Sospesa anche la Cop/Mop

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I lavori di giovedì 10 ottobre sono iniziati con l’intervento del Kazhakstan, che ha chiesto di transitare, nell’ambito ed ai fini del Protocollo di Kyoto, dal gruppo dei Paesi in via di sviluppo, dove era collocato, al gruppo dei Paesi industrializzati (Annesso 1) pur mantenendo la sua collocazione nel gruppo dei Paesi in via di sviluppo nell’ambito della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (Unfccc). A seguito di questo passaggio, già approvato ed in via di formalizzazione, il Kazakhstan si è dichiarato disponibile ad assumere impegni vincolanti, ad entrare nel mercato del commercio delle emissioni e ad attuare progetti internazionali congiunti per la riduzione delle proprie emissioni.

È intervenuto, quindi l’Arcipelago delle Tuvalu, a nome e con il supporto del gruppo dei paesi Aosis, per proporre alcuni emendamenti al protocollo di Kyoto riguardanti in particolare: i nuovi impegni di riduzione per le emissioni dal trasporto aereo e marittimo, la gestione dei fondi derivanti dal Cdm (Clean development mechanism) e l’estensione dei poteri di verifica, controllo e sanzioni per gli inadempienti. Riprendendo la proposta presentata nella sessione plenaria della Cop, Tuvalu ha ribadito la necessità di due protocolli e di impegni di riduzione più restrittivi e legalmente vincolanti.

Dopo l’intervento di Tuvalu, la discussione che doveva essere focalizzata sui contenuti da emendare nel protocollo di Kyoto, ha preso una piega più politica. Infatti è iniziato un dibattito su quale tipo di trattato e con quale forma legale doveva concludersi l’accordo di Copenhagen. Contestando Tuvalu, è intervenuta l’Australia affermando che non è possibile pensare di portare in porto due trattati o due protocolli che frantumano, invece che unire gli sforzi comuni. Bisogna accordarsi su un solo trattato o protocollo unificato, che, per venire incontro alle richieste di Tuvalu e di altri Paesi in via di sviluppo, possa essere diviso al suo interno in due sezioni contenenti due protocolli.

L’Unione europea ha ripreso il discorso dell’Australia, ma per sottolineare che gli elementi chiave, del protocollo di Kyoto, quali principi, meccanismi, strumenti di gestione, verifica e controllo, vanno sicuramente salvaguardati e non buttati via. Tuttavia, poiché a partire dal 2007, di comune accordo, è stato messo in piedi, con la «Road map di Bali», un trattato di ampio respiro e di lungo periodo, appare ora necessario completare il lavoro includendo nella visione di insieme del nuovo trattato gli elementi chiave del protocollo di Kyoto. L’accordo finale deve, secondo la Ue, essere basato su questa prospettiva.

Il Giappone è poi intervenuto per puntualizzare il significato ed il valore del protocollo di Kyoto. Il protocollo di Kyoto, ha detto il Giappone, per come è stato costruito e per i presupposti su cui si basa è indirizzato esclusivamente ai paesi industrializzati, tra cui però manca la partecipazione degli Usa. Ebbene, qualunque sia la forma emendata, comprendente anche vincoli di riduzione delle emissioni estremamente restrittivi, il protocollo di Kyoto è destinato a rimanere comunque in una forma molto deficitaria, perché agisce solo sul 30% delle emissioni globali di gas serra. Occorre, invece, superare questo protocollo di Kyoto con un diverso protocollo che metta insieme tutti i Paesi ed impegni tutti i Paesi in uno sforzo comune. Ecco perché bisogna concentrarsi sulla bozza di trattato Agw-Lca, costruito sulla «Road map di Bali», che è già omnicomprensiva salvo gli eventuali aggiustamenti ed integrazioni di elementi importanti provenienti dal protocollo di Kyoto. Visti i mormori in sala, il Giappone ha, infine, voluto precisare che quanto detto non era una proposta di buttare nel cestino il protocollo di Kyoto, ma una proposta di ampliamento e di miglioramento del protocollo di Kyoto attuale. Per usare un paragone automobilistico, la proposta giapponese equivale a quella di costruire un veicolo grande e spazioso per tutti i passeggeri, un veicolo comodo, ma anche capace di andare lontano e di portare tutti molto più lontano, rispetto all’automobilina di Kyoto, piccola e angusta dove possono prendere posto solo poche persone e che, per giunta, è ad autonomia limitata e non può andare lontano

