Nel Sahara algerino rinascono 80 oasi

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Rinascono 80 oasi nel Sahara algerino grazie al recupero delle antiche miniere d’acqua, le foggara (nella foto a fianco). Un metodo antico che arresta l’avanzare del deserto. Lo annuncia, per la Giornata mondiale di lotta contro la desertificazione che si celebra domani, l’Itki (Istituto per le conoscenze tradizionali), voluto dall’Unesco, che ha sede a Firenze. Il governo regionale dell’Adrar, in Algeria, ha infatti destinato al restauro di questa antica tecnica 5 milioni di euro: serviranno a rimettere in piedi la rete di gallerie orizzontali che, correndo sotto la superficie del deserto, producono acqua drenandola dall’umidità notturna della superficie. Si tratta di un metodo che evita di intaccare il capitale idrico costituito dalla falda sotterranea cui, in alternativa, attingono i profondissimi pozzi che vengono scavati nel Sahara con le tecnologie moderne.

«Il metodo delle foggara, le gallerie drenanti orizzontali, dà l’acqua che l’ambiente riesce a produrre e sostanzialmente anche quella che le comunità umane degli abitanti del deserto riescono a impiegare senza sprechi per conservare le oasi – spiega Pietro Laureano, presidente dell’Itki ed esperto di conservazione delle oasi -. Per far ripartire questa antica rete, in gran parte abbandonata dopo l’arrivo delle scavatrici che traforano la superficie del Sahara fino ad arrivare alle falde di acqua fossile, il governo dell’Adrar algerino si è impegnato con una importante quantità di risorse economiche. Ma non basta: a restaurare il reticolo di gallerie con materiale tradizionale saranno associazioni locali, le stesse  che nel futuro continueranno a mantenerle in attività». Lavoro che ne crea dell’altro, insomma, con notevoli risparmi economici e ambientali, anche in termini di produzione di gas serra evitata.

Ma è soprattutto l’efficacia generale a contare nella scelta delle tecniche tradizionali per il recupero del suolo, dell’acqua e dell’energia. La lotta contro la desertificazione passa in buona parte per il riuso di metodi semplici e a buon mercato, legati alla tradizione locale. Le 80 foggara che verranno recuperate con i 5 milioni messi a disposizione sono destinate a servire per la coltivazione di altrettante oasi, circa un terzo di quelle esistenti nella regione. «Tra queste – spiega ancora Laureano – ci sono oasi collegate le une con le altre, disposte come un nastro verde all’interno del Sahara, ma anche oasi isolate. La più importante è situata in un’area senza centri abitati o strade per circa 150 chilometri quadrati. Gli abitanti, circa 50 famiglie, hanno rifiutato di abbandonarla per andare a vivere nella capitale della regione, così come era stato proposto loro di fare: ora il restauro della foggara permetterà il mantenimento del palmeto che dà da vivere all’intero villaggio. In quest’area, abbiamo ritrovato nel sopralluogo fatto un graffito paleolitico in cui si vede una mandria di elefanti, a ulteriore dimostrazione del fatto che il Sahara era ancora 15mila anni fa una grande area verde».

La desertificazione, secondo i dati forniti dall’Unccd (la Convenzione delle Nazioni Unite contro la desertificazione), rappresenta una pericolo per le aree aride, semiaride e secche presenti in tutti i continenti. Minaccia un quarto delle terre del pianeta e oltre 1 miliardo di abitanti nei 100 paesi maggiormente interessati. La situazione più drammatica rimane però quella africana, dove la desertificazione mette a rischio il 73% delle terre aride coltivate. Il Sahara, insomma,avanza: per fermarlo, spesso, è più utile ricorrere alle tecniche tradizionali che ai metodi ad alta intensità di spreco energetico e di investimenti.

Itki, International Traditional Knowledge Institute, sta raccogliendo una banca dati mondiale con le antiche tecniche, che diventerà una vera e propria Banca della Terra. L’Istituto agisce presso governi, pubbliche amministrazioni, aziende e cittadini per diffonderle come pratiche sostenibili ed innovative in agricoltura, architettura, gestione delle acque e aree urbane, paesaggio. Il loro utilizzo permette risparmi economici considerevoli in tutti i settori e in particolare nelle emissioni di CO2.

Pietro Laureano ha lavorato come consulente dell’Unesco al restauro ambientale delle oasi del Sahara ed è stato il protagonista del recupero dei Sassi di Matera e della loro iscrizione nelle liste del Patrimonio Unesco. Matera è il primo formidabile esempio europeo di riutilizzo delle conoscenze e delle tecniche tradizionali per un progetto contemporaneo.

(Fonte Silverback Greening the Communication)