La sostenibilità di un mondo finanziarizzato

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Oggi, a far deviare il mondo intero verso il collasso del sistema economico, danno un loro notevole contributo le storie di molte occasioni che consentono di truffare chi vive fra ingenuità e sprovvedutezze. Ma a spingere con più forza verso questo collasso è soprattutto, la quantità di soldi che la finanza riesce a raccogliere e a sottrarre alle regole, delle comunità nelle quali opera, promettendo profitti senza fatica e non evidenziando che un arricchimento senza lavoro può concretamente essere realizzato solo impoverendo qualcun altro. Le scommesse che alimentano la speculazione finanziaria sono, infatti, un gioco a somma zero e, certamente, ad arricchirsi (al di là di ogni valutazione etica su questo tipo di arricchimento) non sarà il risparmiatore indifeso (che è la preda), ma qualche ben organizzato e aggressivo predatore. Indurre a fare debiti e mettere a rischio capitali di altri è oramai diventata un’attività di routine che la Finanza globale usa per mettere in crisi anche i governi e le istituzioni internazionali e per decidere, quantomeno indirettamente, sulle sorti del mondo e non solo dell’economia.
Le nostre realtà economiche e politiche sono forzate, infatti, in modi subdolamente seducenti a fare debiti e a sottostare alla speculazione (che opera alterando gli equilibri di mercato con i rating, con un uso dei media manipolati dalle sue decisioni, con boicottaggi, tutte azioni supportare, naturalmente, da studi neutrali e formalmente ineccepibili). Le linee economico-politiche, da quelle locali, a quelle nazionali, a quelle di interi continenti, sono modulate, con infida abilità, da interventi finalizzati a fare della finanza e dei soldi (da avere e da dare) lo strumento di sottomissione materiale e mentale del mondo senza dover temere insubordinazioni o subire l’affronto di qualche vitale opposizione democratica. Oggi abbiamo una nuova e affollata classe di schiavi che, però, non fanno ciò che vuole il padrone, ma che possono sopravvivere solo con il «soldo» che ricevono per pensare e agire come lui.
In questo scenario non è difficile immaginare che ogni forma di contestazione, anche quelle pacifiche, sono rese impotenti da una monetizzazione che regola ogni cosa. In quest’ultimo scenario rientrano i fatti più recenti del Medio Oriente e del nord Africa, dove perfino le richieste di confronto o le proteste per i diritti negati, avvengono solo se ci sono aiuti, crediti e soldi in contanti da far girare.
Libertà, autonomia, consapevolezze, senso di responsabilità sono così trasformate in merci governate dalle mode e da chi le decide e sono declinati dai fenomeni economici. Dal superfluo ai bisogni spirituali, dall’essere all’avere, dalla salvaguardia della salute alla difesa dei territori, dall’uso distruttivo delle risorse al rilascio di sostanze nocive negli ambienti di vita, dal progresso promesso al possesso e consumo delle cose, dallo sfruttamento del lavoro fisico a quello intellettuale, dalla riduzione della complessità alla metamorfosi della creatività del nostro vivere in modelli di comportamento paranoici (ricomposti in funzione della crescita dei riti consumistici), siamo tutti in un sistema che non sembra poter avere scopi diversi da quelli di finanziare l’alterazione delle condizioni di vita, il degrado ambientale, il danno alla salute. Tutto un fatale declino ipocritamente presentato come fattore implicito di uno sviluppo idealizzato, autoreferente, sottratto alle verifiche e quindi reso inattaccabile e obbligato come se fosse una verità rivelata e soprannaturale o solo espressione legittimata, ultima e assoluta, di una miracolosa illuminazione umana.
La finanza speculativa è sorta e cresciuta con lo sviluppo industriale, come stima del rischio che accompagnava il finanziamento di strutture e infrastrutture produttive (che, inizialmente, davano soprattutto risposte ai bisogni: abitazioni, beni e servizi primari, lavoro, sicurezze sociali…) e che proponeva, come prospettive, anche impegni per la ricerca e sviluppo delle conoscenze (per migliorare la qualità delle condizioni di vita, per valorizzare le relazioni che sono fondamento del progresso umano).
