( Dottore di ricerca in Geobotanica )
Il perdersi e ritrovarsi nella storia dell’uso delle erbe spontanee utilizzate nell’alimentazione, coincide, come abbiamo visto, soprattutto con la necessità, in periodi di carestie o calamità, di avere alimenti alternativi. La fitoalimurgia sta conoscendo oggi nuovi interessi, l’alimurgia ovviamente non è più la causa scatenante: nelle erbe spontanee si cerca storia, tradizione, si cercano sapori, potremmo dire un puro interesse per i prodotti naturali, si cercano geni (interesse scientifico). A livello della nostra Puglia non mancano ricerche in proposito; interessantissimo un lavoro (Specie erbacee spontanee eduli della flora pugliese, 1999) del prof. Vito V. Bianco, di cui mi onoro di una sincera stima, autorevole botanico del polo universitario barese, da qualche anno in pensione.
La salvaguardia di tale patrimonio assume un ruolo di estrema importanza poiché si tratta di: nuove forme orticole, utili per produrre miglioramenti genetici (maggiore rusticità, maggiore resistenza alle malattie) nelle attuali varietà di ortaggi; erbe con straordinari valori nutrizionali (sali minerali, antiossidanti). E soprattutto straordinari sapori ormai impercettibili nelle verdure coltivate (ormai diciamo tutti non sanno di niente). Con 350 erbe diverse potremmo preparare: ripieni di torte salate o rustiche, piadine, saltati in padella, piatti a base di carne, pesce, «ciammariche» e selvaggina e paste colorate (gnocchi, ravioli, tagliatelle, ecc.). Un’altra storia da raccontare per un turismo culturale (enogastronomico), che nella nostra Capitanata, nonostante le tante storie di cui è straordinariamente ricca, stenta ad affermarsi.