In politica la sostenibilità delle scelte, gioca innanzitutto in termini di consenso. È quindi un tema nelle mani dei gruppi di potere (generalmente esterni all’ambito politico e dei partiti) che, in forme anche non lecite, possono cercare di indirizzare i consensi a proprio favore. In questi casi le strategie populiste, finalizzate ai propri interessi (teleguidate con il coinvolgimento passivo delle parti più deboli e indifese della popolazione o realizzate con pressioni lobbistiche sui governi o su chi si mostra sensibile alle proprie richieste), possono portare a condizioni intollerabili di sottomissione delle libertà personali e collettive. In questa azione non rientra solo il finanziamento esterno dei partiti e delle campagne elettorali o di quelle promozionali (vedi le attività in favore delle centrali nucleari, del ponte di Messina, della Tav in Val di Susa), ma anche quella strategia di subordinazione intellettuale esercitata sia con dichiarazioni, intenzioni, e atti in difesa di una seducente idea di civiltà (in realtà strumentalmente finalizzata a criminalizzare particolari e avverse scelte culturali), sia con disincentivazioni all’esercizio di consapevolezze e responsabilità (rese vane o impotenti da inattaccabili procedure e modelli culturali potentemente indirizzati a senso unico), sia con l’inibizione di relazioni sociali attraverso l’invenzione dei «diversi» (per isolare e contrastare una pericolosità immaginaria della «diversità» e della sua predisposizione ed efficacia nel favorire mentalità e comportamenti alternativi in contrasto con la globalizzazione, il libero mercato dei consumi e in difesa, invece, dei «beni comuni» ai quali la ricchezza della stessa diversità appartiene).
In buona sostanza, se riflettiamo, non dovremmo lasciarci convincere e rassicurare da questi devianti argomenti. Dovremmo, invece, valutare la sostenibilità in termini di necessità dei cambiamenti (che si intendono realizzare), di comparazione (del valore economico e del merito funzionale di più progetti) e di controllo della qualità (del rapporto fra risultati programmati, dichiarati e attesi, da una parte, e, dall’altra, quelli raggiunti e da verificare). Non possiamo rischiare, cioè, di considerare sufficiente (per attivare le dinamicità costruttive della vita sociale, culturale ed economica di una comunità) la coerenza formale, forse, solo illusoria, di una vantata sostenibilità. È, invece, indispensabile entrare nel merito sia degli impatti (a garanzia della qualità da verificare nei processi di sviluppo e nelle diverse condizioni di vita), sia delle decisioni (che possono derivare dalla partecipazione delle collettività alla valutazione delle proposte e ai processi decisionali). In questo scenario, la sostenibilità, è un riferimento individuale e non assoluto indispensabile per contribuire a sviluppare un concetto ed una pratica di sostenibilità condivisa.