Il lupo vittima designata per i danni in agricoltura

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    Arcicaccia: «Danni da fauna selvatica, una priorità per il Parlamento». L’Enpa: «Giù le mani dal lupo. Vietare invece i ripopolamenti venatori». Lipu: «Stop a immissione cinghiali, lepri e fagiani a fini venatori, causa per il 70% dei problemi»

    L’indagine conoscitiva sui danni da fauna selvatica che questa mattina la commissione Agricoltura della Camera ha reso pubblica, dopo due anni e mezzo di lavoro, apre una serie di polemiche e rinfocola la diatriba fra cacciatori e ambientalisti secondo, purtroppo, uno stile ormai tipico di questa legislatura, nell’affrontare tematiche venatorie o agricole che coinvolgono il patrimonio ambientale del Paese.

    «È scioccante leggere che il principale problema per l’agricoltura italiana sia il lupo, definito addirittura un “terrore”, con una criminalizzazione che appare semplicemente inaccettabile. Ci spiace, ma quello della commissione Agricoltura è un approccio errato, che non farà fare passi avanti alla questione». È quanto afferma il Presidente della Lipu-BirdLife Italia, Fulvio Mamone Capria, al margine della conferenza di presentazione, tenutasi oggi a Montecitorio, dell’Indagine conoscitiva della commissione Agricoltura della Camera dei deputati, sul tema dei danni all’agricoltura causati dalla fauna selvatica.

    «La commissione Agricoltura – afferma Mamone Capria – si è limitata ad affermazioni e conclusioni generiche, senza mettere in evidenza né le cause profonde del problema né i dati numerici circa l’entità dei danni denunciati. Se lo avesse fatto, magari utilizzando il pur non esaustivo e uniforme lavoro delle regioni italiane, sarebbe emerso che i veri danni all’agricoltura sono addebitabili, per il 60 o 70% del totale, alle specie cinghiale, lepre e fagiano, con punte del quasi 100% in alcune regioni.

    «Ecco allora – prosegue Mamone Capria – la prima cosa da fare: prevedere uno stop immediato agli allevamenti e alle immissioni in natura, a scopo venatorio, di cinghiali, lepri e fagiani. Il che gioverebbe non solo all’agricoltura ma anche alle forme autoctone di queste specie, gravemente danneggiate dall’utilizzo di animali provenienti da altre parti d’Europa e del mondo.

    «Dobbiamo operare – continua il Presidente della LIPU – perché la gestione ambientale sia rispettosa della natura, intelligente, moderna e libera da ogni zona d’ombra. Se l’approccio sarà questo, ben lieti di contribuire. Se invece sarà quello della criminalizzazione delle specie protette e delle facili strumentalizzazioni- conclude il Presidente della Lipu – allora temiamo che la questione non farà alcun passo avanti, a discapito della corretta gestione ambientale e della stessa agricoltura sana».

    Leggermente diversa la posizione dell’Arcicaccia. «L’Arcicaccia – riporta una nota dell’associazione – apprezza il lavoro svolto e le conclusioni alle quali è approdata unanimemente la commissione Agricoltura anche grazie al sostegno e al contributo di competenze ed esperienze fornito dai diversi portatori di interesse. Proseguire sulla strada della concertazione servirà a definire norme condivise che abbiano come premessa la tutela dell’agricoltura e della biodiversità in un quadro di rafforzamento della legislazione italiana. È nella gestione faunistica e nel governo del territorio, con il concorso attivo dei cacciatori, che si possono trovare, come l’esperienza ci insegna, le migliori soluzioni al problema unitamente all’esigenza di stabilire un raccordo più stretto tra i territori a caccia programmata e le aree protette».

    Ma anche l’Arcicaccia è critica sulla valutazione contro i lupi. «In questo quadro – continua la nota stampa – sarebbe sbagliato porre sullo stesso piano la soluzione di problematiche inerenti l’eccessiva presenza degli ungulati o di altre specie con quella dei lupi, i cui danni il più delle volte sono da assegnare a ibridi e cani “selvatici”. Ora occorre procedere senza indugi. Per farlo è necessario che venga ritirato al Senato il disegno di legge Orsi di modifica della Legge 157, peraltro ormai insabbiato da mesi e foriero di disastri culturali per la caccia, liberando così il campo alla calendarizzazione dei disegni di legge sui danni da fauna selvatica».

    Particolarmente dura la posizione dell’Enpa. «Da tempo – sottolinea l’Enpa – abbiamo indicato, anche al Parlamento, quelli che sono i punti fondamentali della questione: evitare ogni commistione tra attività venatoria e “controllo” degli animali selvatici; applicare la legge nazionale in vigore, la 157 del 1992, che reca prioritariamente la necessità dell’adozione di metodi ecologici come vuole l’Europa; affrontare la questione dei cani rinselvatichiti, vittime di crudele abbandono e alla disperata ricerca di cibo; velocizzare i risarcimenti. Ma, soprattutto e in primo luogo, vietare ogni pratica di ripopolamento, in particolare dei cinghiali, animali prolifici e di grandi dimensioni, importati qualche decennio fa dall’estero perché ghiotti esemplari da carniere».

    E chiede ai parlamentari un po’ di coraggio, «il coraggio di saper scontentare, vietando i ripopolamenti, quella parte di mondo venatorio che ancora oggi impone la liberazione dei cinghiali e degli altri animali di allevamento. Questa è una misura di prevenzione prioritaria che dobbiamo agli agricoltori e al loro lavoro, ma anche all’ambiente e agli animali stessi, allevati per fare da bersaglio alle doppiette».