- Perché questo dibattito
- Il Web l’ha capito per primo
- Quando l’ecologia era «la scienza delle contesse»
- È una crisi che serve al mercato
«Nell’ambito della proprietà privata ogni uomo s’ingegna di procurare all’altro uomo un nuovo bisogno, per costringerlo ad un nuovo sacrificio, per ridurlo ad una nuova dipendenza e sospingerlo ad un nuovo modo di godimento e quindi di rovina economica. Con la massa degli oggetti cresce quindi la sfera degli esseri estranei, ai quali l’uomo è soggiogato, ed ogni nuovo prodotto è un nuovo potenziamento del reciproco inganno e delle reciproche spoliazioni. L’uomo diventa tanto più povero come uomo, ha tanto più bisogno del denaro, per impadronirsi dell’essere ostile, e la potenza del suo denaro sta giusto in proporzione inversa alla massa della produzione; in altre parole, la sua miseria cresce nella misura in cui aumenta la potenza del denaro».
Una lucida analisi delle nostre condizioni attuali, di cittadini-lavoratori-consumatori dei paesi industriali, schiavi di bisogni e di merci, inventati da abili specialisti per costringerci a diventare schiavi di un crescente numero di oggetti, per spingerci a qualsiasi sacrificio pur di conquistare i nuovi «esseri ostili»?
I creatori di sempre nuove effimere mode, i fabbricanti di merci e macchinari di breve durata, i teorici della società usa-e-getta, si propongono di soggiogare ciascuno di noi, di renderci più poveri proprio in quanto siamo spinti a possedere più oggetti. Gli organizzatori delle nuove servitù e miserie (imprenditori, proprietari dei mezzi di comunicazione, ormai essi stessi nostri governanti) ci spiegano che si può uscire dalla crisi economica soltanto consumando di più.
Anzi che questo incremento dei consumi è indispensabile per la conservazione e l’aumento dei posti di lavoro, per cui i lavoratori-consumatori sono oppressori e oppressi di se stessi, dal momento che, per acquistare le merci da essi stessi prodotte, devono lavorare e farsi sfruttare sempre più intensamente.
Ma chi è l’autore delle righe iniziali di questo articolo? Il filosofo Marcuse? lo scrittore Baudrillard? o Vance Packard nella sua denuncia dei persuasori occulti? Ralph Nader, l’avvocato americano dei consumatori? i sociologi della fine degli anni Sessanta del Novecento? Nessuno di loro. La citazione si trova nel terzo di quattro quaderni incompiuti scritti a Parigi dal marzo al settembre 1844, da un giovanotto ventiseienne, Karl Marx (1818-1883). Quella del 1844 fu un’estate fondamentale per Marx che a Parigi incontra Engels; da qui comincia la grande avventura dei due giganti. I quaderni in cui furono raccolti i pensieri di Marx di quella primavera-estate, dopo aver girato a lungo, furono pubblicati per la prima volta a Berlino nel 1932, proprio alle soglie dell’avvento del nazismo, col titolo: «Manoscritti economico-filosofici del 1844».
I «manoscritti» furono tradotti in italiano, indipendentemente, da Delio Cantimori, da Galvano Della Volpe e da Norberto Bobbio fra il 1947 e il 1949. La traduzione ed edizione critica di Norberto Bobbio furono pubblicate da Einaudi nel 1949 e poi di nuovo nel 1968, con varie ristampe. Negli anni Sessanta del Novecento, sull’onda della contestazione giovanile ed ecologica, i «Manoscritti del 1844» divennero un libro di culto per la freschezza e attualità della critica della società dei consumi e per la lucidità con cui è impostato il rapporto uomo-natura.
I primi passi
Per buona memoria delle più giovani generazioni di ecologisti vorrei ricordare queste poche righe:
«L’uomo (come animale) vive della natura inorganica, e quanto più universale è l’uomo dell’animale, tanto più universale è il regno della natura inorganica di cui egli vive. Le piante, gli animali, le pietre, l’aria, la luce, ecc. costituiscono anche praticamente una parte della vita umana e dell’umana attività. L’uomo vive fisicamente soltanto di questi prodotti naturali. Che l’uomo viva della natura vuol dire che la natura è il suo corpo, con cui deve stare in costante rapporto».
