Il territorio affoga nel caos delle leggi sulle acque

563
Tempo di lettura: 6 minuti

È come se ci fossero due Italie diverse, quella che, a fatica, ha recepito la direttiva «Acque» e la direttiva «Alluvioni», che ha istituito le Autorità di bacino ed i piani di gestione, e quella che fa finta di ignorare tutto ciò, che considera le Autorità di bacino una inutile casta da abolire

In occasione del Forum sull’Acqua «Fino all’ultima goccia», organizzato a Roma dal Consiglio nazionale dei Geologi, il prof. Antonio Rusconi, dell’Università Iuav di Venezia, nella sua relazione ha descritto le due Direttive comunitarie principali che affrontano i due aspetti salienti legati alla gestione dell’acqua: la risorsa idrica, e la pericolosità idraulica dei corsi d’acqua sempre più spesso non in grado di garantire il transito delle acque nei loro alvei causando disastrosi fenomeni alluvionali.

Il recepimento formale delle Direttive avvenuto nel nostro Paese con specifici decreti, la Direttiva 2000/60 «Quadro per l’azione comunitaria in materia di acque» è stata recepita dal Testo unico sull’ambiente (Dlgs 152/2006), mentre la Direttiva 2007/60 «Valutazione e gestione dei rischi di alluvioni» è stata recepita dal Dlgs n.49/2010, non garantiscono il rispetto delle scadenze in esse contenute. Il recepimento sostanziale delle indicazioni comunitarie richiede una complessa riorganizzazione amministrativa, al fine di definire bene la programmazione e pianificazione di ogni azione diretta alla tutela delle risorse idrica e a garanzia della qualità della vita umana con la preservazione dei beni e dei servizi.

Per approfondire e comprendere bene la situazione italiana abbiamo rivolto alcune domande al prof. Rusconi.

Prof. Rusconi lei dal 1989 al 1993 è stato Direttore del Servizio idrografico nazionale e dal 1999 al 2004 è stato Segretario Generale di una importante Autorità di bacino di rilievo nazionale, in questo periodo ha potuto operare in applicazione della Legge 183/89. Crede che l’impostazione della L. 183/89 sia ormai superata.

La legge 183/89 ha impostato la gestione delle risorse idriche e del rischio idrogeologico attraverso una pianificazione unitaria a scala di bacino idrografico, con un’ottica ecologica che considera il ciclo naturale delle acque e non i confini amministrativi di Province, Regioni, o Stati. Il bacino idrografico viene considerato come ecosistema, e rappresenta perciò l’elemento di riferimento, l’unità di governo e di gestione. Le istituzioni devono adeguarsi a questo ecosistema, e non viceversa. I principali della legge 183/89 sono ripresi dalla direttiva «quadro sulle Acque» del 2000 e dalla direttiva «Alluvioni» del 2007 a testimonianza che la legge 183/89 si basava su principi validi per la gestione e tutela del territorio.

La ragione principale per la quale la legge si è dimostrata di debole efficacia è da ricercare nella sua graduale svalutazione operata soprattutto da numerose leggi successive, poco attente alla coerenza del suo impianto innovativo.

Lei ha dichiarato che le due direttive concernenti l’acqua costituiscono un unicum e si riferiscono alla gestione integrata dell’acqua, comprendendo quindi gli aspetti inscindibili della sua protezione, del suo utilizzo e la difesa dal rischio di alluvioni. Crede che in Italia sia possibile arrivare rapidamente a un livello nazionale uniforme di qualità nella gestione della risorsa idrica e della mitigazione della pericolosità idraulica?

