Biodiversità in numeri

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Biodiversità terrestre

Il nostro è tra i Paesi europei più ricchi di biodiversità, con il più alto numero di specie animali tra i Paesi Ue, circa un terzo di tutte quelle attualmente presenti in Europa, con un’elevata incidenza di specie endemiche (9%).

La fauna terrestre è costituita da circa 42.000 specie (finora identificate, ma è possibile che alcune specie non siano ancora sconosciute).

La fauna italiana è stimata in oltre 58.000 specie, di cui circa 55.000 di Invertebrati e 1.812 di Protozoi (che assieme rappresentano circa il 98% della ricchezza di specie totale) nonché 1.258 di Vertebrati (2%).

L’Italia ospita circa la metà delle specie vegetali presenti nel territorio europeo ed è la prima nazione del continente per numero assoluto di specie; le piante superiori contano 6.711 specie, ovvero 144 specie di Pteridofite, 39 di Gimnosperme e 6.528 di Angiosperme, con un contingente di specie endemiche che ammonta al 16%.

La flora biologica italiana, comprendente Muschi e Licheni, è una delle più ricche d’Europa con 1.130 specie, di cui 851 Muschi e 279 Licheni.

Per consistenza numerica spiccano le flore delle regioni a maggior variabilità ambientale o con territori più vasti come il Piemonte (3.304 specie), la Toscana (3.249), il Veneto (3.111), il Friuli Venezia Giulia (3.094), il Lazio (3.041) e l’Abruzzo (2.989). Considerando invece le componenti floristiche di maggior pregio e con areali ridotti, le regioni con maggior numero di specie endemiche e di specie esclusive, ovvero presenti in quella sola regione, sono la Sicilia (322 specie endemiche e 344 esclusive) e la Sardegna (256 specie endemiche e 277 esclusive).

Biodiversità acquatica

La consistenza delle specie degli habitat d’acqua dolce è stimata in circa 5.500 specie, ovvero quasi il 10% dell’intera fauna italiana. La lista della fauna marina italiana include più di 10.000 specie, la maggior parte delle specie del Mediterraneo.

Ormai nota l’influenza dei cambiamenti climatici sul mutamento della biodiversità marina: il 43% della specie non indigena ha affinità tropicale e il 49% subtropicale confermando quindi l’effetto della tropicalizzazione dei nostri mari. Le specie classificate come non indigene su un totale di oltre 10.000 specie presenti nel Mediterraneo (quasi 12 % della biodiversità marina mondiale) sono circa 1042 (di cui il 38% ospitato dai mari italiani). Di questi, il 30% è stata introdotta volontariamente dall’uomo, attraverso l’acquariologia e l’acquacoltura o involontariamente attraverso le ballast waters (le acque di zavorra, tra i principali vettori di specie aliene e alghe tossiche), il fouling (incrostazioni) degli scafi ed altri vettori; il 70 % è invece immigrata da altre regioni zoo-geografiche, penetrando  attraverso vie naturali come lo Stretto di Gibilterra o artificiali come il Canale di Suez.

Foreste

L’Italia è anche particolarmente ricca di foreste. Oltre 9 milioni di ettari, a cui si aggiungono 1,8 milioni di ettari d’altre terre boscate (ossia superfici forestali rade e minori). In totale le foreste coprono oltre un terzo (36%) del territorio nazionale, una percentuale in lento ma continuo aumento. Questo trend è determinato, da un lato, dalle politiche e misure di conservazione del patrimonio esistente; dall’altro, dalle attività di riforestazione, ma soprattutto dal fenomeno di espansione naturale del bosco su terreni agricoli abbandonati, specialmente nelle aree marginali collinari e montane del Paese. Gli incendi continuano a rappresentare una delle principali forme di disturbo alla biodiversità nazionale. Nel 2009 si sono verificati 5.500 eventi che hanno interessato circa 73.000 ettari, di cui 31.000 forestali (quasi il 40% in Sardegna). I soli incendi forestali hanno causato l’emissione in atmosfera di quasi 3 milioni di tonnellate di anidride carbonica, pari allo 0,6% del totale nazionale delle emissioni di gas-serra (495,0 milioni). Il valore economico dei danni provocati dagli incendi alle foreste, per la sola funzione di fissazione di carbonio, si aggira intorno a 60 milioni di euro. Il 67% degli incendi ha causa dolosa e il 17% colposa, mentre il restante 16% ha in prevalenza origine dubbia. Dopo la forte recrudescenza del 2007, nel 2008 e 2009 si è verificata un’attenuazione degli incendi boschivi.

Specie a rischio e minacce

Le specie a rischio di estinzione sono 1.020.

Circa metà delle specie vertebrate è minacciata. Tra i Pesci dei fiumi e dei laghi italiani minacciati, oltre il 40% sono in condizione particolarmente critica, mentre per gli Uccelli e i Mammiferi rispettivamente il 23% e il 15% di specie minacciate sono a forte rischio di estinzione.

Ma la situazione più critica è quella relativa agli Anfibi, dove in assoluto la percentuale di specie endemiche minacciate è la più elevata e sale a oltre il 66%.

Anche la biodiversità degli ecosistemi forestali è soggetta a diverse forme di minaccia, nonostante la superficie forestale nazionale registri da diversi decenni un trend positivo.

L’introduzione di specie alloctone, o aliene o esotiche o non indigene, potenzialmente invasive, costituisce un altro fattore di minaccia per la biodiversità. Sulla base dei dati disponibili sulla presenza delle specie alloctone animali e vegetali introdotte in Italia a partire dal 1500, anno preso a riferimento per le introduzioni in Europa, si può rilevare che il numero complessivo è attualmente di 2.029 specie alloctone documentate.

