Plastic Food non è solo arte, è un modello di comunicazione, è un’opera per la collettività, che si nutre costantemente delle contaminazioni di quegli artisti che l’hanno voluta abbracciare e di tutti quelli che vorranno a modo loro farla propria
L’installazione di land art «Plastic Food» è l’ultima di una serie di installazioni iniziata nel 2000, caratterizzate dall’utilizzo di materie plastiche. Potsy è convinto che l’uomo viva un amore non corrisposto con questo meraviglioso ed oramai insostituibile polimero. Quest’opera d’arte non è che un invito ad una passeggiata in un paesaggio futuribile purtroppo presente, che ci sembra distante dalle nostre verdi colline umbre, ma che in realtà non è poi così lontano. Una riflessione semplice, dobbiamo ridurre la produzione di rifiuti. Non possiamo più attendere che l’inconsapevolezza di un futuro distratto tolga ai nostri figli il quotidiano a noi familiare: passeggiare in un campo con l’erba appena tagliata, sentire il leggero profumo delle presse di fieno ci riporta al contatto con la natura e questa deve essere un’eredità per tutti. «Plastic Food» rappresenta ciò che vivremo, ciò che ci attende e che purtroppo in altre regioni e già passato-presente. Sopravviviamo in una società che cannibalizza certezze, che cerca in tutti i modi di sostituirsi alla normale natura di tutte le cose, viventi e semplici, che ha fatto diventare carnivori gli erbivori, in una logica di profitto perversa che alla fine ci si è ritorta contro.
L’installazione Plastic Food è un invito per chi produce e chi consuma ad avere un atteggiamento eco-consapevole riguardo la produzione dei rifiuti, ci sono imballi eco sostenibili che già da subito potrebbero ridurre in maniera sostanziale l’utilizzo del petrolio che è causa di conflitti a livello mondiale oltre che contribuire all’innalzamento della temperatura del pianeta con la sua trasformazione e smaltimento dei prodotti derivati. Tornare indietro nel tempo all’utilizzo di materiali naturali per guardare al futuro con una prospettiva di consumo sostenibile, che non debba per forza sfruttare i Paesi in via di sviluppo. Scrollarci di dosso questa ipocrisia che ci fa storcere il naso davanti alla fame nel mondo mentre acquistiamo l’ultimo suggerimento per gli acquisti prodotto da persone che non hanno nemmeno una ciotola di riso al giorno.
La natura implode nella frustrazione nella quale versa, improvvisa malesseri che si concretizzano in nuove pandemie. Camminare attraverso l’installazione di Potsy vi proietterà in un’istantanea capace di farvi comprendere la reale disarmonia di una esperienza accanto ai nostri rifiuti quotidiani, macchie di colore fuori tono, abituati come siamo alle solite meravigliose mura cittadine.
Un viaggio che vi permetterà di abbracciare presse diverse di un futuro-presente che nessuno di noi vorrebbe nel proprio giardino.
Installare plastic food a Bruxelles è molto importante perché è il cuore dell’Europa moderna, il fulcro dove si decide il futuro di tutti noi. Dobbiamo reimpostare il concetto di produttività muovendoci verso un sistema che tenga conto dell’impatto ambientale. Dobbiamo isolare quelle realtà produttive che immettono nel mercato merce «malata», perché recuperare il danno provocato da certi paesi che sfruttano mano d’opera, senza nessun rispetto per il lavoratore, che inquinano non tenendo conto di nessun problema ambientale, sta portando ad un impoverimento serio di tutti gli stati membri europei ed un livello di inquinamento senza precedenti nella storia dell’uomo.
Nell’evolverci, non soddisfatti dei materiali dei quali disponiamo in natura, ci siamo spinti verso la ricerca di futuribili perversi peraltro insostenibili dal nostro pianeta, del quale dovremmo essere parte integrante e non invasiva. La trasformazione di un elemento naturale come il petrolio, ha portato alla magnifica creazione dei polimeri, che rivestono un’importanza fondamentale in molti ambiti dell’esistenza umana. I Polimeri hanno radicalmente cambiato positivamente la qualità della nostra vita, ma dobbiamo fare molta attenzione a non utilizzarli inutilmente.
