in piedi sulle quali ci sono ancora gli strobili che contengono semi perfettamente intatti malgrado le elevate temperature raggiunte nel corso dell’incendio; le piante morte in piedi costituiscono un efficace schermo contro l’eccesso di radiazione solare per le giovani piantine che a milioni dopo le prime piogge d’autunno copriranno l’area e che rappresentano il modo con cui la pineta si difende dal fattore di disturbo.
È questo il meccanismo che bisogna lasciare operare, come giustamente sostiene l’assessore all’agricoltura del Comune di Peschici (Gazzetta del Mezzogiorno del 30.7).
Nessun rimboschimento, tenendo tra l’altro conto che siamo nella zona di indigenato del Pino d’Aleppo di cui nella zona c’è un leggendario bosco da seme, ovviamente bruciato anch’esso di recente (Pineta Marzini, sempre a Peschici). Nessun rimboschimento con querce e castagni, come sosteneva un illustre accademico i giorni scorsi, né interventi che favoriscano la macchia mediterranea al posto della pineta, se non vogliamo perdere una delle connotazioni paesaggistiche più pregnanti del territorio.
Anche la macchia, infatti, brucia e può determinate incendi disastrosi, come quello del Monte Argentario degli anni 70.

 

Vittorio Leone, Ordinario di Protezione dagli incendi, ecologia del fuoco e restauro aree percorse. Università della Basilicata