Ma poco dopo, sempre in questo «primo» manoscritto, Marx ricorda che «l’animale costruisce seconda la misura e il bisogno della specie, a cui appartiene, mentre l’uomo sa produrre secondo la misura di ogni specie; l’uomo costruisce anche secondo le leggi della bellezza».
Un tema che Marx riprenderà nel 1867, nel quinto capitolo del primo libro del «Capitale» nel celebre passo che distingue fra il lavoro dell’ape e quello dell’architetto.
Non si dimentichi che il 1844 appartiene ad un periodo fecondissimo per lo sviluppo delle scienze naturali. Negli anni 40 Liebig getta le basi delle leggi della nutrizione vegetale e introduce la «legge del minimo»; Darwin era tornato da poco dal suo viaggio intorno al mondo con la nave Beagle (1831-1836) e stava meditando, nella sua casa nella campagna inglese, sui rapporti fra le specie viventi e il loro ambiente che troverà compiuta espressione nel 1859 con il libro «Sull’origine delle specie». Il 1844 precede di molto la prima edizione, del 1864, del celebre libro di George Marsh su «L’uomo e la natura» e la pubblicazione, nel 1866, della conferenza di Haeckel in cui viene usata per la prima volta la parola «ecologia».
Nella primavera-estate del 1844 il pensiero di Marx si svolge così dalla analisi, di influenza hegeliana, della posizione dell’uomo nella natura, un uomo che è un animale, in quanto appartiene alla natura, ma è un animale «speciale». Passa poi a considerare come la società basata sulla proprietà privata metta gli esseri umani uno contro l’altro, per la conquista delle merci e per la sopraffazione. L’origine, la fonte, e, nello stesso tempo, il prodotto, il risultato e la conseguenza necessaria del lavoro alienato è la proprietà privata, il cui carattere e ruolo sono ripresi nel secondo, il più breve, dei «Manoscritti».
Sempre nuovi bisogni
Come la proprietà privata condizioni non solo il lavoro, ma anche i bisogni umani è descritto in modo suggestivo nel terzo dei «Manoscritti», di cui riproduco alcuni passi nella traduzione di Norberto Bobbio (i corsivi sono nel testo).
«Abbiamo visto quale significato abbia, facendo l’ipotesi del socialismo, la ricchezza dei bisogni umani, e quindi tanto un nuovo modo di produzione quanto anche un nuovo oggetto di produzione… Nell’ambito della proprietà privata il significato opposto. Ogni uomo s’ingegna di procurare all’altro uomo un nuovo bisogno, per costringerlo ad un nuovo sacrificio, per ridurlo ad una nuova dipendenza e spingerlo ad un nuovo modo di godimento e quindi di rovina economica. Ognuno cerca di creare al di sopra dell’altro una forza essenziale estranea per trovarvi la soddisfazione del proprio bisogno egoistico.
«Con la massa degli oggetti cresce quindi la sfera degli esseri estranei, ai quali l’uomo è soggiogato, ed ogni nuovo prodotto è un nuovo potenziamento del reciproco inganno e delle reciproche spogliazioni. L’uomo diventa tanto più povero come uomo, ha tanto più bisogno del denaro, per impadronirsi dell’essere ostile, e la potenza del suo denaro sta giusto in proporzione inversa alla massa della produzione; in altre parole, la sua miseria cresce nella misura in cui aumenta la potenza del denaro. Perciò il bisogno del denaro è il vero bisogno prodotto dall’economia politica, il solo bisogno che essa produce…
«Così si presenta la cosa anche dal punto di vista soggettivo: in parte l’estensione dei prodotti e dei bisogni si fa schiava, schiava ingegnosa e sempre calcolatrice, di appetiti disumani, raffinati, innaturali, e immaginari… Il produttore, al fine di carpire qualche po’ di denaro e di cavare gli zecchini dalle tasche del prossimo cristianamente amato, si adatta ai più abietti capricci dei propri simili, fa la parte di mezzano tra i propri simili e i loro bisogni, eccita in loro appetiti morbosi, spia ogni loro debolezza per esigere poi il prezzo dei suoi buoni uffici…».
Lo stile e i termini sono quelli di uno scrittore di un secolo e mezzo fa, ma l’immagine che viene data della società corrisponde perfettamente a quella che abbiamo sotto gli occhi anche oggi: vengono inventate merci non per soddisfare bisogni, ma per asservire ogni persona a nuovi acquisti; vengono creati con le più raffinate tecniche, nuovi bisogni per mettere in concorrenza gli esseri umani fra loro, fin dalla più tenera età, colpendo in questo maggiormente le classi meno abbienti che sono costrette a cercare più guadagni, leciti e illeciti, per ridursi a sempre nuove dipendenze.