I cambiamenti climatici sono destinati a diventare prima del 2050 la seconda principale causa (dopo la deforestazione e la degradazione forestale) di perdita di biodiversità a scala globale, sia acquatica sia terrestre. In Italia, gli impatti sin qui osservati includono lo spostamento verso Nord e verso quote più elevate del range geografico di molte specie. L’estensione della stagione vegetativa ha determinato un aumento della produttività nella regione biogeografica alpina, mentre condizioni climatiche più secche e calde sono state responsabili di una più ridotta produttività forestale e di un aumento degli eventi e della severità degli incendi nella fascia mediterranea.

Secondo uno degli scenari prospettati dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), la temperatura media sulla nostra penisola e sulle isole potrebbe aumentare di 4°C prima della fine del secolo. La conseguenza di una simile circostanza sarebbe una migrazione (400 km più a nord e 400 m più in quota) di molte specie, alla ricerca di un regime climatico più consono. Ad esempio, molte aree potrebbero diventare adatte alla vite o a nuove varietà (in sostituzione di altre non più adatte al clima cambiato); viceversa, alcune regioni viticole potrebbero essere non più capaci di portare a maturazione varietà tipiche; le regioni a clima caldo-arido (Pantelleria, Salento) potrebbero essere spinte al di fuori dell’area di coltivazione della vite (ma anche dell’olivo e degli agrumi).

Ma i cambiamenti del clima e la conseguente presenza di specie aliene non sono gli unici responsabili: sovra sfruttamento, inquinamento, ma anche la semplice presenza dei vulcani e dei loro contaminanti comportano brusche modifiche alla fauna marina.

I contaminanti provenienti dalle navi civili e militari affondate nei nostri mari hanno conseguenze sulla biodiversità marina. Tali sostanze, infatti, spesso legate al carico, al carburante e allo scafo, possono produrre effetti anche molto tempo dopo l’ affondamento. Questo fenomeno è amplificato dal tigmotropismo positivo esercitato dal relitto che attira molte specie di pesci alla ricerca di cibo, tane e rifugi creando quindi un habitat aggiuntivo.

L’inquinamento e il sovra sfruttamento inoltre favoriscono le invasioni di specie non indigene essendo gli ambienti maggiormente alterati quelli più invasi, mentre gli ambienti protetti sono meno colpiti.

I vulcani e il geotermismo, come dimostrato durante il fenomeno idrotermale del 2001 di Panarea che ha portato l’apertura di numerosi grandi soffioni vicino lo scoglio di Basiluzzo, possono nel breve periodo colpire la biodiversità dell’area colpita dal fenomeno attraverso modifiche dell’ecosistema, morte e sofferenza di specie sessili e vagili, mentre i contaminanti di origine vulcanica impattano sulla biodiversità, nel medio e lungo termine, trasferendosi nella catena alimentare e provocando effetti estrogenici sulle specie interessate con perdita di fertilità e aumento di patologie.

Caccia

La caccia può essere praticata in oltre il 62% del territorio nazionale. La densità venatoria non è uniforme sul territorio nazionale: in alcune regioni, come Liguria, Umbria, Toscana e Lazio, il valore è decisamente superiore alle altre. In corrispondenza dei valori di maggiore pressione si collocano sia regioni di grandi dimensioni (Toscana, Lazio, Lombardia, Campania), sia di estensione ridotta (Umbria e Liguria). Dal 2000 al 2007 il numero di cacciatori a livello nazionale è diminuito del 6,2%. A livello regionale, ben undici regioni presentano percentuali di riduzione del numero di cacciatori superiori al valore registrato per l’Italia. Solo cinque regioni (Trentino Alto Adige, Lazio, Calabria, Sardegna e Molise), invece, mostrano un aumento del numero dei cacciatori.

Pesca

Per quanto riguarda la pesca, essa è un importante fattore d’impatto in ambito marino. L’Italia effettua circa il 5% del totale delle catture in ambito europeo, ma, come gli altri paesi dell’Unione europea, partecipa allo sforzo di contenimento dell’impatto della pesca perseguito da tempo dall’Ue e ribadito in maniera forte dalla nuova Politica Comune della Pesca (PCP) entrata in vigore il 1° gennaio 2003. Nel 2009 è proseguito l’andamento iniziato nel 2000, con un ridimensionamento della flotta peschereccia sia in termini di numero di battelli sia di potenza complessiva. Lo sforzo di pesca, in costante diminuzione dal 2005, registra un aumento nell’ultimo anno; le catture per unità di sforzo continuano l’andamento altalenante degli ultimi anni, passando tra il 2008 e il 2009 da 8,6 a 8,9 kg.

La situazione è ovviamente diversificata lungo il territorio nazionale: nel 2009, oltre il 36% delle imbarcazioni della flotta nazionale è registrato in Sicilia (23,9%) e Puglia (12,6%). Il maggior numero di giorni medi di pesca per il 2009 è invece effettuato in Puglia (176,2), Marche (141,7) e Sicilia (135,4). I sistemi di pesca più utilizzati sono lo strascico, la volante e la piccola pesca costiera, a conferma della tendenza tipica del Mediterraneo verso una pesca per lo più di tipo artigianale. Nel 2009, il 36,4% del totale delle catture nazionali è avvenuto tramite lo strascico e il 45,4% è da attribuire alle imbarcazioni siciliane e pugliesi.

Habitat

Strettamente legato allo stato di conservazione delle specie è lo stato di conservazione degli habitat. Nel nostro Paese sono presenti 130 diversi tipi di habitat. Gli habitat in peggior stato di conservazione in Italia sono quelli delle dune (a causa della pressione turistica e di nuovi insediamenti), seguiti da quelli d’acqua dolce e da quelli rocciosi.

(Fonte Ispra)