Il «Punto di non ritorno» è assai vicino e pertanto bisognerà decidere dal basso, attuando una forma più efficace di democrazia diretta, cosa che dovremo fare in piena coscienza per favorire un rinnovato tipo di sviluppo collaborativo più equo, solidale con gli uomini e la natura
Le evoluzioni culturali, avvengono in momenti in cui tutte le «emergenze» si saturano in una crisi economica «strutturale». In tale occasione la esigenza di nuove concezioni dello sviluppo emergono come tensione collettiva capace di sostituire i vecchi schemi mentali che guidano la politica così come gli stili di vita dei cittadini colpiti dalla crisi, poiché si comprende che la crisi non è limitata ad un cambiamento della economia finanziaria ma in tutta evidenza necessita di un cambiamento strutturale della società. Viviamo pertanto in un epoca che segna il «punto di non ritorno» al vecchio sistema di sviluppo industriale, che come tale non ha alcuna possibilità di non inquinare il pianeta. Appare ormai evidente che non basta affrontare il problema della riduzione degli inquinanti in quanto emerge con forza la esigenza di attuare un più profondo e complesso cambiamento delle strategie di sviluppo strutturale della produzione e dei criteri di sviluppo economico e sociale.
La storia insegna che ciò che non e successo durante vari secoli può avvenire in un breve lasso di tempo; infatti le popolazioni ad un tratto non hanno più timore di cambiare anche se non ci sono modelli di sviluppo precedenti da imitare, così che in breve tempo i popoli all’unisono divengono capaci di rivoluzionare creativamente la vecchia cultura considerata ormai obsoleta e dannosa, ponendo una nuova attenzione ed intenzione di esplorare e sperimentare nuove opportunità condivise di crescita sociale ed economica.
Oggigiorno tale cambiamento che segna «il punto di non ritorno», tra la vecchia società industriale e la società della conoscenza condivisa è ad un passo dall’essere messo in atto. Infatti la causa più evidente della crisi economica e strutturale contemporanea è posta in tutta evidenza dalla insostenibilità della vita del nostro pianeta in quanto la natura complessivamente non riesce più a sopportare il tipo di sviluppo industriale,che in verità sta travolgendo il sistema di vita in ogni suo aspetto, a partire dalla salute, alle carenze e alla insicurezza alimentare, ai dissesti idro-geologici, e al peggioramento sistematico delle condizioni di vita economica e sociale, ormai sempre più esteso che ormai coinvolge anche i paesi precedentemente ad alto tasso di sviluppo come gli Usa e l’Europa.
In particolare la vecchia Europa si trova nel rischio di crollare per aver scelto una insoddisfacente politica monetaria dell’Euro, in quanto essa non collima più con esigenze di innovazione capaci di delineare e rendere operativo il cambiamento sociale ed economico strutturale che permetterà di tradursi in crescita della società della conoscenza.
A tutti gli effetti infatti è proprio il ritardo che l’Europa ha accumulato dall’anno 2000 ad oggi nella costruzione della società della conoscenza, quello che oggigiorno è divenuto la causa principale del dissesto che rende la speculazione finanziaria una vera fornace capace di bruciare ogni iniziativa di recupero debito, se essa viene affrontata unicamente in chiave economicistica di un ritorno degli investimenti finanziari. L’Europa si trova pertanto in una situazione nelle quale si pensa di spegnere la fornace speculativa immettendo una valanga di carta (Bond) o di altri prodotti combustibili (Euro-bond).
Quello che purtroppo si rischia di non capire ancora consiste nel fatto che i sacrifici economici richiesti ai cittadini andranno in breve tempo nuovamente in fumo perché potranno rivelarsi del tutto inutili ad opporsi ai nuovi attacchi speculativi.
Infatti se non metteremo mano ad un sostanziale cambiamento dello sviluppo e degli stili di vita che vada nelle direzione della crescita innovativa della società della conoscenza la speculazione continuerà imperterrita a spolpare le residue forze sociali che non ancora giunte al «punto di non ritorno», rischiano di divenire sempre più incapaci di co-organizzarsi secondo nuove direttrici di sviluppo cognitivo generative della futura società della conoscenza.
L’Europa se persisterà nel ritenere come determinante il pareggio di bilanci arretrati immettendo obbligazioni ad alti tassi di interesse, di fatto riuscirà a presentarsi ai cittadini solo come un «incubo da strozzinaggio», proprio a causa di una inutile insistenza di occuparsi prevalentemente, perseguendo teorizzazioni economiche obsolete, del recupero del credito solo per mantenere il valore commerciale dell’Euro in favore del sistema bancario centrale che di fatto governa l’Europa.