La direttiva «Acque» è stata recepita dal nostro Paese con il Testo unico sull’Ambiente, il D.lgs 152/2006, con un ritardo di tre anni, mentre la direttiva «alluvioni» è stata recepita dal D.lgs 49/2010, un anno dopo la scadenza comunitaria. Il Testo unico del 2006 comprende la difesa del suolo, la tutela delle acque e la gestione delle risorse idriche, sostituendosi al numeroso insieme di leggi precedenti, tra cui la fondamentale legge 183/89 sulla difesa del suolo, le leggi sul rischio idrogeologico, e le leggi sulla tutela delle acque dall’inquinamento e sulle risorse idriche. Il decreto legislativo, nel riprendere l’impostazione originaria della legge «madre» 183/89, conferma le tre direttrici su cui si deve attivare la Pubblica amministrazione: l’attività conoscitiva, svolta perlopiù dalle Regioni e dall’Ispra, l’attività di pianificazione e programmazione, attuata dalle Autorità di Bacino e la realizzazione degli interventi, a cura delle Regioni cui spettano, dopo le riforme degli anni 90, quasi tutte le competenze in tema di azioni, polizia idraulica, servizio di piena, concessioni idriche, nonché il coordinamento degli altri soggetti pubblici interessati, i Consorzi di bonifica, le Comunità montane, le Autorità d’ambito ottimale, nonché le Province ed i Comuni.

Quali sono le scadenze che ci impongono le due Direttive comunitarie?

Due leggi «rattoppo» del 2009 hanno previsto che l’adozione dei piani di gestione della direttiva «Acque» fosse effettuata dalle «vecchie» Autorità di Bacino di rilievo nazionale e dalle Regioni Sardegna e Sicilia entro il febbraio 2010. La scadenza è stata rispettata e, l’anno scorso, con incredibile velocità, sono stati adottati i piani di gestione distrettuali, ma la loro approvazione però non è ancora avvenuta, in attesa di una possibile censura dell’Unione europea per il non corretto svolgimento della Valutazione ambientale strategica. Quindi, a tutt’oggi, in attesa dell’approvazione dei piani di gestione, rimangono validi gli strumenti di pianificazione vigenti, tra cui i Piani di Tutela delle Acque delle Regioni, avviati fin dal 1999, ed adeguati alla direttiva, in modo da raggiungere, entro il 2015, il buono stato ambientale di tutti i corpi idrici. Si tenga presente però che alcune Regioni devono ancora approvare il piano di tutela delle Acque. Le scadenze indicate dalle due Direttive sono numerose. Basterà ricordare che, entro il 2015, per tutti i corpi idrici dovrà essere raggiunto un «buono stato ambientale», ma già alcune Regioni hanno ammesso l’impossibilità di rispettare tale scadenza. Un’altra scadenza importante è la pubblicazione entro l 2015 dei piani di gestione del rischio di alluvioni, ma anche in questo caso va denunciato il tentativo di considerare i piani di bacino del passato adeguati ai requisiti comunitari.

Le norme di recepimento sembrano aver creato squilibri di carattere amministrativo e organizzativo. Crede che riusciremo a rispettare le scadenze imposte dall’Unione europea?

A fronte di un unico piano di gestione delle acque, previsto dalla Comunità europea, il nostro Paese ne ha previsto sette: il piano di bacino distrettuale, il piano di gestione delle acque, il piano per l’assetto idrogeologico, il piano di tutela delle acque, il piano d’ambito, ed ancora i piani straordinari ed i piani urgenti di emergenza. Il nuovo Testo unico del 2006 ha scatenato accese critiche, dimostrandosi un «pasticcio» legislativo, con errori concettuali ed ortografici, scritto in maniera frettolosa, non funzionale, ed inapplicabile. Anziché attuare l’attesa riforma, ha aggiunto confusione, introducendo nodi istituzionali difficilmente superabili. Non ha risolto il problema di fondo della chiarezza di ruoli dello Stato e delle Regioni, accentrando troppe funzioni al Ministero, ovvero alle Regioni, a discapito dell’unità di governo del bacino idrografico. Non ha delineato con chiarezza l’attività conoscitiva, con un sistema informativo unico che si sovrappone al sistema informativo nazionale ambientale. Ha definito i Distretti idrografici con criteri incomprensibili, accorpando bacini sversanti in mari diversi, ignorando totalmente i criteri idrologici, climatici e morfologici. Ha soppresso le «vecchie» Autorità di Bacino, comprese quelle regionali, provocando impugnazioni e dichiarazioni di illegittimità.