Oggi, in concreto, non ci sono più prospettive di progresso umano e una consistente parte dell’umanità si trova a vivere in un sistema organizzato solo per i consumi, dove i bisogni, in quanto tali, non hanno spazio e possono rientrare solo come oggetto di compassionevoli e precarie opere di beneficenza, se c’è l’opportunità di sponsorizzarle per secondi fini. La speculazione finanziaria non indaga più sulla qualità delle attività economiche e di un mercato che dovrebbero trasformare risorse e distribuire prodotti per migliorare lo stato di benessere degli esseri umani, ma è diventato solo un modo per fare soldi con i soldi. È questa una forma impropria di uso del denaro che, per definizione, è, invece, uno strumento, per condividere razionalmente le risorse naturali e che, perciò, misura, un ponderato e diretto rapporto fra i valori di beni e servizi offerti al mercato dei bisogni. Il denaro è, cioè, uno strumento che mette a disposizione, delle comunità umane, un sistema di razionale ed equa produzione e distribuzione di risorse e di ricchezze vitali, attraverso un’economia fatta di cose reali, che diventa, così, anche mezzo di sviluppo del progresso umano.
Un denaro, dunque, che non ha senso accumularlo e sottrarlo, così, all’uso corretto di strumento di ripartizione e di diffusione condivisa delle ricchezze fisiche e mentali presenti nei diversi territori. Un denaro che non ha senso trasformalo in fantasiose fiche per rischiosi azzardi sui tavoli da gioco stabiliti dalla globalizzazione. Il denaro che è come un lama utile per dividere il pane, per organizzare i componenti di una pietanza, per potare una pianta, per lavorare il legno e la pietra, per vangare la terra, tutte cose che alimentano fenomeni vitali. Ma dobbiamo saper riconoscere, anche i suoi usi efferati, perché una stessa lama può essere anche utilizzata per interrompere i fenomeni vitali che dipendono dagli equilibri naturali, per uccidere, per violare i luoghi dei beni comuni, per recidere le radici di una pianta e farla appassire, per distruggere il legno e la pietra usata dai costruttori.
L’uso del denaro, affidato alla nostra intelligenza, non è certamente quello di un’arma feroce e distruttiva fatta per stravolgere quei processi che costruiscono equilibri economici, sociali, politici, culturali che danno senso al vivere. Il denaro non è nemmeno uno strumento per giochi pericolosi, giochi che di fatto legittimano forme, del tutto primitive e vili, di vero e proprio perfido raggiro finalizzato (con l’uso di ogni mezzo) al furto di risorse fisiche e mentali del nostro mondo.
Oggi l’economia reale è in crisi, le banche sono in sofferenza per i mancati rientri del credito e per le perdite di qualche azzardo globale, la disoccupazione è ad alti livelli, la povertà è in forte crescita anche nei paesi avanzati. Su un altro fronte abbiamo, invece: JP Morgan [società finanziaria (leader nei servizi finanziari globali) coinvolta, come gruppo, nella truffa dei mutui sub-prime e di quei prodotti finanziari «derivati» (contenenti prodotti tossici occultati)] che ha chiuso il terzo trimestre 2012 con un utile record di 5,7 Mld netti (+34% rispetto ai risultati dello stesso trimestre dell’anno scorso). Su questo stesso fronte si posiziona anche Goldman Sachs che, sempre nel terzo trimestre 2012 (grazie alle attività finanziarie di investment banking) ha fatto profitti inaspettati per 1,5 Mld di dollari (nello stesso trimestre dell’anno scorso era, invece, andata in rosso).
JP Morgan e Goldman Sachs erano nel piccolissimo gruppo di società che sono state causa dell’immenso crack finanziario origine della profonda e devastante crisi di questi ultimi anni. In presenza dei loro eccezionali profitti in pieno contrasto con una situazione economico-finanziaria mondiale in crisi, appare evidente che c’è qualcosa che non va, che sfugge alla nostra comprensione e che non è certo il frutto di un crudele destino per molti e di un’innocente fortuna per pochi!