Etiopia e paesi Lcd hanno detto che il paragone è suggestivo ma che, comunque, non cambiano idea. Il Brasile ha aggiunto che gli obiettivi di riduzione del 25-40% al 2020 rispetto al 1990 (come suggeriti dall’Ipcc per mantenere il surriscaldamento terrestre al di sotto dei 2°C) sono obiettivi di riduzione per i Paesi industrializzati, ma non per i Paesi in via di sviluppo. Lo strumento disponibile, valido e vincolante per i Paesi industrializzati, è solo il protocollo di Kyoto, da cui non si può prescindere. Pertanto, rispondendo alle considerazioni giapponesi il Brasile ha detto che sono gli Usa che devono entrare nel protocollo di Kyoto e non gli altri paesi industrializzati ad uscirne. Non si può uccidere il protocollo di Kyoto perché mancano gli Usa. Se si uccide il protocollo di Kyoto, si uccide il solo ed unico strumento legale a disposizione.

La Nuova Zelanda è intervenuta, contestando il Brasile e Tuvalu. La proliferazione di trattati e di protocolli, come loro propongono, non migliora la soluzione del problema dei cambiamenti climatici, ma porta unicamente ad un aumento spropositato di burocrazia, alla duplicazione di commissioni, comitati, organi consultivi, gestionali e di supporto e quant’altro. Il tutto genera inefficienze, sprechi di risorse e complicazioni. L’unica soluzione razionale non può che essere quella della semplificazione e dell’efficienza, cioè un solo trattato o un solo protocollo omnicomprensivo.

Tuvalu ha quindi ripreso la parola per sottolineare che l’art. 3.9 del protocollo di Kyoto, dà la facoltà a tutti di proporre emendamenti, ma non dà la facoltà a nessuno di buttare nel cestino il protocollo di Kyoto. Visto la situazione controversa e il dialogo fra sordi di opposte visioni sui trattati da approvare e sulla forma legale che tali trattati devono avere, propone di mettere ai voti le varie proposte con votazioni a maggioranza qualificata di tre quarti del numero dei Paesi aventi diritto al voto.

Questa proposta è stata, però, considerata solo una provocazione. A parte il fatto, come ha detto il presidente, che non sussistono fratture talmente insanabili da dover ricorrere a votazioni (una procedura che nella Nazioni Unite è eccezionale, perché valgono le regole del consenso), in ogni caso il metodo delle votazioni, stabilito in ambito Nazioni Unite, è più complesso e molto diverso da quello proposto da Tuvalu, che mette sullo stesso piano il peso di Tuvalu (11 abitanti e basso Pil) con il peso della Cina o degli Usa (più di un quarto del Pil e della popolazione mondiale).

Dopo altri interventi, tra cui anche quelli della delegazione palestinese (che non ha diritto di voto) e dell’Associazione pan africana (che riveste il ruolo di «osservatore»), sono emerse due proposte per risolvere le controversie sorte nella discussione: istituire un «contact group» che proceda a contatti informali per trovare una soluzione di compromesso consensuale, oppure rimandare il tutto alle decisioni della Cop, visto che analoghe controversie esistono anche in ambito Cop e visto anche che La Cop è comunque l’organo decisionale supremo.

A questo punto la sessione plenaria della Cop/Mop è stata sospesa ed il presidente: John Ashe procederà a consultazioni con il Segretario Generale della Unfcc e gli altri organi istituzionali della Unfccc per decidere come proseguire. La sospensione durerà fino a sabato mattina 12 dicembre.