Ridurre subito il debito si può

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L’idea è quella di creare un grande contenitore, una sorta di fondo patrimoniale al cui interno inserire gli asset statali disponibili, come proprietà immobiliari e azioni di imprese possedute dal Tesoro, quotate e non, per la parte eccedente il controllo. La strada maestra per uscire dalla palude resta il taglio del debito, subito e in maniera drastica

Un unico maxi-Fondo Patrimoniale degli Italiani in cui far confluire in primo luogo le attività reali dello Stato, oltre quelle finanziarie, da offrire in concambio dei Btp. È la soluzione per tagliare immediatamente il debito pubblico e rimettere in moto l’economia del Paese dopo una manovra che, da sola e pur giustificata dall’emergenza, non salverà l’Italia, ma rischia di costringerla sempre più nella morsa della recessione.

Ecco come

L’idea è quella di creare un grande contenitore, una sorta di fondo patrimoniale al cui interno inserire gli asset statali disponibili, come proprietà immobiliari e azioni di imprese possedute dal Tesoro, quotate e non, per la parte eccedente il controllo.
Come noto, gli immobili pubblici, considerati nel loro insieme, hanno un valore non inferiore ai 700 miliardi di euro. Una cifra consistente, che da sola non riuscirebbe però ad azzerare un debito complessivo pari a quasi 1.900 miliardi di euro. Vendere tutti questi asset in un sol colpo (come caserme, palazzi, terreni, etc.) sarebbe d’altronde poco conveniente, oltre che poco oculato (quale padre di famiglia cederebbe con un’unica operazione tutti i beni di famiglia!). Una parte invece sì. Facciamo un esempio per difetto: si potrebbe far confluire nel grande contenitore, diciamo, il 25-30 per cento del totale, pari a circa 175-210 miliardi di euro. A questo importo si potrebbero aggiungere attività mobiliari per altri 100 miliardi e si otterrebbe così un fondo da oltre 300 miliardi.
Le quote dovrebbero essere acquisite dalle famiglie in cambio di liquidità, consentendo di conferire titoli del debito pubblico in circolazione con un concambio da stabilire con una perizia indipendente. Gli italiani diverrebbero così direttamente proprietari di «parti» di una sorta di fondo comune di investimento con un impiego immediatamente fruttifero delle proprie risorse finanziarie, un impiego che se ben gestito troverebbe peraltro una sicura rivalutazione nel tempo. La condizione è quella di un’inalienabilità dei beni sottostanti e delle quote ad essi relative per un congruo periodo di tempo, ad esempio dieci anni.
Il veicolo potrebbe avere la forma giuridica di una super-Spa (società per azioni) da collocare eventualmente in Borsa, che avrebbe non solo la garanzia dello Stato emittente, ma quella dei più «sostanziosi» beni reali sottostanti, con l’unico obiettivo della redditività. Ovviamente la società-veicolo non sarebbe il classico «carrozzone», bensì una realtà gestita da manager professionali e indipendenti, e senza superbonus che finirebbero col distrarre dal vero obiettivo finale: quello di tutelare il patrimonio comune degli italiani.
Per avere un’idea di ciò che potrebbe mettersi in moto, basti osservare che il completamento dell’operazione (che potrebbe essere diluita in due-tre anni ma in tempi sicuramente inferiori rispetto a quelli della sommatoria di analoghe singole dismissioni di asset mobiliari o immobiliari) comporterebbe la riduzione di quasi il 20 per cento nel rapporto debito/Pil (il 16,4 per cento nell’ipotesi per difetto), una cifra non certo trascurabile. Basterebbe semplicemente raddoppiare il suo importo facendovi confluire la metà degli immobili pubblici e altre partecipazioni statali, per far abbassare velocemente il rapporto debito Pil dall’attuale 120 per cento verso, supponiamo, il 75-80 per cento, una percentuale molto più «virtuosa» anche rispetto ai più solidi Paesi dell’Eurozona e più vicina al limite del 60 per cento previsto dal Trattato di Maastricht.
Il tutto senza considerare l’eventuale inserimento nel fondo di parte delle riserve auree nazionali (pari in totale a oltre 2.200 tonnellate d’oro con un controvalore complessivo di quasi 100 miliardi), destinate a rivalutarsi nel medio lungo termine.

I vantaggi

Il risparmio per il bilancio dello Stato sarebbe dunque immediato: diminuirebbero sia l’entità del debito pubblico sia il costo rappresentato da tassi di interesse in questo momento crescenti. Si pensi che l’onere per gli interessi sul debito dello Stato drena dall’economia reale oltre 80 miliardi l’anno, tutti prelevati attraverso la tassazione, di cui metà elargiti all’estero. L’intera economia italiana ne beneficerebbe immediatamente. Anziché lasciarsi tassare, solo per continuare a pagare elevati interessi sul debito pubblico, potrebbe essere arrivato il momento per gli italiani di riscattarlo ricomprandolo. I cittadini diventerebbero così i veri titolari di ciò che appartiene loro: il patrimonio pubblico.

Per il futuro Stop quindi alle manovre del tipo salva-Italia, che ambiscono solo ad azzerare il deficit e non a ridurre il vero problema: il debito. E finiscono solo con aumentare la pressione fiscale (la nuova tassazione non risparmia nulla, dai redditi ai consumi, dalle abitazioni agli investimenti mobiliari, ovunque siano localizzati in Italia o all’estero) e quindi alimentare la recessione.
Le imprese stentano infatti ad approvvigionarsi di credito e le stesse banche a fornirlo, visto che i tassi di interesse sul debito pubblico trascinano verso l’alto, per tutti, il costo del denaro. L’Italia rischia dunque di avvitarsi in una spirale perversa, mentre il premio al rischio cresce ogni giorno che passa per via della crisi economica internazionale e della scarsa capacità di crescita del nostro Paese.
La strada maestra per uscire dalla palude resta dunque il taglio del debito, subito e in maniera drastica: un obiettivo su cui nessun Governo, neanche quello tecnico in carica, ha potuto ancora seriamente cimentarsi, costretto a riassorbire il debito con l’avanzo primario sul bilancio. Il risultato, dal 1992, non è mai cambiato: sempre più tasse, sempre meno servizi pubblici, sempre meno crescita e sempre lo stesso debito.
Non c’è un minuto da perdere. Non ci sono altre strade credibili da percorrere in tempi ragionevoli per le tasche degli italiani e il futuro dei giovani.