Un crescendo di dati e studi ma…

329
Tempo di lettura: 3 minuti

Che cosa dice il rapporto dell’Apat del 2007

Poi è stato un crescendo fino ad arrivare al rapporto dell’Apat del 2007 che parla di 5.596 su 8.101 i comuni italiani interessati da frane.
«Pezze» vengono messe qua e là, i finanziamenti corrono, ma la mentalità, quella che sottovaluta i cambiamenti climatici, non cambia. Non c’è una mente unica di gestione del territorio. Così l’edilizia va per conto suo, gli incendi dei boschi per conto loro, le strade sono una repubblica a parte e in mezzo un mare di furbi e furbetti.
I presidi resistono e vengono potenziati, come quello presso l’Istituto di ricerca e protezione idrogeologica del Consiglio nazionale delle ricerche (Irpi-Cnr) sezione di Cosenza, un gruppo che si occupa di monitoraggio delle frane che effettua una notevole attività di ricerca, sul territorio calabrese e non.
Oppure le sollecitazioni che vengono dalla Commissione italiana per l’Anno Internazionale del Pianeta Terra (Iype) e la Iype Corporation a scala mondiale che stanno operando in questi anni proprio per mettere a disposizione dei decisori e dei cittadini, conoscenza e strumenti per la salvaguardia del territorio. La messa in sicurezza delle infrastrutture così come la tutela del territorio stesso che dipendono essenzialmente dagli studi portati avanti dalle geoscienze e la relativa diffusione dei dati.
Né mancano studi aggiornati: il già citato rapporto Iffi (Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia) presentato nel 2007 dall’ex Apat ora Ispra, che ha censito 470.000 frane in tutto il territorio italiano, oppure la nuova scala internazionale dei terremoti (Esi) per misurare i danni sull’ambiente, o ancora l’ultimo lavoro presentato sempre dal Servizio geologico d’Italia (Ispra) a Messina (in occasione del centenario del sisma che colpì lo Stretto), che ha studiato le possibili conseguenze di un terremoto analogo a quello del 1908 su un territorio altamente urbanizzato come quello odierno. Tutte queste attività rientrano tra quelle patrocinate ufficialmente dalla Commissione italiana per l’Anno internazionale del Pianeta Terra.

Allora per quale motivo questi strumenti non modificano i comportamenti? Forse perché si deve essere in grado di capirli, finirla con la faziosità politica e bisogna uscire dalla logica dell’interesse del consenso legato ai voti e pensare al bene comune punto e basta.

Poi è stato un crescendo fino ad arrivare al rapporto dell’Apat del 2007 che parla di 5.596 su 8.101 i comuni italiani interessati da frane.
«Pezze» vengono messe qua e là, i finanziamenti corrono, ma la mentalità, quella che sottovaluta i cambiamenti climatici, non cambia. Non c’è una mente unica di gestione del territorio. Così l’edilizia va per conto suo, gli  incendi dei boschi per conto loro, le strade sono una repubblica a parte e in mezzo un mare di furbi e  furbetti.
I presidi resistono e vengono potenziati, come quello presso l’Istituto di ricerca e protezione idrogeologica del Consiglio nazionale delle ricerche (Irpi-Cnr) sezione di Cosenza, un gruppo che si occupa di monitoraggio delle frane che effettua una notevole attività di ricerca, sul territorio calabrese e non.
Oppure le sollecitazioni che vengono dalla Commissione italiana per l’Anno Internazionale del Pianeta Terra (Iype) e la Iype Corporation a scala mondiale che stanno operando in questi anni proprio per mettere a disposizione dei decisori e dei cittadini, conoscenza e strumenti per la salvaguardia del territorio. La messa in sicurezza delle infrastrutture così come la tutela del territorio stesso che dipendono essenzialmente dagli studi portati avanti dalle geoscienze e la relativa diffusione dei dati.
Né mancano studi aggiornati: il già citato rapporto Iffi (Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia) presentato nel 2007 dall’ex Apat ora Ispra, che ha censito 470.000 frane in tutto il territorio italiano, oppure la nuova scala internazionale dei terremoti (Esi) per misurare i danni sull’ambiente, o ancora l’ultimo lavoro presentato sempre dal Servizio geologico d’Italia (Ispra) a Messina (in occasione del centenario del sisma che colpì lo Stretto), che ha studiato le possibili conseguenze di un terremoto analogo a quello del 1908 su un territorio altamente urbanizzato come quello odierno. Tutte queste attività rientrano tra quelle patrocinate ufficialmente dalla Commissione italiana per l’Anno internazionale del Pianeta Terra.
Allora per quale motivo questi strumenti non modificano i comportamenti? Forse perché si deve essere in grado di capirli, finirla con la faziosità politica e bisogna uscire dalla logica dell’interesse del consenso legato ai voti e pensare al bene comune punto e basta.