Purtroppo nell’ottica di un consumismo sfrenato e privo di eco-consapevolezza forse siamo arrivati ad un punto di non ritorno per il quale un’invenzione dell’uomo che avrebbe dovuto migliorare la nostra condizione, come la plastica, sta velocemente gettando l’evoluzione umana in un cassonetto dei rifiuti.
Da qui l’importanza di avere una maggiore eco-consapevolezza sia da parte di chi produce, sia da parte di chi consuma, per creare un sillogismo che dia come risultato un consumo ad impatto ambientale zero.
L’uomo vive sulla terra da migliaia di anni, nel corso del tempo ha subito un’evoluzione in linea con le esigenze del pianeta, negli ultimi cento anni questa tendenza si è capovolta, per dare spazio a logiche di profitto che hanno fatto dell’umanità e del suo sistema di vita una piaga per la natura stessa. Se non cambiamo atteggiamento questa sarà la nostra nuova passione. In poco più di un secolo siamo riusciti a distruggere tutto il meglio di ciò che ci circonda.
Plastic Food non è un dipinto che si può appendere nel proprio salotto, anche se sempre di arte si sta parlando, in effetti è stata esposta al Centro Per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato e parte integrante della mostra permanente del Mac (Museo per l’arte contemporanea) di Bahia in Brasile.
Spesso osservando l’installazione si rimane distanti, è inutile insistere, la verità è che i rifiuti che produciamo ci fanno paura, ce ne vergogniamo e ne disconosciamo la proprietà. Un’installazione come Plastic Food ci fa riflettere su ciò che siamo e ciò che saremo, l’esatta proiezione di tutto quello che non vogliamo.
Purtroppo l’Italia finisce troppo spesso nella cronaca estera per la questione rifiuti anziché per le sue bellezze storiche, Plastic Food lotta anche contro questo smembramento selvaggio dei nostri luoghi dicendo che se da una parte c’è un’Italia distratta, dall’altra c’è anche un’Italia che lotta ogni giorno per valorizzare e proteggere le proprie bellezze, la stessa che ci rende fieri di essere italiani. La nostra bandiera è il frutto del sacrificio e dell’antica storia dei nostri avi, fatta di un tessuto unico al mondo, dobbiamo evitare ad ogni costo che la nostra bandiera sia fatta di plastica colorata «Made in chissà dove» e tirare fuori dal cassetto quel sentimento nazionale di cui abbiamo bisogno e che ci rende orgogliosi. Plastic Food non è solo arte, è un modello di comunicazione, è un’opera per la collettività, che si nutre costantemente delle contaminazioni di quegli artisti che l’hanno voluta abbracciare e di tutti quelli che vorranno a modo loro farla propria.
Un’opera come Plastic Food (www.plasticfood.it) è stata per l’artista come far nascere un essere vivente, avergli spiegato le quattro regole fondamentali per la sopravvivenza e averlo lasciato a se stesso solo al mondo e libero di imparare dall’esperienza di tutto ciò che lo circonda nel bene e nel male.
L’appello lanciato dall’artista Pierluigi Monsignori Potsy agli artisti di cercare di utilizzare le proprie capacità comunicative per contaminare la propria installazione ed aiutare il pianeta ha dato risultati sorprendenti. Ogni persona che ne ha parlato, l’ha toccata, fotografata, ne ha fatto un video, l’ha usata come strumento musicale, l’ha amata, l’ha odiata, l’ha comunque contaminata in modo positivo rendendola quindi mensa comune. Tanti artisti hanno voluto interagire con Plastic Food, ne sono diventati parte integrante unendosi indelebilmente al più profondo significato dell’opera.
«In un momento storico dove tutte le certezze si perdono, l’arte ha un ruolo fondamentale nel cercare di ricollocare la speranza al centro della nostra quotidianità».
Pierluigi Monsignori Potsy