La casa
Nel terzo «Manoscritto» seguono poi alcuni passi sulla città e sulle abitazioni, che spiegano bene come la conquista della casa non solo debba essere pagata, ma pagata a caro prezzo dalla speculazione che assicura case in zone affollate, con l’aria e le acque contaminate; il tema del degrado urbano si ritroverà tante volte nelle opere di Marx e di Engels, fino all’«AntiDühring» di Engels del 1878.
«Lo stesso bisogno dell’aria aperta – continua il terzo dei “Manoscritti del 1844” – cessa di essere un bisogno nell’operaio; l’uomo ritorna ad abitare nelle caverne, la cui aria però è ormai viziata dal mefitico alito pestilenziale della civiltà, e ove egli abita ormai soltanto a titolo precario, rappresentando esse per lui ormai una estranea potenza che può essergli sottratta ogni giorno e da cui ogni giorno può essere cacciato se non paga. Perché egli questo sepolcro lo deve pagare.
«La casa luminosa, che, in Eschilo, Prometeo addita come uno dei grandi doni con cui ha trasformato i selvaggi in uomini, non esiste più per l’operaio. La luce, l’aria, ecc., la più elementare pulizia, di cui anche gli animali godono, cessa di essere un bisogno per l’uomo. La sporcizia, questo impantanarsi e putrefarsi dell’uomo, la fogna (in senso letterale) della civiltà, diventa per l’operaio un elemento vitale. Diventa un suo elemento vitale il complesso e innaturale abbandono, la natura putrefatta».
Dopo aver esaminato come l’economia politica governa ed orienta i bisogni umani al servizio del guadagno e del profitto dei capitalisti, Marx parla dell’organizzazione della produzione.
«Il senso che la produzione ha relativamente ai ricchi, si mostra manifestamente nel senso che essa ha per i poveri: verso l’alto la sua manifestazione è sempre raffinata, dissimulata, ambigua, pura e semplice apparenza; verso il basso è grossolana, scoperta, leale, vera e propria realtà. Il bisogno rozzo dell’operaio è una fonte di guadagno assai maggiore che il bisogno raffinato del ricco. Le abitazioni nel sottosuolo di Londra rendono ai loro padroni più che i palazzi, cioè rappresentano per loro una ricchezza maggiore, e quindi per usare il linguaggio dell’economia politica, una maggiore ricchezza sociale.
«E così, come l’industria specula sul raffinamento dei bisogni, specula altrettanto sulla loro rozzezza; sulla loro rozzezza in quanto è prodotta ad arte, e di cui pertanto il vero godimento consiste nell’autostordimento, che è una soddisfazione del bisogno soltanto apparente, una forma di civiltà dentro la rozza barbarie del bisogno. Le bettole inglesi sono perciò una rappresentazione simbolica della proprietà privata. Il loro lusso mostra il vero rapporto del lusso e della ricchezza dell’industria con l’uomo. E sono quindi anche a ragione i soli divertimenti domenicali del popolo trattati per lo meno con mitezza dalla polizia inglese».
Lo sfruttamento privato della natura
Sono tutti temi che Marx riprenderà molte volte nelle sue opere, ma che qui mi sembra vengano formulate con un’ironia e un vigore che non sempre si trovano nelle opere più mature. C’è una soluzione? Il giovane Marx l’individua nel «comunismo come soppressione positiva della proprietà privata intesa come autoestraniazione dell’uomo, e quindi come reale appropriazione dell’essenza dell’uomo mediante l’uomo e per l’uomo; perciò come ritorno dell’uomo per sé, dell’uomo come essere sociale, cioè umano. Questo comunismo… è la vera risoluzione dell’antagonismo fra la natura e l’uomo, fra l’uomo e l’uomo, … tra la libertà e la necessità, tra l’individuo e la specie… L’essenza umana della natura esiste soltanto per l’uomo sociale; infatti soltanto qui la natura esiste per l’uomo come vincolo con l’uomo, come esistenza di lui per l’altro e dell’altro per lui, soltanto qui essa esiste come fondamento della sua propria esistenza umana… Dunque la società è l’unità essenziale, giunta al proprio compimento, dell’uomo con la natura, la vera risurrezione della natura, il naturalismo compiuto dell’uomo e l’umanismo compiuto della natura».
