Grazie ai rilievi satellitari e a terra, oggi sappiamo che nella penisola antartica, negli ultimi 50 anni, la temperatura media è aumentata di circa mezzo grado ogni dieci anni. La frammentazione e la riduzione dei ghiacci delle aree costali sono ormai note e documentate da tempo. Envisat, il satellite ambientale dell’Esa, ha seguito con osservazioni ripetute la frammentazione dell’iceberg Larsen, soprattutto per quanto riguarda la disintegrazione vera e propria del Larsen-B, un iceberg spesso circa 200 metri, che gli scienziati pensano fosse rimasto inalterato negli ultimi 12.000 anni. Le zone costali sono ritenute più fragili: i ghiacci sono meno spessi e sono a contatto con l’oceano, un immenso serbatoio di calore.
Non ci sarebbe nessun allarme, tuttavia, se quantità analoghe di ghiaccio si formassero sotto forma di neve nelle zone continentali. Il problema è che negli ultimi tempi si stanno accumulando evidenze che anche nei ghiacciai continentali, lontani dal mare, lo scioglimento sia in atto. Questo cambierebbe la questione: se il bilancio di massa globale dell’Antartide è negativo, allora dobbiamo aspettarci un contributo significativo, nei prossimi anni, all’innalzamento dei mari. Con tutte le conseguenze, negative, del caso.