Sono anni che le Autorità di bacino sia nazionale sia regionali operano nella gestione della difesa del suolo, crede che sia utile trasferire l’esperienza maturate e le professionalità acquisite dalle segreterie tecniche nella gestione futura del ciclo integrato dell’acqua?

Il lavoro fatto in questi anni da tutte le Autorità di Bacino è validissimo e va valorizzato al massimo. Sarebbe un imperdonabile delitto trascurare questo enorme bagaglio di conoscenze, di professionalità, di indagini e di proposte. Ogni Autorità distrettuale dovrà mettere insieme tutte le esperienze presenti, le stesse Strutture tecniche, il personale e gli impianti delle Autorità di Bacino della «prima generazione», anche con più uffici articolati nel territorio distrettuale, in modo da confermare la qualificata presenza di tali autorevoli centri di eccellenza, assicurandone continuità nel funzionamento. Ma ovviamente, per seguire questo percorso, ci vuole una reale volontà delle Regioni e dello Stato.

Cosa ne pensa del fatto che la norma Italia accorpa più bacini idrografici in Autorità di distretto?

Il complesso impianto legislativo del governo dell’acqua ha affidato alle Autorità di Bacino Distrettuali il principale ruolo programmatico e decisionale, coerentemente non solo con le Direttive comunitarie, ma con il tradizionale quadro legislativo introdotto dalla legge 183 del 1989. Ma queste Autorità di fatto non sono mai piaciute, non solo alle Regioni, ma neanche agli Organi centrali. I diversi Centri di riferimento, ministeriali e regionali, hanno privilegiato scelte e decisioni autonome, non concertate nei previsti tavoli, tecnici ed istituzionali, delle Autorità di Bacino, con il risultato di una caotica proliferazione di decisioni non inquadrate nell’ambito delle Direttive comunitarie e della normativa nazionale.

Il recepimento delle norme tiene realmente conto del complesso scenario dei settori che dipendano fortemente dall’acqua (domestico, processi produttivi, agricoltura, turismo, idroelettrico e acquacoltura)?

Gli esempi di politiche idriche fuori campo sono numerosi, sia a livello statale sia regionale, senza escludere da questo «gioco» anche gli Enti locali e gli altri soggetti. Come non ricordare ad esempio i piani generali di bonifica, redatti da alcune Regioni, o il piano irriguo nazionale del ministero delle Politiche Agricole, che non menziona mai la direttiva «Acque», i distretti idrografici ed i piani di bacino. Ed ancora, che dire del Piano di azione nazionale per le energie rinnovabili, del ministero dello Sviluppo Economico, del 2010, dove si parla molto di energia idroelettrica, senza fare alcun riferimento alle questioni idriche connesse (interrimento dei serbatoi, deflusso minimo vitale, laminazione delle piene…). Per non dimenticare i numerosissimi piani di Protezione Civile, riguardanti emergenze idriche ed alluvioni, elaborati al di fuori dei tavoli tecnici ed istituzionali delle Autorità di bacino e dei piani sulle acque da queste adottati ed approvati. È come se ci fossero due Italia diverse, quella che, a fatica, ha recepito la direttiva «Acque» e la direttiva «Alluvioni», che ha istituito le Autorità di bacino ed i piani di gestione, e quella che fa finta di ignorare tutto ciò, che considera le Autorità di bacino una inutile casta da abolire.

Alla luce del quadro emerso crede che sia necessaria una revisione delle norme di recepimento delle Direttive comunitarie?

Per le ragioni sopra discusse va urgentemente definito un nuovo, chiaro e complessivo quadro normativo, che faccia uscire il Paese dall’attuale situazione critica, dominata da logiche frammentate ed emergenziali del governo dell’acqua.

Nella foto un’immagine dell’Ofanto