Le analisi degli ultimi decenni hanno mostrato bene che la radice della crisi ecologica sta proprio nello sfruttamento privato della natura, bene collettivo per eccellenza, per ricavarne quantità sempre maggiori di merci, progettate e propagandate non per soddisfare bisogni umani, ma per costringere sempre più vaste fasce della popolazione umana a vendere il proprio lavoro per ottenere il denaro necessario per acquistare l’«essere estraneo» di cui parla Marx.
Proprio alla nostra epoca è toccata la sorte di vedere attuata l’anticipazione di Marx, grazie all’asservimento di uno straordinario mezzo di comunicazione come la televisione (un mezzo che avrebbe potuto essere liberatorio, strumento di diffusione di conoscenze e di solidarietà) alla pubblicità e alla vendita delle merci, alla moltiplicazione dei bisogni, alla creazione di bisogni inutili sempre meno duraturi.
E non destano meraviglia le lotte per la conquista di una maggiore fetta del potere televisivo, il più efficace strumento che oggi consente di incantare sempre nuovi acquirenti di merci, capace di creare nuovi miti e modelli da scimmiottare moltiplicando le merci inutili a scapito della conoscenza, della attitudine critica, dei rapporti sociali, tarpando le ali a qualsiasi lotta per l’emancipazione. Si pensi alla «perfezione» delle tecniche per produrre rumore che sovrasta le parole, alle chat lines in cui vengono scambiate banalità per indurre ad evitare di parlare (chat lines immaginate già nel 1951 da Ray Bradbury in «Fahrenheit 451», come strumento inventato dal «Governo» per impedire la lettura, per impedire di pensare «ai fiori dei campi, ai gigli sereni»).
E poiché la crisi ecologica è proprio il risultato dell’espansione dei bisogni artificiali e dei consumi, non c’è da meravigliarsi che i governi di destra rimuovano i controlli e i divieti sui rifiuti, sull’inquinamento, sulla speculazione sui suoli, su qualsiasi cosa che possa rallentare i consumi e gli sprechi.
La rilettura dei «Manoscritti» marxiani di un secolo e mezzo fa potrebbe fornire anche qualche nuova idea sulle linee di lotta di un efficace movimento ambientalista. Certo: è possibile sporcare un po’ meno il mare costruendo depuratori, o smaltire un po’ di rifiuti con qualche inceneritore, o salvare qualche milione di uccelli disturbando i cacciatori, e ciascuna di queste azioni è in sé lodevole, anche se alcune si limitano a spostare la violenza alla natura da una zona all’altra, dall’aria al suolo, dai paesi ricchi a quelli poveri.
Un diverso rapporto con la natura si può cercare soltanto in una critica profonda dei rapporti di proprietà, di produzione, di lavoro, di uso della scienza e della tecnica. Una rivoluzione culturale tutta da inventare e di cui non abbiamo finora modelli a cui riferirci. Le poche società che si spacciavano come socialiste e comuniste sono state spesso segnate da catastrofi ecologiche e da violenze umane perché, in realtà, esse operavano secondo le stesse regole (dell’espansione della produzione e del potere) «copiate» dalle società capitalistiche, e praticavano qualsiasi cosa fuorché quel comunismo di cui parla Marx.
La grande svolta a destra dei paesi vetero-capitalistici e di quelli neo-capitalistici, sorti dalle ceneri del falso comunismo e dall’avvio all’emancipazione del Sud del mondo, sta rapidamente aggravando la crisi delle risorse naturali, la pressione demografica, la carica di egoismo, violenza e competizione che mette popoli contro popoli, persone contro persone.
La separazione degli esseri umani dalla natura, la competizione e la sopraffazione di ciascun uomo e di ciascun gruppo di esseri umani su altri, vanno cercati nelle leggi dell’attuale economia, della proprietà privata, del profitto. Forse un giorno, forse presto, la situazione ambientale dei terrestri sarà così grave da indurli a ripensare al proprio futuro in termini completamente nuovi e diversi dagli attuali: forse la rilettura di Marx, un giorno, ci aiuterà a ricordare e capire le radici della crisi e ci suggerirà qualche soluzione. E speriamo che non sia necessario aspettare altri 150 anni!