Questo modo di agire è indubbiamente accompagnato da un crollo di credibilità nella democrazia partecipata, che è il corrispettivo della incapacità della istituzione europea di agire al di sopra delle semplici misure «quantitative» orientate dal recupero crediti attuate secondo gli indirizzi della Bce (Banca centrale europea), mentre viceversa la necessità storica è quella di agire sulla base con criteri di sviluppo di innovazione per il cambiamento che sono quelli che hanno la efficacia qualitativa di modificare strutturalmente le modalità obsolete dello sviluppo industriale e di tradurle in crescita della «eco-economia» della conoscenza.
Quello che dovremo coscientemente capire è che nello sviluppo dalla economia della conoscenza il sapere non permane più correlato al passato a volte troppo remoto, ma alla creatività critica e costruttiva contemporanea finalizzata a modificare la struttura obsolescente della società industriale così da superare le concezioni obsolete e la loro suddivisione disciplinare articolata socialmente in professioni standardizzate che oggigiorno dovranno essere riconvertite nell’ambito delle nuove strategie trans-disciplinari di sviluppo delle risorse umane.
È pertanto necessario riconoscere che sono le «risorse umane» e non quelle economiche a determinare la futura crescita della società della condivisione dei saperi. Pertanto l’innovazione della ricerca sia scientifica, tecnologica e sociale misurata in termini di evoluzione delle strategie di sviluppo, sarà quella che permetterà la smaterializzazione della produzione che è determinante dello sviluppo della società della conoscenza. Ciò sarà possibile mediante la partecipazione collaborativa di reti di impresa e ricerca impegnate ad es. nello sviluppo delle nano-e bio-tecnologie della ro-obotica, così come con le applicazioni di energia alternative naturali (geotermica,solare ed eolica).
Il lavoro più appropriato allo sviluppo delle società della conoscenza oggi non è più, salvo rare eccezioni, basato sulla tradizionale separazione tra lavoro intellettuale e manuale; infatti nella maggioranza dei casi la società della condivisione dei saperi sarà fondata su un lavoro cognitivo e manageriale, capace di utilizzare complessivamente le conoscenze scientifiche e tecnologiche più avanzate di cui si dispone per produrre altre conoscenze innovative, portatrici di utilità di uno sviluppo eco-economico organico alla sostenibilità ambientale.
Pertanto la nuova economia è diventata una strategia di sviluppo in cui è la conoscenza che viene messa al lavoro entro sistemi di open innovation e di disruptive innovation.Questa è la trasformazione cooperativa e dirompente che dovrà essere compiuta a breve e medio termine nel passaggio verso l’economia della conoscenza, in cui il valore economico-sociale viene prodotto costruendo opportunità di cambiamento che creano rinnovate forme produttive e valori sociali che sono il frutto della creatività di una nuova epoca capace di «immaginazione scientifica, culturale ed artistica», che nel loro insieme finalizzeranno la crescita nella direzione della de-materializzazione della economia producendo un definitivo miglioramento dell’impatto ecologico della produzione, valorizzato dalla comunicazione basata su una estesa condivisione interattiva dei saperi.
Conseguentemente chi vorrà effettivamente uscire dalla sistematica decrescita della struttura della società industriale e si impegnerà a capire come deve essere gestito il passaggio verso la futura società della conoscenza, dovrà reperire e dare sviluppo alle opportunità di cambiamento che aprono nuove strategie di sviluppo «eco-economico», che si presentano a tutti gli effetti come nuove capacità di crescita nel quadro-della attuale de-industrializzazione che ormai procede verso la più completa desertificazione delle imprese manifatturiere europee ormai mature, in gran parte definitivamente trasferitesi nei paesi emergenti.
Purtroppo abbiamo avuto una casta politica e dirigenziale ben pagata e allo stesso tempo irresponsabile che ha sperperato denaro creando uno smisurato debito pubblico, proprio in quanto è stata incapace di delineare una visione prospettica di lungo periodo quale era necessaria a favorire il cambiamento strutturale strategico cruciale per favorire la crescita della economia della conoscenza. Ora la stessa dirigenza politica ed economica e solo capace di attuare una ragionieristica strategia dei tagli da effettuare proponendosi di farli pagare ai soliti lavoratori e ricercatori che sono l’elemento propulsore della rinnovata crescita economica. Credo in vero che il «Punto di non ritorno»sia assai vicino e pertanto bisognerà decidere dal basso, attuando una forma più efficace di democrazia diretta, cosa che dovremo fare in piena coscienza per favorire un rinnovato tipo di sviluppo collaborativo più equo, solidale con gli uomini e la natura.
Biblio on Line
– Arte e scienza del cambiamento
Paolo Manzelli, Direttore di Lre/Ego-CreaNet, Università di Firenze