Il Ponte? Lo sta facendo la burocrazia

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Una vicenda bizantina che va avanti mentre tutti si affannano a dire che non si vuole questa struttura sullo Stretto e che con quei soldi si potrebbero fare tante altre cose

Dubbi e misteri avvolgono e infittiscono il fantasma del Ponte di Messina che minaccia nuovamente l’Italia green e onesta.

Attraverso un tempestivo comunicato stampa, Angelo Bonelli, Presidente dei Verdi, ha espresso tutto il suo disappunto riguardo la riapertura dell’iter concernente il Ponte sullo Stretto: «abbiamo appreso dalle parole del sottosegretario Polillo che il governo non ha i soldi per le bonifiche di aree dove l’inquinamento compromette la salute dei cittadini mentre oggi apprendiamo dai giornali che il ministro dell’Ambiente Clini avrebbe riattivato le procedure per il Ponte sullo Stretto di Messina, che, tradotto, significa buttare 8,5 miliardi di euro per soddisfare le lobby del cemento mentre il paese cade a pezzi a causa del dissesto idrogeologico e non ci sono fondi per il trasporto pubblico e per bonificare i territori devastati dall’inquinamento».

Non si è fatta attendere la risposta del governo. «Il governo non ha alcuna intenzione di costruire il Ponte». È il portavoce del ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, a chiarire le intenzioni dell’esecutivo in riferimento all’articolo di Repubblica che denunciava come, al di là delle volontà politiche, ci sia una burocrazia che, invece, porta avanti il progetto.

Con gli stanziamenti previsti per il Ponte, si potrebbero realizzare 90 km di metropolitana o 621 Km di rete tranviaria, acquistare 3.273 tram e 23.000 autobus ecologici, ma ormai viviamo in una realtà in cui i freddi termini tecnici «spread, Bot, Btp, Bund» e chi più ne abbia più ne metta, stanno lentamente divorando le parole «sostenibilità ambientale, protezione delle aree a rischio, economia sostenibile».

C’è il serio rischio che la causa ambientalista possa perdere una battaglia epocale, e il caso del Ponte di Messina rappresentata solo una mera speranza in un vortice che potrebbe condannare una volta per tutte l’Italia dalle false promesse. Ma com’è potuto succedere, come ha avuto inizio tutto, ma soprattutto come abbiamo fatto a non accorgercene?

Nel 2006 comparve nello scenario politico il termine «decrescita», netto rifiuto delle forme di sviluppo economiche basate sull’incremento dell’attività industriale, e sul conseguente spreco di risorse in tutto il mondo, un concetto che imponeva un deciso cambiamento di rotta, basato sul rilancio delle economie locali e delle fonti rinnovabili.

Si decise, pertanto, di puntare molto sulla tematica ambientale nel tentativo di introdurre in Italia le radici di una politica economica basata sull’unica forma di «crescita sostenibile» efficace: la decrescita.

La Tav, l’inceneritore di Trento, la riconversione della centrale a carbone di Civitavecchia e il problema dell’immondizia in Campania hanno rappresentato solo alcuni dei numerosi temi caldi che negli ultimi anni hanno originato accese argomentazioni e serrati dibattiti, diviso gli italiani e spaccato maggioranze in Parlamento. Un tema ambientalista vivo, travolto, però, dalla crisi economica, che incombeva sullo scenario nazionale e non solo.

Di conseguenza i Governi di tutto il mondo, sostenuti dal «signoraggio» monopolistico e dittatoriale delle banche, sono stati costretti a rivedere le proprie priorità, facendo un passo indietro e puntando per l’ennesima volta sul processo distruttivo e forse anche auto lesivo legato alla produzione industriale.

Allora la crisi è avanzata e sembra non si arresti. Crisi di un modello, di un meccanismo, di un’estetica, che avanza perché il gioco si è inceppato: un gioco che consisteva nella produzione di denaro per mezzo di promesse. Un indebitamento diffuso e collettivo; ma se tutti ci credono, il modello regge.

Se tutti credono al consumo come condizione dell’essere, e se l’essere consiste in essere consumante e consumato, il sistema regge.

Lo status symbol è rappresentato dal consumo; non più dal sapere, né tanto meno dal reddito acquisito attraverso il produrre materiale o intellettuale. Il reddito non è più costituito dal salario o dallo stipendio e neanche dal profitto generico dell’imprenditore-produttore, ma dalla rendita finanziaria da una parte e dalla possibilità d’indebitamento per il consumo dall’altra.

In altre parole, «sei» (nel senso di essere) solo se sei in grado di consumare, e sei in grado di consumare solo se disponi di rendita oppure se sei un soggetto credibile per i creditori, se cioè possiedi le condizioni per indebitarti.

L’ambiente rappresentava uno spiraglio importante, e con un filo di speranza, nonostante tutto, lo rappresenterà ancora, così come le buone aspettative che circondano il caso del Ponte di Messina, certamente non molte, ma non di certo chimeriche.

 

Carlo Ciminiello