Il disastro economico-finanziario provocato da questo tipo di società di affari, rimane impunito e rimane irrisolto il problema di come impedire che continuino a operare devastazioni globali (dei nostri contesti fisici e vitali) e condizionamenti assoluti nei campi dell’economia, della società civile, della politica, della cultura, dei comportamenti e dei modi di pensare umani. In questi frangenti il moralismo liberistico (esercitato maniacalmente su presunti virtuosi ma sostanzialmente fuorvianti equilibri di mercato) non solo non offre nessuna opportunità di riequilibrio economico (in riparazione dei danni da lui colpevolmente prodotti con la copertura offerta a chi opera piratescamente all’ombra di micidiali ideologie e farisaiche giustificazioni), ma anzi invita, cinicamente, a prendere atto delle capacità di queste società di tornare in utile, di essere premiate dall’etica del «profitto» e di essere assolte dalle mancate riflessioni sull’etica dei «modi» per conseguirlo! Un segno di strapotere e soprattutto di immunità assoluta, quasi provocatoriamente messi in mostra, che permette (a chi opera per ottenere deliranti successi senza sentire la necessità di valutarne il merito e le conseguenze) di realizzare un male, anche in forme estreme, ma del tutto giustificato dalla «necessità» di poter continuare a esercitare il suo lucroso «lavoro» predatorio su quelle risorse economiche che sono, invece, generate solo dal lavoro umano reale e non da giochi di azzardo e da furti legalizzati.
Quali valutazioni e quali misure stiamo prendendo in esame per riportare le attività speculative nell’ambito di una sana economia?
In questo contesto, la sostenibilità è soprattutto un insulso racconto già scritto e somministrato (ad un popolo privato di informazioni specifiche e del loro senso) e non certo il risultato della ricerca di un rimedio che restituisca gli spazi delle relazioni umane, i luoghi del senso delle cose, i laboratori della creatività. Sicuramente non possiamo pensare di rinunciare a questi ultimi elementi del vivere, essenziali per dare senso all’esistere e al diventare noi stessi nel tempo, per partecipare alla creazione di sinergie (che trasformano ogni individuo in componente sociale attivo capace di entrare in sintonia creativa con gli equilibri naturali) e per non lasciarci, invece, distrarre e finire in coma profondo, trascinati dalla diabolica potenza che siamo paradossalmente disposti a sopportare da parte del nulla di sostanziale rappresentato dal solo denaro per il denaro.
Quando riusciremo a porre un limite a quel gruppo di esaltati che con l’iniquo potere, esercitato con soldi depredati ad altri, continuano a sottrarre ancora altri risparmi che sono prodotti, invece, da un lavoro reale? I risparmi sono beni collettivi offerti alla nostra intelligenza e non alla nostra disattenzione per indurre in tentazione qualche o molti inetti, vittime di un’avidità che è sempre in agguato e pronta a sottometterli. Non possiamo, cioè, accettare che, in nome di un’infida morale liberista, qualcuno possa rivendicare il diritto di truffare un proprio simile, addirittura con l’accusa di essersi mostrato incapace di difendere il proprio denaro e perciò di meritare di perderne il possesso. Possiamo accettare che la scaltrezza, certamente non innocente, degli operatori del subdolo mercato finanziario possa, ancora, continuare a vantarsi di aver operato per il bene del sistema (quello liberista, naturalmente)? Siamo veramente condannati per sempre a sopportare i loro opachi e perfidi interventi sui mercati finanziari con la volontà di sottomettere alle loro banditesche mancanze di regole (forse, anche di senso del vivere) la complessità creativa del nostro essere? Si può porre temine a queste spudorate prepotenze che agiscono come vere armi improprie (supreme e irrevocabili) e che, di fatto, decidono ideologicamente la sorte di ogni cosa del nostro mondo?